venerdì 30 settembre 2016

Come i bolscevichi risolvettero il problema abitativo. Il miracolo di Leningrado, un caso di scuola (1917 – 1950).

REDAZIONE NOICOMUNISTI

Di Luca Baldelli



Leningrado, la vecchia San Pietroburgo, non è solo la Città eroica che ha retto uno degli assedi più terribili della storia, quello nazista, con centinaia di migliaia di morti, evacuati, feriti e dispersi, in uno scenario eguagliato forse soltanto dalle vicende spartane del III sec. a.C. No, Leningrado è anche il gelido, epico, affascinante teatro della Rivoluzione bolscevica del 1917, Rivoluzione che per prima ha liberato le masse operaie e contadine dall'oppressione capitalista e feudale. 

In quella splendida, antica città creata dal nulla per la ferrea volontà dello Zar Pietro, su paludi e naturali prolungamenti del Golfo di Finlandia, i bolscevichi, saliti al potere, dovettero subito confrontarsi con molteplici problemi, precipitato storico dell’arretratezza di un Paese sì dominato da secoli da un'élite di rapaci sfruttatori, sì immerso nelle secche di un sottosviluppo solo di quando in quando interrotto da isolotti di modernità, ma anche popolato, come pochi altri al mondo, da geni prodigiosi e talenti raffinatissimi. In questo singolare, intrigante prisma dialettico, storico, culturale e politico, i bolscevichi proiettarono la vivida luce del loro primato, rimodellando le sfaccettature, limando gli angoli e abolendo le forme anacronistiche, stantie ed ossificate di vecchi costrutti sociali ed economici che qualcuno, per suo interesse, riteneva eterni ed immutabili. 

E vennero la riforma agraria, le nazionalizzazioni delle industrie, con la promozione della più ampia partecipazione, del più profondo e consapevole apporto autogestionario da parte degli operai e dei lavoratori tutti (non sempre raggiunto, invero, ma costantemente fissato all'orizzonte come meta), il suffragio universale senza barriere di "genere" (le donne russe furono le prime a votare in Europa, se si escludono quelle del non più esistente Granducato di Finlandia, tra l’altro facente parte dell’Impero russo, laddove le suffragette britanniche ebbero la loro soddisfazione solo nel 1928). 

Non solo: i bolscevichi, in condizioni, le peggiori possibili ed immaginabili, stretti fra l’arretratezza e la povertà del patrimonio edilizio ereditato dal vecchio regime e fra le distruzioni della guerra civile scatenata dai reazionari interni e dagli imperialisti esterni, riuscirono, per un laicissimo miracolo della buona volontà, a risolvere il problema abitativo, facendo di Leningrado, fin dagli anni '20, la prima Città al mondo senza gente che dormiva sotto i ponti, sulle panchine, in falansteri simili a camere d’ospedale o in malsani scantinati. Ciò, mentre nel mondo capitalista le gente crepava di fame e si vedeva sfrattare anche da miseri tuguri. 

Come fu risolto il problema abitativo? 

Con una molteplicità di misure complementari e convergenti verso l’obiettivo stabilito, ossia quello di dare ad ognuno un tetto sopra il capo! 

Vediamo la situazione generale. Il punto di partenza, come abbiamo accennato, non era certo entusiasmante: il patrimonio abitativo non era certo enorme e quel poco che c’era era ripartito in maniera scandalosa. Basti pensare che, nel 1900, quando furono censiti 1.418.000 abitanti, si rilevò che 38.000 cittadini, appartenenti a privilegiate minoranze, avevano a disposizione, ciascuno, dai 30 ai 70 metri quadrati di area abitabile a testa. 

A fronte di ciò, 82.000 cittadini, tra i più derelitti, dovevano pigiarsi in spazi angusti, con meno di 2 metri quadrati a testa. In questo panorama, ben 11.376 appartamenti erano liberi, vuoti, cinici monumenti al più immorale degli sprechi, alla più cocente delle ingiustizie. C’era poi tutta una pletora di lavoratori che alloggiava in dormitori, convitti ecc. ... 

Ancora nel 1910, 63.089 persone alloggiavano in 8292 seminterrati, tra umidità, topi e altre gioiose amenità da campionario dell’orrore abitativo. Espansioni massicce di edificato non erano d'altronde pensabili, sia per le condizioni di guerra e mobilitazione permanente, egemoni dal 1917 al 1922, sia per i sottovalutatissimi e quasi mai menzionati (dalla storiografia e dagli studi urbanistici classici) ostacoli naturali, per molti versi insormontabili: un terreno paludoso, sabbioso, friabile, che solo lo Zar Pietro, con la sua ostinazione, poteva trasformare in una landa abitata, strappando al Golfo di Finlandia il suo naturale prolungamento. 

Che fare, allora, tanto per porre l’interrogativo del pragmatismo rivoluzionario di Lenin? 

Si cominciò con un’opera di censimento e ricognizione degli alloggi esistenti, a partire dagli antichi palazzi dell’aristocrazia e degli alti ceti, giù giù fino ai condomini più moderni e recenti. Squadre di operai e funzionari addetti computarono i metri quadrati disponibili, analizzarono scrupolosamente bisogni e possibilità legati ai vani, interrogarono famiglie e individui, per poi ripartire lo spazio nella maniera più equa possibile. 

Checché ne dica, delirando, la letteratura  anticomunista, nessuno che avesse una quantità giusta e tollerabile di metri quadrati a disposizione, rapportata alla condizione oggettiva presente, fu espropriato del diritto di continuare ad abitare i propri spazi. 

"Il potere sovietico, pur generalizzando la nazionalizzazione delle case dei grossi capitalisti – scrissero Bucharin e Preobrazhenskij ne "L’ABC del comunismo" - non ha alcun interesse a toccare le proprietà degli operai, impiegati e piccolo – borghesi". Si espropriarono solo e soltanto gli alloggi di individui e famiglie che fruivano di metri quadrati in visibile e smaccato eccesso, alla faccia dei senzatetto, degli inquilini di stamberghe e casupole e via elencando. Anche in quel caso, però, il nobile, o l’industriale, o l’intermediario, o la qualsivoglia figura borghese espropriata, se non decideva di andarsene o di darsi alla macchia contro il nuovo governo sovietico, non veniva cacciato via, spinto in strada. No, la superiore umanità dei bolscevichi risparmiava, a questi sfruttatori e parassiti, il destino che per secoli avevano riservato ai figli del popolo. Ognuno poteva conservare per sé un ambiente o anche più, all'interno della propria residenza.

Ogni Soviet, in tutto lo sterminato Paese del socialismo al potere, creò nel proprio seno una "divisione" speciale che si occupava del patrimonio abitativo e delle condizioni di alloggio della popolazione; non una burocrazia autoritaria e imperiosa, distaccata e fredda, ma una squadra di lavoratori, funzionari, ispettori che, ciascuno con il proprio ruolo, assumevano decisioni in forma collegiale e concertata, per il supremo obiettivo del bene comune. 

Gli affitti vennero calmierati e i fitti arretrati, molti dei quali vere e proprie pretese degne del peggior strozzino, vennero spesso annullati, non solo a Pietrogrado (la Città assumerà il nome di Leningrado dal 1924, dopo la morte del leader rivoluzionario, ma in tutte le Russie, in tutto l’estesissimo territorio posto sotto il controllo sovietico. Ovunque i proletari furono liberati dalla prigionia delle stamberghe, degli alloggi di fortuna, e trasferiti in palazzi ampi e maestosi, spesso di eccezionale pregio artistico e architettonico. 

I detrattori del socialismo hanno sempre sparso a piene mani dileggio e critica sulle coabitazioni di più famiglie in uno stesso appartamento, frequenti nei primi anni del potere sovietico e ridotte al minimo a partire già dagli anni '50 – '60, ma questi corifei senza pudore del marciume capitalista hanno dimenticato che chi prima era vissuto per decenni in catapecchie di 20 o 30 metri quadrati, senza acqua, luce, gas e locali salubri, grazie alla Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre varcò la soglia, assieme alla propria famiglia, di palazzi principeschi dalle volte arabescate e dalle scalee imponenti, con stanze ampie, soffitti elevati, ambienti ampi ed areati. 

Qui, per una famiglia tipo, coabitare, significò avere una grande cucina e una latrina in comune con altri individui o gruppi familiari, quando precedentemente la prima era un buco e la seconda un foro scavato in terra, mentre per il resto ogni nucleo familiare ebbe a disposizione, a seconda della consistenza numerica dei propri membri, due, tre o quattro stanze individuali, ricavate dall'equa divisione degli ambienti. 

I proletari alloggiarono quindi, grazie ai Soviet, in Palazzi nei quali, in occidente, solo la più pingue borghesia e i più insigni rampolli di blasonate famiglie potevano vivere o sperare di vivere. E lo fecero, nei primi anni, senza pagare alcun affitto, o pagando solo cifre simboliche. Vi fu anche chi, per esigenze di studio o di attività, per meriti guadagnati sul campo col suo lavoro a vantaggio della collettività, poté continuare ad abitare in spazi più grandi della media: non mancarono i casi di villette a un piano rimaste in proprietà ai loro legittimi (in quel caso) detentori, studiosi, intellettuali, militari, o divise con alcune famiglie lasciando ai vecchi proprietari la gran parte dello spazio disponibile. 

Anche il grande Bulgakov, nelle sue opere, fa cenno a questi episodi, si vedano "Cuore di cane" e "Il Maestro e Margherita". Tornando alla situazione di Pietrogrado, poi Leningrado, nel giro di poco tempo nessuno più, o quasi, abitò cantine, sottotetti, casupole cadenti e malsane. 

Alla primavera del 1918, i lavoratori poterono a ragione vantarsi di vivere ormai come mai avevano vissuto prima d’ora. Gli sconvolgimenti della guerra civile portarono, però, subito difficoltà e non vi fu tempo di cullarsi sugli allori. Visti i gravi problemi di approvvigionamento della città, con le truppe bianche che stringevano d’assedio i centri controllati dai bolscevichi e vi impedivano l’afflusso di derrate e merci, molti scelsero di andarsene nelle campagne o altrove, in contesti più tranquilli e meno esposti alla pressione controrivoluzionaria. 

Gli abitanti diminuirono da 2.500.000 nel 1917 a 750.000 circa nel 1920, quando il rigidissimo inverno costrinse tanta gente a utilizzare come legna, per riscaldarsi, anche vecchi e pregiati mobili. Nel 1921, quando la guerra civile si spense, con la vittoria schiacciante dei bolscevichi, sostenuti dalla quasi totalità della classe operaia e dalle masse contadine, queste ultime conquistate con i decreti sulla terra, diretti contro i latifondisti e la Chiesa, si rilevò che il 25% degli appartamenti esistenti a Pietrogrado erano vuoti. Mentre molte case abbandonate furono demolite, fu guadagnato dai ceti popolari ulteriore spazio sottratto a borghesi e nemici del popolo scappati, trasferitisi, posti sotto misure cautelari o condannati. Da notare il fatto che, almeno fino al 1925/26, molta della popolazione cittadina era fluttuante e molti nuclei familiari, fino al 30%, erano formati da un’unica persona: lavoratori avventizi, gente delle campagne che aspirava a guadagni supplementari, piccoli intermediari e sensali sopravvissuti al tramonto del capitalismo... Un universo variegato e per molti aspetti pittoresco, che durò finché durò la NEP. 

L’avvio della pianificazione quinquennale, a partire dal 1928, consentì di migliorare costantemente le condizioni di alloggio degli abitanti della città, ribattezzata Leningrado, soprattutto dal punto di vista qualitativo. I censimenti e le elaborazioni statistiche rivelano, dalla fine degli anni '20 e per tutti gli anni '30, un costante miglioramento delle forniture e delle dotazioni degli alloggi leningradesi: qui, dove era stata compiuta la rivoluzione copernicana del dare a ciascuno un tetto, a partire da un lascito storico di sicuro non incoraggiante, ora quel tetto diventava, per tutti e per ciascuno, sempre più comodo e confortevole. 

Non si dia calcolo a chi presenta indici di metri quadri pro – capite in calo: se infatti in alcuni annuari si può leggere che la superficie pro – capite abitabile (la "zhilaja ploschad", formata da tutte le stanze meno cucine, servizi, bagni, corridoi e ripostigli) scese da 8,5 metri quadrati nel 1927, a 5,8 metri quadrati nel 1935, c’è da tener presenti tuttavia alcuni punti fermi. 

Nello stesso periodo, la popolazione di Leningrado, in conseguenza del poderoso sviluppo industriale, crebbe a ritmo impetuoso da 1.700.000 a oltre 2.700.000 individui, per poi salire fino a quasi 3.000.000 alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. 

Roma, che in quegli anni subì un aumento di popolazione di poco inferiore, con cifre assolute pari alla metà rispetto a quelle della "finestra sull'occidente", si riempì di casupole e baracche, nelle misere periferie ritratte col pennello del più vivo neorealismo da Manfredi in "Brutti, sporchi e cattivi". 

Leningrado, al contrario, non conobbe baracche e alloggiamenti precari se non quelli, del tutto provvisori, e oltremodo decorosi, destinati ai costruttori edili che tirarono su nuovi palazzi residenziali per i lavoratori dove si poteva, in un terreno angusto, ricavato con le unghie e con i denti da ardite bonifiche nel corso dei secoli e naturalmente svantaggiato nella conformazione. 

Inoltre, va ricordato che le cucine, i bagni e i ripostigli, tutti elementi urbanisticamente e civilmente considerati, in Urss, al di fuori dello spazio vitale sul quale calcolare l’affitto,  diventarono negli anni ’30 sempre più presenti, ampi e funzionali, mentre gli appartamenti individuali via via sostituirono quelli in coabitazione. 

E come tacere, poi, il grande sforzo volto a fornire, ad ogni alloggio, il gas necessario per cucinare e riscaldarsi?

I dati ci dicono che, nel corso degli anni ’30, già 23.200 appartamenti furono connessi alla rete del gas. Ciò equivale a dire, tenendo conto delle coabitazioni in alloggi con bagno e cucina in comune (il 70 – 80 %), che, a quell'epoca, già 200.000 persone circa, su più di 2.000.000, beneficiavano di questo modernissimo confort, confort di cui ancora oggi sono prive, nella nostra "progredita" e "civile" Italia, tante famiglie, costrette a ricorrere alle bombole. Il gas leningradese meriterebbe una trattazione a parte, per l’impegno, lo sforzo e la capacità dimostrati da tecnici e maestranze che, nel giro di 15 anni, a guerra finita, valorizzando gli scisti bituminosi della regione leningradese ed estone, lo porteranno praticamente in ogni alloggio. Nei Paesi capitalisti, Italia compresa, si arriverà allo stesso obiettivo, del tutto parzialmente, a macchia di leopardo, negli anni '70 - '80, e senza avere la difficoltà di far passare condotte e canali di distribuzione in un territorio gelato per gran parte dell’anno, con relative manutenzioni e migliorie. 

La Seconda Guerra Mondiale portò morte e distruzione a Leningrado, nei 900 memorabili giorni dell’assedio nazifascista, poi spezzato dall'eroismo e dal valore dell’Armata Rossa. Quei 900 giorni significarono anche, per il patrimonio abitativo della Città, un calvario senza precedenti: 

  • il 19,7% del fondo abitativo totale andò distrutto (3,3 milioni di metri quadrati di spazio abitabile);  
  • il 13,2% dello stesso fondo subì gravi danneggiamenti (2,2 milioni di metri quadrati di spazio abitabile). 
  • alla fine del conflitto, il 35% delle case necessitavano di riparazioni alle pareti ed alle intercapedini; 
  • l’80% presentava vetrate rovinate o distrutte; 
  • il 72% aveva tetti sfondati o gravemente danneggiati; 
  • l’85% mostrava facciate rovinate. 
Fognature, reti del riscaldamento, ascensori, caldaie, reti elettriche... Tutto danneggiato, fuori uso o logorato. Il compito della ricostruzione si presentò, davanti ai leningradesi, non facile né difficile, semplicemente titanico. E fu scritta, con ardore e abnegazione, un’altra pagina eroica. Mentre i fogliacci delle varie borghesie capitaliste raccontavano di gente che viveva nei solai, nelle cantine, nei magazzini, senza mai spiegare mai perché ciò accadeva, senza mai menzionare le distruzioni apportate dai nazifascisti, i leningradesi ricostruivano la loro città, più bella e radiosa di prima. In pochi anni, forti delle esperienze post – rivoluzionarie, vennero eliminati del tutto, di nuovo, ricoveri di fortuna, magazzini uso abitazione, cantine – dormitorio. 

Una ventina di trust edili, agili ed operativi, garantirono un nuovo miracolo, compiuto senza aiuti dall'estero e senza i denari del Piano Marshall (a proposito di "ricostruzioni" mitizzate, o non opportunamente contestualizzate...). 

Le cifre del periodo 1945/1950 sono, a tal proposito, impressionanti:

  • 791.000 metri quadrati di riparazioni capitali effettuate;
  • 28.660 palazzi residenziali sottoposti a riparazioni selettive, di alta qualità, con professionalità scelte;
  • 1.944.000 metri quadrati di ambienti fatiscenti ripristinati e risanati;
  • 13.057.000 metri quadrati di tetti riparati;
  • 4.425.000 metri quadrati di facciate riparate e ridipinte;
  • sostituzioni di sistemi di approvvigionamento idrico e di reti fognarie, con espansione del numero degli alloggi direttamente serviti, in 5003 palazzi residenziali; 
  • 1315 ascensori riparati e ripristinati; 
  • 335 caldaie rimesse in funzione;
  • 3.826.000 metri quadrati di scale e pianerottoli riparati e ricostruiti;
  • 1.153.000 metri quadrati di marciapiedi realizzati, cortili risanati, strade di servizio lastricate;
  • 369.000 alberi ed arbusti piantati nei cortili condominiali. 

Numeri, questi, che la dicono lunga sulla superiorità del sistema socialista, anche rispetto ad una problematica, come quella degli alloggi, che ancora attanaglia e assilla milioni e milioni di persone nel mondo, schiacciate dalla logica del profitto di pochi speculatori e costrette ad abitare in tuguri e slum per la maggior gloria degli sfruttatori. 

L’esperienza di Leningrado (e, in senso estensivo, di tutta l’Urss) ha dimostrato che, anche in questo ambito, un altro mondo è non solo auspicabile, ma anche possibile, purché si abbia il coraggio e l’onestà intellettuale di riconoscere la necessità storica di rompere non solo col capitalismo, ma pure col riformismo all'acqua di rose. 

Riferimenti:

Pavel Nikonov: "Storia del fondo abitativo di San Pietroburgo" (relazione del 1994), in russo, online: http://nikonovpn.spb.ru/?p=1059#3

F. Engels : "La questione delle abitazioni", Edizioni Rinascita, 1950

N. Bukharin – E. Preobrazhenskij: "L’ABC del comunismo" (online, http://digilander.libero.it/rivoluzionecom/Testimarxisti/abcpseconda.html)

Vieri Quilici: "Città russa e città sovietica" (Mazzotta, Milano, 1976)

mercoledì 28 settembre 2016

Chi comanda il complesso militare in Usa? Di sicuro non Obama

REDAZIONE NOICOMUNISTI

Di Gordon Duff 

Pubblicato  da Jim W. Dean 


Traduzione di Guido Fontana Ros



[Nota del direttore: Gordon ci fornisce un'altra delle sue classiche retrospettive, una breve sinopsi di ciò che è accaduto e perché oggi abbia importanza benché si possa fare poco. Era più facile farlo quando si era laggiù e lo si è fatto. 
Il colonnello Hanke era addetto militare in Israele in quei giorni in cui l'ambasciatore ed io passavamo i weekend ad andare in giro con un contatore Geiger per vedere che cosa loro potevano beccare da un fortunoso vento spirante da un'impianto nucleare, un lavoro sul campo in senso letterale. 
Egli era il nostro testimone oculare delle prime bombe nucleari tattiche cedute ad Israele come dono (sostegno alla carriera politica di qualcuno), poiché gente dell'IDF, un giorno gliele aveva mostrate.

Gordon , il grugno del  giovane marine che 
rifiutò la scuola ufficiali e finì a
pattugliare il perimetro di DaNang




Il colonnello Hackworth morì di cancro nel 2005, dopo aver dovuto vivere in esilio in Australia per parecchi anni. Ero in un diverso mondo in quegli anni giovanili quando Gordon gestiva the chat room militare per AOL e poi quella sul Vietnam e poi la versione di History Channel, ogni tanto in squadra con "Hack". Egli ha più ricordi di noi messi assieme, ma gli anni passano e continuiamo a rimanere in giro, stiamo recuperando terreno.
VT ha un patrimonio profondo, che i lettori devono scavare nel sito per trovarlo, la sezione In Memoriam in fondo alla pagina dei collaboratori, dove ci sono molti che non sono morti per cause naturali. Parecchi altri non possono essere citati per problemi familiari. Ogni anno altri vengono aggiunti... al nostro piccolo camposanto domestico. 
Vorremmo aggiungere noi stessi alla lista il più tardi possibile, in modo da poter tormentare un po' più a lungo quelli che se lo meritano. E siamo dei grandi ammiratori di quell'antico generale cinese che una volta disse  di voler vivere abbastanza da vedere i corpi dei suoi nemici galleggiare sul fiume prima di lui...Jim W. Dean]
L'esercito siriano non sta combattendo in una terra straniera come fanno i mercenari,
 ma sta salvando il proprio paese


Pubblicato per la prima volta il 20 settembre 2016



Una domanda sorge spontanea a causa dell'incremento delle vittime del bombardamento del tutto intenzionale delle posizioni dell'Esercito Arabo Siriano all'aeroporto di Der Ezzor e delle famiglie che seppelliscono i loro morti provocati dal non proprio casuale attacco a un convoglio di profughi curdi vicino a Manjib.

Chi comanda le forze armate USA?

Noi sappiamo questo: gli USA sanno come bombardare. Aerei americani come gli F16 sono aggiornati in continuazione con una spesa di milioni per ogni aereo, dotati di nuovi sistemi di bombardamento e l'aviazione USA adopera solamente bombe a guida GPS, non usa assolutamente munizionamento a caduta libera. Non ci sono scuse. 

Poi ci sono di nuovo i piloti, i più pagati e i più esperti del mondo, alcuni hanno 15 anni di esperienza nel bombardamento su matrimoni, funerali e paesini in giro per il mondo, molti con con record personale di uccisioni di centinaia di civili. Cosa ne ricavo?



Vedo qui due questioni: la prima consiste nel fatto che, secondo le nostre valutazioni, il complesso militare USa, il Pentagono risponde agli elementi estremisti che usano le forze armate USA come una forza mercenaria a sostegno del programma segreto formulato nell' "accademia del caos controllato" di Tel Aviv.

L'avamposto negli USA di questa "accademia" è l' Institute for the Study of War, un think tank gestito da Israele che semplicemente passa ordini al Pentagono, come talvolta sembra, per sabotare la politica estera americana e per aiutare senza dubbio l'ISIS, al Nusra e altri gruppi terroristici.

Come vediamo sempre più di frequente, questi gruppi sono controllati dagli USA e da Israele e includono unità dell'esercito turco mascherati da jihadisti. La maggior parte dei rimanenti sono mercenari pagati dai sauditi. Non c'è alcun Isis e la maggioranza degli altri gruppi e ora ce ne sono oltre 200, sono collegati a società appaltatrici del settore militare che usano le NGO e altre organizzazioni caritatevoli per rifornire i jihadisti e perfino per contrabbandare armi chimiche dalla Turchia e dalla Giordania.

C'è l'altra questione. La questione è che tipo di gente compone l'esercito USA e la massiccia forza di delinquenti ed assassini che ammontano quasi a 150.000, che gli USA hanno introdotto in Medio Oriente e nell'Asia del Sud? Dopo il Vietnam, decine di migliaia di veterani si sono uniti al movimento contro la guerra.




I dissidenti come numero mettono su da soli una forza enorme. Anche l'attuale Segretario di Stato Usa John Kerry, un veterano della guerra del Vietnam, ha apertamente parlato di atrocità commesse dai militari degli Stati Uniti, atrocità stranamente identiche a quelle che sono successe "casualmente" sotto il suo sguardo più e più volte.

Oggi non c'è alcuna voce, fuori o all'interno dei militari, che si levi contro la guerra, solo Chelsea Manning sta marcendo in una cella di una prigione, come sta marcendo nella sua tomba, Pat Tillman. Quindici anni di guerra e solo due? Questo cosa ci dice?

Dalla nostra esperienza personale, quando il redattore di VT, colonnello Jim Hamke e d io ci incontriamo con dei militari di oggi, rimaniamo sbalorditi. Essi ammettono apertamente la tortura, il traffico di droga e invariabilmente sono occupati a baciare rospi che mangiano bugie come se fossero caramelle..

Il col. Jim Hanke di VT – Vietnam

Mi sono unito al movimento contro la guerra nel 1970 e sono rimasto attivo fino al ritiro degli USA. Per alcuni di noi la guerra fu un'arma a doppio taglio. Il Vietnam era diventato come una casa per noi, per qualcuno la sola casa che avesse mai avuto.
Noi sentivamo realmente che la guerra sarebbe continuata per sempre e questo rendeva chiaro che potevamo sempre ritornare in Vietnam con qualche incarico, militare o della CIA e andarcene dagli USA. A nessuno di noi piaceva qui e ancora non ci piace.

Così quando finì la guerra, noi ci sentimmo tristi in quanto il Vietnam aveva rappresentato una scappatoia alla fatica di vivere nel vuoto morale ed intellettuale che erano divenuti gli Stati Uniti. A dispetto del fatto che i combattimenti e le malattie avessero ucciso 2 milioni di militari e veterani, per molti di noi la guerra era l'unica casa mai conosciuta.

Tuttavia, per tanti di noi che abbiano servito in combattimento, non ci siamo mai allineati al programma, non abbiamo mai creduto nella guerra, ci siamo rifiutati di macellare i civili quando ordinato e ci hanno ordinato di fare proprio questo così come i piloti americani lo stanno facendo ora, come è ovvio a chiunque abbia un minimo di discernimento.


Sovrintendere ad un atto di terrorismo false flag del genere 9/11 che ha ucciso migliaia di persone o a guerre chiaramente combattute per il progresso del marcio e della corruzione, richiede una flessibilità morale fuori dal comune e qui tiriamo in ballo un'altra questione

Quando l'America andò in Afghanistan nel 2001, aveva costituito un'alleanza con i cartelli della droga dell'Afghanistan. Essi avevano lavorato per decenni assieme alla CIA, in un'organizzazione conosciuta come Alleanza del Nord. Gli USA li promossero, da minoranza dedita alla pastorizia, di tribù che migravano dalle steppe russe, al ruolo di maggioranza dei Pashtun per mezzo della brutalità e della corruzione.


Essi sono l'attuale governo dell'Afghanistan e la guerra per l'indipendenza continua laggiù ma la trama sottotraccia è la droga. L'America ha trasformato l'Afghanistan da nazione libera dalla droga nel buco infernale con la più grande dipendenza del mondo e nel più grande produttore di eroina estremamente pura.

Il complesso militare USA sovrintendeva ad ogni aspetto dell'affare, lavorando a stretto contatto con membri del Congresso degli USA, che controllano personalmente il rifornimento di eroina nel mondo.

Per anni in Usa si sono  raccontate storie di reti dei trafficanti di droga talebani, di aeroporti segreti, storie molto simili a quelle raccontate nel 2001 da Donald Rumsfeld e Tim Russert su città sotterranee dove i congiurati del 9/11 si erano addestrati. Nel 2001, il Segretario alla Difesa, Donald Rimsfeld affermava che esisteva in Afghanistan, una dozzina di città sotterranee, alcune a 5 livelli, con strade e ospedali, dimora centinaia di migliaia di persone, una giustificazione per l'invasione USA.

Nel 2016 gli Stati Uniti non hanno ancora scoperto tutto questo, e nessuno nel mondo militare degli Stati Uniti ha ancora detto una parola. Non hanno mai detto una parola, fatto che ci riporta alla questione della droga. Qual è la percentuale del Pentagono? Come fanno a distribuire il denaro? Quanto ci guadagna un generale?

Colonel David Hackworth

Noi sappiamo con certezza questo, sono pagati. Noi conosciamo dove hanno i loro conti correnti, alle isole Cayman, sappiamo che sono gestiti dalla Bain Capital di Mitt Rowney e sappiamo che quei miliardi finanziano fondazioni che li riciclano in riserve di caccia private, prendono in leasing Mercedes, spediscono figli ad Harvard ed in viaggi della perversione nelle capitali mondiali del peccato. 

Questo è il vero Pentagono, questa è gente che prega tutti i giorni, che ha il petto pieno di medaglie e si pavoneggia in giro, aspettandosi di essere adulata dall'ignorante pubblico americano. 

Uno dei fondatori di VT, il colonnello David Hackworth, il soldato più decorato degli ultimi 100 anni, veterano della II GM, della guerra di Corea e di quella del Vietnam, è il solo ufficiale del Pentagono degno di sventolare la bandiera. Autore di bestseller, ha trascorso il resto della sua vita a denunciare la corruzione del Pentagono, e la complicità dei militari con i gangster.

Hackworth è stato l'unico, non ce ne sono stati altri, nessuno ha mai aperto bocca, né sulla droga, né sui 3 milioni di miliardi di danaro dei contribuenti rubato dagli appaltatori militari, né sulla tortura e neanche certamente sull'attitudine dei militari di operare in giro per il mondo agli ordini dei banchieri e dei trafficanti di droga che parecchi anni fa li hanno comprati armi e bagagli.

Hack ha sempre combattuto per questo paese
 ed è stato punito per questo

I nostri rilievi potrebbero essere infiniti. Certamente la debole leadership politica e i gruppi potenti e ben finanziati che controllano Washington, una combinazione fra operazioni bancarie, crimine organizzato, particolare interessi e il nesso Israele/Arabia Saudita/Turchia/terrorismo, hanno lasciato l'America prostrata e pronta alla sottomissione.
L'esercito americano ha anche un collegamento più debole col Congresso, roba da non crederci, di quello con l'esercito dei principi profumati da tempo in balia dei nemici dell'America.


Dove ci porterà una realistica analisi? La verità è che nessuno vuole andare lì. La verità, se esiste una cosa del genere, è così oscura, così malevolente, che la condotta di vita dei debosciati leader mondiali impallidisce al confronto.


Quando l'anticomunismo diventa fantascienza: l'invenzione di Stella Krenzbach


REDAZIONE NOICOMUNISTI

Di Luca Baldelli

L'orrendo massacro di Babi Yar

L’Ucraina, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, ha visto l’attivo collaborazionismo dei fascisti di Bandera, riuniti attorno all’OUN (Orhanizatsiya Ukrayins’ kykh Nationalistiv, Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini), il cui braccio armato era la famigerata UPA (Ukrains’ ka Povstans’ka Armija, Esercito Insurrezionale Ucraino). Gli emuli e fedeli alleati ucraini di Hitler, fin dal 12 settembre del 1939 (si presti attenzione alle date!) misero a punto, di concerto con l’Ammiraglio Wilhelm Franz Canaris, capo dell’ABWEHR, il Servizio segreto militare tedesco, la formazione di uno Stato ucraino filo – nazista e anticomunista, da far nascere sulle rovine della Polonia occupata. [vedasi qui e qui]

Alla faccia di quanti sostengono l’autenticità dei Protocolli del Patto Molotov – Ribbentrop, [vedasi qui] fu solo grazie all’intervento sovietico nelle regioni ex polacche a maggioranza ucraina e bielorussa , il 17 agosto del 1939, che all’Europa e al mondo fu risparmiata la nascita di un altro stato fascista e criminale, il quale avrebbe da subito proceduto alla liquidazione di tutte le minoranze etniche, dagli Ebrei ai Russi, passando per i Polacchi [vedasi qui e qui].

Contadini polacchi massacrati dai nazionalisti ucraini in Volinia


Con l’attacco tedesco all’Urss del 22 giugno 1941 (“Operazione Barbarossa“), e la successiva occupazione delle terre sovietiche in Ucraina, Bielorussia, Russia e Paesi Baltici, i nazionalisti ucraini si posero al servizio dei barbari invasori del Terzo Reich, attuando, con ardore e zelo pari alla spietatezza, l’eliminazione di centinaia di migliaia di civili, partigiani, militari dell’Armata Rossa. Molti ucraini entrarono direttamente nei corpi militari tedeschi. Ancora nel 1944, l’UPA, armata di tutto punto dai nazisti, metteva a segno un colpo storico, uccidendo in un attentato l’eroe di Kursk, il mai dimenticato Generale dell’Armata Rossa Nikolaj Fedorovic Vatutin.

Nel dopoguerra, i nazisti ucraini, con Stepan Bandera stesso ed altri esponenti del calibro di Yaroslav Stetsko, Ivan Grinoh, Mykola Lebed, Myroslav Prokop [vedasi qui], vennero inquadrati dai servizi segreti di Usa e Gran Bretagna, ovvero dei nuovi crociati dell’anticomunismo, in operazioni volte a provocare una guerra con l’Urss o, perlomeno, una destabilizzazione economica e politica della prima nazione al mondo con gli operai e i contadini al potere.

Pogrom di Leopoli perpetrato nel 1941 dai nazionalisti ucraini


Così prese avvio nel 1948, sfruttando l’esperienza di azioni eversive attuate fin dal 1945, l’operazione “Aerodinamik“, pilotata dalle centrali della CIA, del CIC (il Counter Intelligence Corps, servizio segreto dell’Esercito americano) e, fino al 1956 circa, dell’MI6 britannico: terroristi e sabotatori dell’UPA clandestina si infiltravano in territorio sovietico, partendo dalle basi dei Paesi occidentali che li ospitavano e li addestravano e, unendosi ai locali elementi clandestini, datisi alla macchia, colpivano industrie, infrastrutture, sedi istituzionali, seminando morte tra i civili e i militari.

Frank Wisner, vecchia volpe dello spionaggio, capo della sezione per le operazioni speciali della CIA, denominata “Ufficio di coordinamento politico“ (OPC), quantificò in 35.000 i militari sovietici e i membri del Partito Comunista dell’URSS uccisi dall’ UPA. Una goccia di franchezza, nel mare dell’intollerabile ipocrisia di un mondo occidentale che negava risolutamente, perfino con sdegno, il suo supporto al terrorismo anticomunista in tutto l’est europeo, o addirittura inventava di sana pianta fantomatici squadroni dell’NKVD (poi MGB) travestiti da brigate dell’UPA per screditare i nazionalisti ucraini.

E già, le invenzioni!

Quante se ne sentirono e se ne continuano a sentire sull’Urss e la sua opera di costruzione del socialismo, di un futuro migliore non solo per i cittadini sovietici, ma per l’umanità tutta!

Una delle invenzioni più assurde, inaudite e dure a morire riguarda proprio l’Esercito Insurrezionale Ucraino. E’ un caso in verità poco conosciuto in occidente, dal vasto pubblico, ma che la dice lunga sul grado di inquinamento informativo attuato da settori dei servizi occidentali e dai fascisti ucraini. Anzi, più che di inquinamento informativo, qui si deve parlare di creazione dal nulla di un personaggio, imposto poi a una parte dell’opinione pubblica come reale, elevato ad eroe, a fulgido esempio di lotta al comunismo.

Massacro di Babi Yar


Si tratta della vicenda di Stella Krenzbach. Gli strateghi dell’UPA, cullati e foraggiati nella mangiatoia della Guerra Fredda, sentirono ad un certo punto il bisogno di scrollarsi di dosso l’accusa di aver ucciso migliaia e migliaia di cittadini ebrei durante l’occupazione nazista dell’Ucraina, accusa comprovata da una quantità enorme di inoppugnabili riscontri. Per agevolare il tutto, verso il 1950 misero in giro la storia, tessuta su una trama commovente, da romanzo, di una certa Stella Krenzbach, un’ebrea ucraina, figlia di un rabbino, che sarebbe stata arrestata dalla famigerata NKVD sovietica, peraltro tutta o quasi formata da ebrei, secondo la vulgata anticomunista e antisemita più volgare e mistificante. Questa “eroina“ avrebbe evitato l’esilio tra i gelidi venti dell’Oriente russo, sfuggendo ai suoi carcerieri e rifugiandosi in clandestinità nelle natie contrade ucraine (quanta poca accortezza nella scelta del luogo!). Qui avrebbe raggiunto le file dell’UPA.

Nel 1945, costei sarebbe stata di nuovo arrestata dall’NKVD, torturata dai biechi bolscevichi e condannata a morte; anche in questo caso, però, miracolosamente (sbadati come pochi, questi agenti sovietici!), sarebbe stata soccorsa dai nazionalisti ucraini e condotta nei Carpazi, dove, sotto la protezione dell’UPA, avrebbe supervisionato la conduzione di un ospedale da campo clandestino. Da qui avrebbe poi raggiunto Vienna e dall’Austria si sarebbe trasferita infine in Israele, entrando alle dipendenze del Ministero degli Affari Esteri, con incarichi di peso.

A narrare le gesta epiche della Krenzbach furono soprattutto i giornali e i fogli dell’emigrazione ucraina in Argentina e in Canada, dove le centrali nazionaliste e fasciste erano particolarmente forti . In particolare, si distinse in questa vicenda il giornale “Nasha Meta“ (“Il nostro obiettivo“) di Toronto (Canada), che nel novembre – dicembre del 1954 uscì più volte sull’argomento, proponendo come esempio la figura di questa “eroina“ e, anzi, pubblicando le “sue“ memorie, riunite sotto al titolo “Sono viva grazie all’UPA“.

Questa “autobiografia“, pur senza raggiungere le dimensioni del best seller, venne diffusa un po’ ovunque, ai quattro punti cardinali. La storia, mentre strappò le lacrime di coccodrilli e sciacalli sempre pronti a commuoversi e a levare alti lai davanti ad immaginarie prodezze mortifere dei comunisti, suscitò, con la sua puzza di bruciato percepibile da chilometri di distanza, lo scetticismo di alcuni coraggiosi giornalisti d’inchiesta, storici ed esponenti politici, anche di destra e perfino interni all’emigrazione nazionalista ucraina.

Il primo a muoversi e a volerci vedere chiaro sulla vicenda fu Philip Friedman, il quale, nel 1958, aveva curato una pubblicazione sulla Resistenza ebraica, patrocinata dal Museo storico dell’Olocausto di Gerusalemme, il celebre Yad Vashem. Friedman interpellò il Ministero degli Esteri israeliano sulla figura di Stella Krenzbach e la risposta fu, per gli anticomunisti in servizio permanente, agghiacciante: non c’era stata mai nessuna donna, rispondente a quel nome, nei ranghi dei funzionari e nemmeno dei normali impiegati.

Nelle pubblicazioni nazionaliste ucraine, specialmente quelle argentine e canadesi, scese una cappa di assordante silenzio. Il castello dell’oscena menzogna si stava disintegrando. Voci ed illazioni circolanti nelle stesse cucine tirarono fuori la storia secondo la quale, dopo la pubblicazione di sue “memorie“ da parte del “Washington Post“, la donna sarebbe stata uccisa in Israele da mani misteriose, con un colpo alla nuca.

Anche in questo caso, fu facile verificare che il giornale statunitense mai aveva pubblicato memorie della fantomatica Stella Krenzbach. A rafforzare il parere di quanti avevano subodorato un clamoroso raggiro, scese in campo una figura al di sopra di ogni sospetto: lo studioso Bohdan Kordiuk, elemento di spicco dell’emigrazione ucraina nazionalista in Germania occidentale.

Costui scrisse nel luglio del 1958 un pezzo in “Suchasna Ucraina“ (“Ucraina contemporanea“ ), organo dei seguaci dell’UPA a Monaco di Baviera, nel quale sottolineò che nessuno dei veterani delle formazioni nazionaliste ucraine aveva mai conosciuto o semplicemente sentito nominare Stella Krenzbach. Anche tra gli ebrei conosciuti da Kordiuk e dai suoi sodali, non uno aveva mai udito, neppure per sbaglio, quel nome.

Dunque, l’ “attento storico Friedman“ (così lo qualificò l’insospettabile Kordiuk ) aveva colto nel segno. Quella di Stella Krenzbach era stata null’altro che una bufala, sapientemente costruita, che, sempre per dirla con Kordiuk, non aveva retto “ad un esame critico“. A diradare definitivamente la caligine del giallo, è stato però un giovane storico svedese – americano, Per Anders Rudling, il quale, esattamente come Friedman, inoltrò attorno al 2010 una richiesta di chiarimento al Ministero degli Esteri israeliano e si vide recapitare la stessa risposta inviata all’insigne collega cinquant’anni prima: nessuna donna di nome Stella Krenzbach aveva mai lavorato alle dipendenze del Ministero.

Stella Krenzbach non è mai esistita, se non nella fertile fantasia dei fascisti ucraini!

Il suo mito è servito solo e unicamente ad accreditare l’UPA come formazione non antisemita, “tollerante “ e pure “democratica“ nel dopoguerra, alfine di ampliare la platea dei suoi consensi e dei suoi appoggi, in un momento in cui essi stavano paurosamente vacillando. Si doveva nascondere l’essenza barbara, criminale e genocida del nazionalismo ucraino, fingendo una sua buona disposizione verso il mondo ebraico e le minoranze.

Opuscolo di propaganda antisovietica della Guerra Fredda


Ciò, in un momento in cui, a metà degli anni ’50, le forze di intelligence e militari sovietiche, forti del più ampio appoggio popolare in quell’Ucraina a nome della quale i fascisti pretendevano di parlare, stavano spazzando via gli ultimi focolai del sanguinoso terrorismo nazionalista eterodiretto, eliminando contestualmente anche agenti della CIA e del CIC penetrati nel Paese.

Come sempre, l’anticomunismo e l’antisovietismo erano stati capaci di spacciare solo merce avariata, in mancanza di solidi argomenti e di una dignità politica e storica sulla quale fare affidamento. Anzi, questa volta si erano superati, toccando le vette della fantascienza, inventando a tavolino una vita, un’esistenza che mai aveva calcato il suolo terreno.

Stella Krenzbach, questa creatura mitica, partorita dalla fantasia deviata dei nemici dell’umanità, non è stata se non l’esasperazione, l’acme di una strategia della menzogna che da Katyn [vedasi qui, qui, qui e qui] a Bandera, passando per la negazione di Babi Yar [vedasi qui], ha preteso riabilitare il fascismo come strumento della Guerra Fredda e come industria dell’assassinio, del complotto, della repressione, dell’eversione.

Riferimenti:

John Paul Himka – “Falsifying World War II history in Ukraine” (online)

Philip Friedman – “Ukrainian-Jewish Relations During the Nazi Occupation”, Yivo Institute for Jewish Research, 1959

Per A. Rudling – “The OUN, the UPA and the Holocaust: A Study in the Manufacturing of Historical Myths”, The Carl Beck Papers in “Russian & East European Studies”, No. 2107. Novembre 2011

domenica 25 settembre 2016

Le bugie concernenti la storia dell'Unione Sovietica in PDF

REDAZIONE NOICOMUNISTI

Di Guido Fontana Ros




Mettiamo a disposizione di tutti i lettori il PDF della traduzione dello studio del compagno Mario Sousa, con note, tabelle, link e immagini:


LE BUGIE CONCERNENTI LA STORIA DELL'UNIONE SOVIETICA

Il caso Olberg e la collaborazione tattica tra Trotskij e i nazisti

REDAZIONE NOICOMUNISTI

Di Guido Fontana Ros



L'immagine esemplifica quello che viene creduto dal gran pubblico ancora oggi: i Processi di Mosca furono una farsa creata da Stalin per eliminare gli avversari nella lotta per il potere assoluto.

Non è assolutamente così, la verità storica è ben altra.

Ne abbiamo parlato spesso su queste pagine e ne parleremo ancora.

Presentiamo un eccellente studio sul caso di Valentin Olberg, accusato di esser entrato in URSS  con un falso passaporto per organizzare l'assassinio del compagno Stalin su ordine di  Trotskij.

Naturalmente per la vulgata anticomunista diffusa in primis dai trotzkisti, Valentin Olberg non è nient'altro che un agente provocatore sovietico.

La realtà è ben diversa.

Leggetelo e diffondetelo.

LINK ALLO STUDIO

venerdì 23 settembre 2016

Le bugie concernenti la storia dell'Unione Sovietica - IV

REDAZIONE NOICOMUNISTI


DI MARIO SOUSA

FONTE

Traduzione di Guido Fontana Ros


Che dire? Siamo alla puntata conclusiva dello scritto del compagno Sousa, apparso nel 1996; da allora la ricerca della verità storica sul periodo della costruzione del socialismo in URSS ha fatto grandi progressi, di cui abbiamo dato conto nel nostro blog con parecchi articoli che potrete trovare nella sezione: E allora le foibe?
In questa ultima parte il compagno Sousa tratta dei complotti e dei sabotaggi per rovesciare il governo dell'URSS cui posero fine(?) i Processi di Mosca.
Le bugie concernenti la storia dell'Unione Sovietica - parte IV

di Mario Sousa

Un fattore importante: la mancanza di medicinali
Cerchiamo ora di rispondere alla terza domanda. Quante persone sono morte nei campi di lavoro? Il numero varia di anno in anno, dal 5,2% nel 1934 al 0,3% nel 1953. I morti nei campi di lavoro erano causati dalla generale carenza di risorse della società nel suo complesso, in particolare mancavano i farmaci necessari a combattere le epidemie. Questo problema non si limitava ai campi di lavoro, ma era presente in tutta la società, come nella maggior parte dei paesi del mondo. Una volta che gli antibiotici furono scoperti e diventati di uso comune dopo la Seconda Guerra Mondiale, la situazione cambiò radicalmente.

Infatti gli anni peggiori furono gli anni della guerra, quando i barbari nazisti imposero condizioni di vita molto dure a tutti i cittadini sovietici. Durante quei 4 anni, più di mezzo milione di persone morirono nei campi di lavoro, pari alla metà del numero totale dei morti per tutto il periodo di 20 anni in questione. Non dimentichiamo che nello stesso periodo, gli anni della guerra, 25 milioni di persone morirono tra coloro che erano liberi. Nel 1950 quando le condizioni in Unione Sovietica erano migliorate e gli antibiotici erano state introdotti, il numero di persone che morirono in carcere, scese al 0,3%.

Torniamo ora alla quarta domanda. Quante persone sono state condannate a morte prima del 1953, in particolare durante le purghe del 1937 - 38? Abbiamo già fatto notare l'affermazione di Robert Conquest secondo cui i bolscevichi uccisero 12 milioni di prigionieri politici nei campi di lavoro tra il 1930 e il 1953. Di questi, 1 milione si suppone sia stati ucciso tra il 1937 e il 1938. I dati di Solzhenitsyn balzano a decine di milioni di pretesi morti nei campi di lavoro, di cui 3 milioni nel solo 1937 - 38. Cifre ancora più elevate sono state citate nel corso della sporca guerra di propaganda contro l'Unione Sovietica. La russa Olga Shatunovskaya, per esempio, cita una cifra di 7 milioni di morti nelle purghe del 1937 - 38.

I documenti che ora emergono dagli archivi sovietici, però, raccontano una storia diversa. È necessario menzionare qui, tanto per cominciare, che il numero dei condannati a morte è raccolto da diversi archivi e che i ricercatori, per arrivare ad una cifra approssimativa, hanno dovuto raccogliere dati da questi vari archivi in un modo che dà luogo ad un rischio di doppio conteggio e quindi di produzione di stime superiore alla realtà effettiva. Secondo Dimitri Volkogonov, la persona designata dal Eltsin a farsi carico dei vecchi archivi sovietici, ci furono 30.514 persone condannate a morte dai tribunali militari tra il 1° ottobre 1936 e il 30 settembre 1938. Un’altra parte di informazioni provengono dal KGB: secondo le informazioni rilasciate alla stampa nel febbraio 1990, ci furono 786.098 persone condannate a morte per crimini contro la rivoluzione nel corso dei 23 anni tra il 1930 3 il 1953. Di questi condannati secondo il KGB, 681.692 furono condannati tra il 1937 e il 1938. Non è più possibile controllare due volte i dati del KGB, ma quest’ultima parte di informazioni è aperta al dubbio. Pare molto strano che tante persone siano state condannate a morte in soli due anni. È possibile che l’attuale KGB filocapitalista ci dia una corretta informazione proveniente dal KGB filosocialista? Sia come sia, resta da verificare se le statistiche che sono alla base delle informazioni del KGB includano tra i condannati a morte nel corso dei 23 anni anche i criminali comuni, oppure solo i controrivoluzionari come attestato a un comunicato del KGB del febbraio 1990. Gli studi sugli archivi tendono anche a concludere che il numero dei criminali comuni e il numero dei controrivoluzionari condannati a morte era approssimativamente uguale.

La conclusione che possiamo trarre da questo è che il numero dei condannati a morte nel 1937 - 38 fu vicino ai 100.000 e non a diversi milioni come è stato affermato dalla propaganda occidentale.

È inoltre necessario tenere a mente che non tutte le condanne a morte in Unione Sovietica erano in realtà eseguite. Una gran parte delle condanne a morte furono commutate in detenzione nei campi di lavoro. È altresì importante distinguere tra criminali comuni e controrivoluzionari. Molti dei condannati a morte avevano commesso crimini violenti come omicidio o stupro. 60 anni fa questo tipo di reati erano punibili con la morte in un gran numero di paesi.

Domanda n° 5: A quanto ammontavano in media le condanne? La durata delle pene detentive è stato oggetto dei pettegolezzi più volgari della propaganda occidentale. L'insinuazione di solito era quella di affermare che in Unione Sovietica, a un detenuto toccassero interminabili anni di carcere e che nessuno riusciva più ad uscirne. Questo è completamente falso. La stragrande maggioranza di coloro che finirono in carcere ai tempi di Stalin furono infatti condannati per un periodo massimo di 5 anni.
Le statistiche riprodotte nell’American Historical Review mostrano i fatti reali. I criminali comuni nella Federazione Russa nel 1936 ricevettero le seguenti condanne:
fino a 5 anni: 82,4%;
tra i 5 e 10 anni: 17,6%.
10 anni era il termine massimo di prigione prima del 1937.

I prigionieri politici condannati nei tribunali civili dell'Unione Sovietica nel 1936 ricevettero le seguenti condanne:
fino a 5 anni: 44,2%;
tra i 5 e 10 anni 50,7%.

Per quanto riguarda i condannati nei campi di lavoro del gulag, dove si scontavano le condanne più lunghe, le statistiche del 1940 ci mostrano che i condannati fino a 5 anni erano il 56,8% e quelli condannati tra i 5 e i 10 anni il 42,2%. Solo l'1% era condannato a oltre 10 anni.

Per il 1939 abbiamo le statistiche prodotte dai tribunali sovietici. La distribuzione delle pene detentive è il seguente:
fino a 5 anni: 95,9%;
da 5 a 10 anni: 4%;
oltre 10 anni: 0,1%.

Come possiamo vedere, la presunta eternità delle pene detentive in Unione Sovietica è un altro mito diffuso in Occidente per combattere il socialismo.

Le menzogne sull'Unione Sovietica
Di seguito una breve discussione per quanto riguarda i rapporti delle ricerche.
La ricerca condotta dagli storici russi mostra una realtà del tutto diversa da quella insegnata nelle scuole ed università di tutto il mondo capitalistico nel corso degli ultimi 50 anni. Nel corso di questi 50 anni di Guerra Fredda, diverse generazioni hanno imparato solo bugie circa l'Unione Sovietica, che hanno lasciato una profonda impressione su molte persone. Questo fatto è anche sostanziato nelle relazioni prodotte dalle ricerche francesi e americane.

In questi rapporti sono riportati dati, cifre e tabelle dl numero dei condannati e dei deceduti. Queste cifre sono oggetto di accese discussioni, ma la cosa più importante da notare è che a nessuno interessa mai sapere dei crimini commessi dai condannati. La propaganda politica capitalista ha sempre presentato prigionieri sovietici come vittime innocenti ed i ricercatori hanno accolto questa ipotesi, senza metterla mai in discussione. Quando i ricercatori guardano oltre le loro colonne di statistiche per commentare i fatti, viene alla ribalta loro ideologia borghese con esiti a volte macabri. Coloro che furono condannati dal sistema penale sovietico sono trattati come vittime innocenti, ma il nocciolo della questione è che la maggior parte di loro erano ladri, assassini, stupratori, etc.

I criminali di questo tipo non sarebbero mai stati considerati come vittime innocenti da parte della stampa, se i loro crimini fossero stati commessi in Europa o negli Stati Uniti, ma dal momento che i reati sono stati commessi in Unione Sovietica, è diverso.

Definire vittima innocente un assassino o un maniaco stupratore è un gioco molto sporco.

Almeno un po’ di buon senso dovrebbe essere adoperato parlando della giustizia sovietica, almeno in relazione ai criminali condannati per crimini violenti, anche se non può essere gestito in relazione alla natura del punizione, poi, almeno per quanto riguarda la proprietà di persone sentenze di che hanno commesso crimini di questo tipo.

I kulaki e la controrivoluzione
Nel caso dei controrivoluzionari, è anche necessario considerare i crimini di cui erano accusati. Diamo due esempi per dimostrare l'importanza di questa domanda: il primo riguarda i kulaki condannati all'inizio degli anni ‘30 e il secondo i cospiratori e controrivoluzionari condannati nel 1936 - 38.

Secondo le relazioni dei ricercatori nella misura in cui trattano dei kulaki, i contadini ricchi, ci furono 381.000 famiglie, cioè circa 1,8 milioni di persone mandate in esilio. Un piccolo numero di queste persone furono condannate a scontare la pena in campi di lavoro o colonie, ma cosa fu a portare a queste pene?

I contadini russi ricchi, i kulaki, avevano sottoposto per centinaia di anni i contadini poveri all’oppressione ed allo sfruttamento sfrenato. Dei 120 milioni di contadini che c’erano nel 1927, 10 milioni di kulaki vivevano nel lusso, mentre i restanti 110 milioni vivevano in condizioni di povertà. Prima della Rivoluzione la maggioranza aveva vissuto nella povertà. La ricchezza dei kulaki si basava sul lavoro malpagato dei contadini poveri. Quando i contadini poveri iniziarono a unirsi nelle fattorie collettive, la principale fonte di ricchezza dei kulaki scomparve.

Tuttavia i kulaki non si arresero. Cercarono di ripristinare lo sfruttamento mediante l'uso della carestia. Gruppi armati di kulaki attaccarono le fattorie collettive, uccisero contadini poveri e funzionari del Partito, diedero fuoco ai campi e uccisero gli animali da lavoro. Provocando la fame tra i contadini poveri, i kulak stavano cercando di perpetuare la povertà e la propria posizione di potere. Gli eventi che seguirono non furono quelli previsto da questi assassini. Questa volta i contadini poveri avevano il sostegno della Rivoluzione e dimostrarono di essere più forti dei kulaki, che furono sconfitti, imprigionati e mandati in esilio o condannati a pene nei campi di lavoro.

Dei 10 milioni di kulaki, 1,8 milioni furono esiliati o condannati. Possono essere state perpetrate ingiustizie nel corso di questa massiccia lotta di classe nelle campagne sovietica, una lotta che coinvolse 120 milioni persone, ma possiamo incolpare i poveri e gli oppressi, nella loro lotta per una vita degna di essere vissuta, per far sì che i loro figli non fossero degli analfabeti affamati, di non essere sufficientemente “civilizzato” o di non aver dimostrato abbastanza “misericordia” nei loro tribunali? Si può puntare il dito contro persone che per centinaia di anni non hanno avuto accesso ai progressi fatti dalla civiltà, accusandole di non essere civilizzate? E diteci, quando mai i kulak sfruttatori furono civili o misericordiosi nei loro rapporti con i contadini poveri nel corso di anni senza fine di sfruttamento?

Le purghe del 1937
Il nostro secondo esempio, quello attinente ai controrivoluzionari condannati nei processi del 1936 - 38 che seguirono alle purghe nel Partito, nell'esercito e nell'apparato statale, ha le sue radici nella storia del movimento rivoluzionario in Russia. Milioni di persone parteciparono alla lotta vittoriosa contro lo zar e la borghesia russa e molti di questi si iscrissero al Partito Comunista russo. Tra tutte queste persone ci furono, purtroppo, alcuni che entrarono nel Partito per ragioni diverse dalla lotta per il proletariato e per il socialismo, ma la lotta di classe era tale che spesso non c'era né il tempo né l'opportunità di mettere alla prova i nuovi militanti del Partito. Anche i militanti di altri partiti che si definivano socialisti e che aveva combattuto il Partito Bolscevico furono ammessi nel Partito Comunista. Ad un certo numero di questi nuovi attivisti furono dati importanti posizioni nel Partito Bolscevico, nello Stato e nelle forze armate, a seconda della loro capacità individuale di condurre la lotta di classe. Erano tempi molto difficili per il giovane Stato sovietico e la grande carenza di quadri o addirittura di persone che sapessero leggere, costrinse il Partito a farsi poche domande per quanto riguardava la qualità dei nuovi attivisti e quadri. A causa di questi problemi, sorse nel tempo una contraddizione che divise il partito in due campi, da una parte coloro che volevano spingere in avanti la lotta per costruire una società socialista e dall’altra parte chi pensava che le condizioni non erano ancora mature per la costruzione del socialismo e che promuoveva la socialdemocrazia. L'origine di queste idee si trovava in Trotskij, che aveva aderito al partito nel luglio 1917. Trotsky fu in grado di assicurarsi il sostegno di alcuni dei bolscevichi più noti del tempo. Questa opposizione si riunì contro l’originale programma bolscevico che costituiva una delle opzioni politiche oggetto della votazione del 27 dicembre 1927. Prima di questo votazione c’era stato per molti anni un grande dibattito all’interno del Partito, sul cui esito non era rimasto alcun dubbio. Dei 725.000 voti espressi,andarono all'opposizione 6.000, cioè meno dell'1% degli attivisti del Partito sostennero l'opposizione unita.

Come conseguenza del voto e una volta che l'opposizione ebbe iniziato a lavorare per una politica opposta a quella del Partito, il Comitato Centrale del Partito Comunista decise di espellere dal Partito i principali leader dell'opposizione unita. La figura centrale dell'opposizione, Trotsky, fu espulso dall’Unione Sovietica, ma la storia di questa opposizione non finisce qui. Zinoviev, Kamenev e poi Zvdokine dopo aver fatto autocritica, come fecero anche diversi trotskisti importanti, ad esempio Piatakov, Radek, Preobrazhinsky e Smirnov. Ancora una volta furono tutti riammessi nel Partito come attivisti e andarono a rioccupare le cariche precedenti nel Partito e nello Stato. Con il tempo divenne chiaro che le autocritiche fatte dall'opposizione non erano state autentiche, poiché i capi dell’opposizione si schieravano dalla parte della controrivoluzione ogni volta che la lotta di classe in Unione Sovietica si acuiva. La maggioranza degli oppositori furono espulsi e riammessi un altro paio di volte prima che la situazione si chiarisce completamente nel 1937 - 38.

Il sabotaggio industriale
L'omicidio nel dicembre 1934 di Kirov, il presidente del Partito di Leningrado e uno dei personaggi più importanti del Comitato Centrale, diede il via all'indagine che avrebbe portato alla scoperta di un'organizzazione segreta impegnata nella preparazione di un complotto per assumere la guida del Partito e il governo del paese con la violenza. La lotta politica che avevano perso nel 1927, ora speravano di vincerla con la violenza organizzata contro lo Stato. Le loro armi principali erano il sabotaggio industriale, il terrorismo e la corruzione. Trotsky, l'ispirazione principale dell'opposizione, dirigeva le loro attività dall'estero. Il sabotaggio industriale causò terribili perdite allo Stato sovietico, con enormi costi, per esempio, macchinari importanti furono danneggiati in modo tale da impedirne la riparazione per cui vi fu un enorme calo della produzione nelle miniere e nelle fabbriche.

Una delle persone che nel 1934 descrisse il problema fu l'ingegnere americano John Littlepage, uno degli specialisti stranieri con un contratto di lavoro in Unione Sovietica.

Littlepage trascorse 10 anni di lavoro nell’industria mineraria sovietica, dal 1927 al 1937, soprattutto nelle miniere d'oro. Nel suo libro “In Search of Soviet Gold” [Alla ricerca dell’oro sovietico], scrisse:

“Non ho mai avuto alcun interesse per le sottigliezze delle manovre politiche in Russia fino a quando ho potuto evitarle, ma ho dovuto studiare quello che stava accadendo nell’industria sovietica, al fine di fare il mio lavoro. E io sono fermamente convinto che Stalin e i suoi collaboratori impiegarono molto tempo prima di scoprire che i comunisti rivoluzionari scontenti fossero i loro peggiori nemici”.

Littlepage scrisse anche che la sua esperienza personale confermava la dichiarazione ufficiale secondo la quale un grande complotto diretto dall'estero stava usando un’enorme sabotaggio industriale come parte dei suoi piani per forzare la caduta del governo. Nel 1931 Littlepage si era già sentito in dovere di prendere atto di questo, mentre lavorava nel comparto del rame e del bronzo negli Urali e nel Kazakistan. Le miniere erano parte di un grande impianto industriale per la produzione di rame/bronzo sotto la direzione generale dil Piatakov, Vice Commissario del Popolo per l'Industria Pesante. Le miniere erano in uno stato catastrofico per quanto riguardava la produzione e il benessere dei lavoratori era minacciato.

Littlepage giunse alla conclusione che vi fosse un sabotaggio in corso organizzato in corso dall'alto nella gestione del complesso del rame/bronzo.

Il libro di Littlepage ci dice anche come l'opposizione trotzkista otteneva il denaro necessario pagare per questa attività controrivoluzionaria. Molti membri dell'opposizione segreta abusavano della loro posizione per approvare l'acquisto di macchine da alcune fabbriche all'estero. I prodotti approvati erano di qualità molto inferiore a quelli per cui il governo sovietico aveva effettivamente pagato. I produttori esteri trasferivano all’organizzazione di Trotsky il surplus da tali operazioni, a seguito del quale Trotsky e i suoi cospiratori in Unione Sovietica continuavano ad ordinare da questi produttori.

Furti e corruzione
Questa procedura fu osservata da Littlepage a Berlino nella primavera del 1931, quando si trattava dell'acquisto di impianti industriali per miniere. La delegazione sovietica era guidata da Piatakov, con Littlepage come specialista incaricato di verificare la qualità degli impianti e di approvare l'acquisto. Littlepage scoprì una frode che coinvolgeva la bassa qualità dei montacarichi, inutile ai fini sovietici, ma quando informò Piatakov e gli altri membri della delegazione sovietica di questo fatto, si trovò di fronte ad una fredda accoglienza, come se si volesse trascurare questi fatti e all’insistenza per l’approvazione dell'acquisto degli impianti di montacarichi. Littlepage non voleva acconsentire. A quel tempo pensava che ciò che stava accadendo coinvolgesse solo la corruzione personale e che i membri della delegazione fossero stati corrotti dai costruttori di montacarichi. Ma dopo che Piatakov, nel processo del 1937, confessò i suoi legami con l’opposizione trotzkista, Littlepage fu condotto alla conclusione che ciò a cui aveva assistito a Berlino era molto di più che corruzione a livello personale. Il denaro in questione era destinato a pagare le attività dell'opposizione segreta in Unione Sovietica, attività che comprendevano sabotaggio, terrorismo, corruzione e propaganda.

Zinoviev, Kamenev, Piatakov, Radek, Tomsky, Bucharin e altri molto amati dalla stampa occidentale borghese, utilizzarono le posizioni loro affidate dal popolo sovietico e dal Partito per rubare i soldi dello Stato, al fine di consentire ai nemici del socialismo di usare quel denaro per scopi di sabotaggio nella loro lotta contro la società socialista in Unione Sovietica.

I piani per un colpo di stato
Il furto, il sabotaggio e la corruzione sono gravi crimini in sé, ma le attività dell'opposizione andarono parecchio oltre. Una cospirazione controrivoluzionaria era in fase di preparazione ed era finalizzata a prendere il potere per mezzo di un colpo di stato in cui tutta la dirigenza sovietica sarebbe stata eliminata, a cominciare con l'assassinio dei più importanti membri del Comitato Centrale del Partito Comunista. La parte militare del colpo di stato sarebbe stata effettuata da un gruppo di generali guidati dal maresciallo Tukhachevsky.

Secondo Isaac Deutscher, egli stesso un trotzkista, che ha scritto diversi libri contro Stalin e l’Unione Sovietica, il golpe avrebbe dovuto essere avviato da un'operazione militare al Cremlino e contro le importanti guarnigioni di grandi città come Mosca e Leningrado. La cospirazione era, secondo Deutscher, guidata da Tukhachevsky insieme a Gamarnik, capo del Commissariato Politico dell'esercito, al generale Yakir, comandante della piazza di Leningrado, al generale Uborevich, comandante delle forze armate dell’Accademia militare di Mosca e al generale Primakov, comandante della cavalleria.

Il maresciallo Tuchacevskij era stato un ufficiale dell'ex esercito zarista che, dopo la Rivoluzione, passò nell’Armata Rossa. Nel 1930 quasi il 10% degli ufficiali (circa 4.500) erano ex ufficiali zaristi. Molti di loro non avevano mai abbandonato i loro punti di vista borghesi e stavano solo aspettando l'opportunità di lottare per le loro idee.

Questa opportunità nacque quando l'opposizione stava preparando il suo colpo di stato.

I bolscevichi erano forti, ma i cospiratori civili e militari cercarono di radunare un gruppo ben più forte di complici. Secondo la confessione di Bucharin resa nel suo processo pubblico nel 1938, fu raggiunto un accordo tra l'opposizione trotzkista e la Germania nazista, in cui grandi territori, tra cui l'Ucraina, sarebbero stati ceduti alla Germania nazista dopo il colpo di stato controrivoluzionario in Unione Sovietica. Questo era il prezzo richiesto dalla Germania nazista per la sua promessa di sostegno ai controrivoluzionari. Bucharin era stato informato di questo accordo da Radek, che aveva ricevuto un ordine da Trotsky sulla questione. Tutti questi cospiratori che erano stati scelti per occupare alti incarichi per guidare, amministrare e difendere la società socialista, in realtà stavano lavorando per distruggere il socialismo. Soprattutto è necessario ricordare che tutto questo accadeva nel 1930, quando il pericolo nazista era crescente, e l’esercito nazista si stava costituendo per incendiare l’Europa e ad invadere l'Unione Sovietica.

I cospiratori furono condannati a morte come traditori dopo un processo pubblico. I colpevoli di sabotaggio, di terrorismo, di corruzione, di tentato omicidio e chi aveva voluto consegnare parte del paese ai nazisti, non potevano aspettarsi niente altro. Definirli vittime innocenti è completamente sbagliato.

Ancora più bugiardi
È interessante vedere come la propaganda occidentale, tramite Robert Conquest, ha mentito circa le purghe dellArmata Rossa. Conquest dice nel suo libro The Great Terror che nel 1937, c’erano 70.000 ufficiali e commissari politici dell'Armata Rossa e che il 50% di loro (cioè, 15.000 ufficiali e 20.000 commissari) furono arrestati dalla polizia politica e furono o giustiziati o imprigionati a vita nei campi di lavoro. In questa affermazione di Conquest, come in tutto il suo libro, non c'è una parola vera. Lo storico Roger Rees, nella sua opera The Red Army and the Great Purges [L’Armata Rossa e le grandi purghe], espone i fatti che mostrano la reale portata delle purghe nell’esercito nel 1937 – 38. Il numero di persone nei ruoli direttivi dell’esercito e dell’aviazione, cioè ufficiali e commissari politici, era di 144.300 nel 1937, cifra che aumentò a 282.300 nel 1939. Durante le purghe del 1937 - 38, 34.300 ufficiali e commissari politici furono espulsi per motivi politici. Nel maggio 1940, tuttavia, 11.596 erano già stati riabilitati e restituiti ai loro posti. Questo fece sì che durante le purghe del 1937 - 38, 22.705 ufficiali e commissari politici furono espulsi (circa 13.000 ufficiali dell'esercito, 4.700 ufficiali dell'aeronautica e 5.000 commissari politici), cifra che ammonta al 7,7% del totale degli ufficiali e dei commissari e non al 50% come sostenuto da Conquest. Di questo 7,7%, alcuni furono condannati come traditori, ma la grande maggioranza di loro, come sembrerebbe da materiale storico disponibile, semplicemente fece ritorno alla vita civile.

Un'ultima domanda. Sono stati equi per gli imputati i processi del 1937 – 38? Esaminiamo, per esempio, il processo di Bucharin, il più alto funzionario del partito che abbia lavorato per l'opposizione segreta. Secondo l'allora ambasciatore americano a Mosca, un avvocato ben noto di nome Joseph Davies, che assistette all’intero processo, a Bucharin fu permesso di parlare liberamente in tutto il processo e di presentare il suo caso senza alcun impedimento. Joseph Davies scrisse a Washington che nel corso del processo fu dimostrato che gli imputati erano colpevoli dei crimini di cui erano stati accusati e che il parere generale tra i diplomatici che avevano frequentano il processo fu che l'esistenza di un complotto molto grave era stato dimostrata.

Impariamo dalla storia
La discussione sul sistema penale sovietico ai tempi di Stalin, su cui si trovano scritti migliaia di articoli e libri e centinaia di film sono stati prodotti per creare false impressioni, ci impartisce alcune importanti lezioni. I fatti dimostrano ancora una volta che le storie pubblicate sul socialismo nella stampa borghese sono per lo più false. La destra può, attraverso la stampa, la radio e la televisione che domina, causare confusione, distorcere la verità e condurre molte persone a credere che le bugie siano la verità. Questo è particolarmente vero quando si tratta di questioni storiche. Eventuali nuove storie provenienti dalla destra dovrebbero essere assunte come false salvo che il contrario possa essere dimostrato. Questo approccio prudente è giustificato. Il fatto è che anche se la destra conosce le relazioni dei ricercatori russi, sta continuando a propinare le bugie degli ultimi 50 anni, benché ora siano state completamente smascherate. La destra continua a perpetuare il suo patrimonio storico: una bugia ripetuta più e più volte finisce per essere accettata come vera. Dopo che le relazioni dei ricercatori russi furono pubblicate in Occidente, un certo numero di libri cominciò ad apparire in diversi paesi; erano finalizzati esclusivamente a mettere in discussione le ricerche russe e a consentire alle vecchie bugie di essere portate all'attenzione del pubblico come nuove verità. Questi libri sono ben presentati, farciti da cima a fondo di menzogne sul comunismo e sul socialismo.

Le bugie della destra sono ripetute al fine di combattere i comunisti di oggi. Essi vengono ripetute in modo che i lavoratori non trovino alcuna alternativa al capitalismo e al neoliberismo. Essi sono parte della guerra sporca contro i comunisti che, soli, hanno un’alternativa da offrire per il futuro, vale a dire, la società socialista. Questo è il motivo per la comparsa di tutti questi nuovi libri contenenti vecchie bugie.

Tutto questo pone degli obblighi a tutti quelli che hanno una visione socialista del mondo e della storia. Dobbiamo assumerci la responsabilità di lavorare per trasformare i giornali comunisti in giornali autentici delle classi lavoratrici al fine di combattere la menzogna borghese! Questo è senza dubbio una missione importante nella lotta di classe di oggi, che nel prossimo futuro si porrà di nuovo con forza rinnovata.

Mario Sousa
15 Giugno 1998
mario.sousa@telia.com