lunedì 31 ottobre 2016

Una compagna poco nota: Olga Benario Prestes (1908-1942)

REDAZIONE NOICOMUNISTI

FONTE

Traduzione di Guido Fontana Ros




La figura di Olga Benario Prestes è quella di un'eroina comunista brasiliana poco conosciuta ma straordinaria.

Olga nacque a Monaco di Baviera, in Germania come Olga Gutmann Benario, da una famiglia ebrea. Nel 1923, all'età di 15 anni entrò a far parte dell'Internazionale della Gioventù Comunista e nel 1928 collabora all'evasione del marito, il compagno Otto Braun, dal carcere di Moabit. Espatriò in Cecoslovacchia e da lì, si riunì con Braun, a Mosca. Come funzionario della Internazionale della Gioventù Comunista, Olga svolse varie missioni; in uno di queste fu imprigionata per breve tempo in Gran Bretagna con l'accusa di spionaggio.

Nel 1934 fu incaricata di aiutare il ritorno in Brasile di Luís Carlos Prestes, il leader del Partito Comunista del Brasile, al quale fu assegnata come guardia del corpo. Al fine di realizzare questa missione, furono realizzati documenti falsi attestanti che i due che fossero una coppia sposata portoghese. Dopo l'insurrezione fallita del novembre 1935, la Benario e suo marito entrarono in clandestinità e dopo esser a malapena sfuggiti a un raid della polizia a Ipanema, entrambi furono arrestati nel gennaio 1936, durante l'aspra campagna anti-comunista del dittatore Getúlio Vargas che aveva proclamato marziale legge e stava già tramando il colpo di stato del 1937 che avrebbe portato alla istituzione del regime fascista poi conosciuto come Estado Novo.

La vera identità di Olga fu scoperta grazie alla stretta collaborazione tra la diplomazia brasiliana e la Gestapo. in seguito alla richiesta di estradizione da parte della Germania nazista e, nonostante una campagna internazionale, Olga fu deportata in Germania nel settembre 1936. Il capitano della nave tedesca che la trasportava, annullò gli scali previsti nei porti europei non tedeschi, al fine di evitare eventuali tentativi comunisti di salvarla. Al suo arrivo, Olga fu messa in prigione, dove diede alla luce una figlia, Anita Leocádia. La bambina fu poi affidata alla nonna, Leocádia Prestes.

Questa coraggiosa comunista, Olga Benario, infine fu inviata al campo di concentramento di Ravensbrück e da lì al Centro di Eutanasia di Bernburg nel 1942, dove fu uccisa nelle camere a gas.

Foto dal film del 2004, "Olga"

Il manifesto del film


Nel 2004 uscì il film "Olga", basato sul libro omonimo di Fernando Morais e diretto dal regista televisivo e cinematografico Jayme Monjardim. I ruoli principali sono interpretati da Camila Morgado, Caco Ciocler, Luís Melo Fernanda Montenegro, Leona Cavalli.

"Olga" ha partecipato al 77° Oscar come miglior film straniero in rappresentanza del Brasile. Inoltre,  il film ha vinto più di venti premi sia a livello nazionale che internazionale.

Di recente, "New Star Art Cinema" ha presentato il film esclusivamente presso il cinema Alkyonis ad Atene, in Grecia. Una presentazione di "Olga" è stata fatta da Liana Kanelli del KKE che lo ha definito "un potente film".

L'anteprima del film 


 La liberazione a mano armata del compagno rivoluzionario Otto Braun



domenica 30 ottobre 2016

Un’emigrazione boicottata: i lavoratori italiani in Cecoslovacchia negli anni ‘40 - ‘50 del ‘900

REDAZIONE NOICOMUNISTI


DI LUCA BALDELLI



Una pagina assolutamente sconosciuta del nostro dopoguerra. La stragrande maggioranza di noi ha sentito parlare esclusivamente di un'emigrazione politica verso la Cecoslovacchia: si trattava di compagni partigiani che dovevano espatriare per sottrarsi alla persecuzione giudiziaria orchestrata dal potere borghese.

Precedente a questa emigrazione ve ne fu un'altra: quella economica.

Appunto di questa emigrazione di lavoratori italiani verso una Cecoslovacchia avviata sulla strada del socialismo, ce ne parla il compagno Luca Baldelli in questo articolo.

venerdì 28 ottobre 2016

Bleiburg: un massacro mai avvenuto?

REDAZIONE NOICOMUNISTI

DI LUCA BALDELLI

 

Questo interessante articolo del compagno Baldelli entra a pieno titolo nella categoria "E le foibe?", destinata a contenere gli articoli e gli studi che smentiscono le menzogne e le mistificazioni non solo anticomuniste ma anche offensive per la verità storica, che infestano attraverso i mezzi di comunicazioni di massa la stragrande maggioranza del pubblico mondiale.

Il tema trattato attiene al massacro mai avvenuto di migliaia, no di decine di migliaia, che dico, di centomila, forse milioni di fascisti e collaborazionisti da parte dell'Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo, a Bleiburg località in Carinzia vicina al confine sloveno, intorno alla metà del maggio 1945.

lunedì 24 ottobre 2016

Chi ha ucciso Motorola...perché?

REDAZIONE NOICOMUNISTI

Di Russell “Texas” Bentley


FONTE

Traduzione di Guido Fontana Ros





Donetsk, DNR, 18 ottobre 2016
Così, Saker, Southfront e Shary dicono cose non c'entrano con la morte di Motorola. Forse, partendo da una prospettiva migliaia di chilometri da dove è successo, pensano di aver qualcosa da dire, ma io che mi trovo a circa 500 metri da dove è successo, so qual'è il mio compito ...

Ci sono stati due precedenti attentati alla vita di Motorola negli ultimi sei mesi ... presso l'ospedale nel mese di giugno e dietro il suo condominio nel mese di agosto. Qualcuno era in giro da un po' per prenderlo. Chiunque lo abbia ucciso ci ha provato prima almeno due volte e non ci è riuscito. Sparta ha una propria unità di intelligence, con collegamenti con i servizi di intelligence della DNR. Se qualcuno era qui per farlo fuori e ci aveva già provato due volte, Motorola dovrebbe aver avuto una qualche idea di chi potesse essere. Se fosse stato qualcuno dalla parte della DNR, certamente si sarebbe reso conto che non c'era modo di sfuggirgli. Sarebbe stato per lui certamente un suicidio rimanere, così come rischiare la vita di moglie e figli. Egli avrebbe potuto facilmente "fare lo Strelkov", trasferirsi in Crimea, dove si sarebbe ritirato a scrivere le sue memorie, denunnciando qualsiasi traditore che pensava ce l'avesse con lui. Tuttavia egli non l'ha fatto. L'ho visto diverse volte, a passeggio con sua moglie e il bambino nel centro della città, fare shopping, andare in palestra. Non era quello che avrebbe fatto se avesse pensato di avere qualcosa di  preoccuparsi alle sue spalle da parte dei suoi compagni o dei leader. Affatto. Era senza paura, ma non così stupido da aspettarsi un evento improbabile, soprattutto con la vita di moglie e figli in gioco.

Zakharchenko riponeva fiducia in Motorola tanto da inviarlo insieme al battaglione  Sparta nella LNR per salvaguardare Plotnitsky durante/dopo il tentativo di colpo di stato. Questa era un incarico di grande responsabilità, che è probabile che sia dato a qualcuno che si sta progettando di uccidere,  qualcuno che si è cercato di uccidere già due volte.

"Edificio ad alta sicurezza?" Sono stato io stesso in quell'edificio più di una volta. Hanno delle babushka di guardia alla porta, non l'MGB o lo Sparta. Si tratta di un edificio di appartamenti a più piani dove dei semi-oligarchi ukrop erano soliti vivere. Gli ukrop hanno i disegni dei progetti di costruzione e probabilmente anche vecchi mazzi di chiavi che potrebbe ancora funzionare. Gli ascensori sono Otis, made in USA. Forse, avevano bisogno di una recente "riparazione", si sa, come è successo per il WTC nel mese di agosto '01. Ci sono molti punti di osservazione, centinaia, da cui un assassino poteva vedere quando Motorola tornasse a casa e la tecnologia per far esplodere una bomba tramite telefono cellulare (2 su 3 servizi di telefonia mobile nel DNR sono ancora di proprietà e di gestione ukrop) è economica e di facile accesso; e se si dispone di un detonatore comandabile dal telefono cellulare, non è nulla aggiungere una macchina fotografica o una funzione microfono all'attrezzatura, per assicurarsi che il bersaglio si trovi nella zona preoposta all'uccisione quando si preme il pulsante.

Ho fiducia e rispetto per A. V.  Zakharchenko. E' un bravo ragazzo e sta facendo un buon lavoro che sicuramente non è facile. Ho visto il suo video ieri sera, e non ho davvero alcun dubbio su ciò che stia facendo. Credo che il termine tecnico sia "FOTTUTAMENTE INCAZZATO". Ha minacciato direttamente l'esercito ukrop e i servizi speciali, cosa che dubito che Mosca abbia pre-approvato. Ha definito A. S. Pavlov [Motorola] suo "buon amico" e penso che dicesse sul serio.
Cosa fa la brigata Sparta Brigata, una delle unità più grandi e più forti di tutto l'esercito novorusso? Se pensassero che Zakharchenko avesse a che fare con questo, sarebbero già per strada e nessuno potrebbe fermarli... ma non lo sono. I suoi uomini e molte altre persone qui amavano Motorola. Zakharchenko avrebbe commesso un suicidio politico ad ucciderlo e quale ragione poteva avere? Solo alcune settimane prima, Motorola si era dimostrato un ufficiale di fiducia e leale a Zakharchenko e alla Nuova Russia nella LNR. A quanto pare, le persone che sono in grado di sapere e di fare qualcosa al riguardo, non credono che sia stato un "inside job".

Cui Bono? A nessuno nella DNR, questo è sicuro e anche a nessuno che abbia cuore il futuro della RF. Motorola è stato un grande comandante... coraggioso, abile e amato dai suoi uomini. La DNR HA BISOGNO di comandanti del genere. E'stata una perdita strategica, da un punto di vista militare. Questa guerra non è ancora finita e potrebbe arrivarne la parte più difficile in un prossimo futuro. Se le cose si riscaldano in Siria, si riscaldano anche qui. La situazione è ancora caldo come l'inferno al fronte e ogni giorno diventa sempre più calda, qui e in Siria. La guerra va avanti, e non possiamo permetterci di far fuori i nostri migliori comandanti. Se l'esercito cade, cade la Repubblica e il nostro esercito ha subito una grave perdita di ieri sera. A mia conoscenza, Motorola non era alla ricerca di potere politico e non era in conflitto con l'amministrazione. Egli non era in lizza per incarichi o per le elezioni primarie; egli non ha mai fatto gran che dichiarazioni pubbliche di politica o di qualsiasi altro argomento.

Questa sera, i fascisti di Kiev e statunitensi stanno celebrando l'uccisione di uno dei loro nemici più potenti e carismatici. Qualcuno cui hanno frustato il culo all'aeroporto di Donetsk e lungo tutta il fronte del Donbass. L'unica cosa che potrebbe renderli ancora più felici sarebbe quella di vedere che sospetti e scontri scoppiassero tra Sparta e l'amministrazione o che altri comandanti della DNR cominciassero a chiedersi  quale sarà il prossimo a ricevere la proverbiale pugnalata alla schiena. Tuttavia questo non succederà, perché la verità è chiara a tutti coloro che esprimono opinioni che qui importano. Sono stati i fottuti ukropi a farlo. Ci hanno provato due volte prima e non ci sono riusciti. Questa volta, hanno mandato un A-team e alla fine hanno portato a termine il lavoro. Invece di seminare sospetto e discordia, questo attentato ci ha fatti stringere assieme per affrontare il reale e comune nemico.

I sospetti di un "lavoro interno" non sono solo infondati, sono pericolosi. Non c'era alcun motivo per chiunque nella DNR o nella RF di voler Motorola morto, mentre tutte le ragioni erano dalla parte dei fascisti di Kiev. I fascisti, proprio come con l'MH-17, avevano il movente, i mezzi e l'opportunità. Motorola si fidava del suo leader e dei compagni. Le sue azioni e gli eventi successivi lo dimostrano. Nessuna persona seria qui pensa che sia stato chiunque altro che i sabotatori Ukrop ad ucciderlo questa volta, che hanno tentato due volte prima di ... capitemi. La discordia tra compagni pugnala alla schiena tutta la DNR, la Nuova Russia e la Federazione Russa. Abbiamo bisogno di unità ora, per quanto abbiamo fatto durante i giorni più bui della guerra, perché giorni ancora più scuri potrebbero presto piombare su di noi.

Io rispetto  Saker, Shary e Southfront e sono sorpreso che abbiano esposto queste speculazioni senza alcuna prova. Se c'è qualche prova che Motorola avesse  avuto problemi con i compagni qui, vediamole. Tuttavia non ne vedo alcuna e vivo a Donetsk e ho amici qui a conoscenza di cose che di solito non sono rese pubbliche. Ci sono stati alcuni omicidi inquietanti e magari anche sospetti, di comandanti novorussi, ma sono avvenuti tutti nella LNR, non qui. Del resto io non parlo su Plotnitsky o sul funzionamento del LNR perché semplicemente non ne so nulla e lo ammetto. Tuttavia so che la DNR non è la LNR. Zakharchenko non è Plotnitsky e gode qui di un meritato sostegno popolare e non ha alcun buon motivo per rischiare di perdere tutto uccidendo uno dei suoi migliori amici e compagni. Non è un pazzo e sa che il suo destino sarà lo stesso della DNR. Attaccare Motorola sarebbe un attacco contro tutta la DNR, quindi contro stesso. Pensateci. I fascisti Ukrop e americani avevano tutte le ragioni per voler Motorola morto. Il governo di qui (e gli ambienti vicini) aveva tutte le ragioni per non farlo, tra cui una delle ragioni più importanti è che la sua morte avrebbe causato proprio voci infondate e sospetti. A tutti coloro che speculano senza prove, dico che le loro speculazioni sono stupide e pericolose. Se  disponete di qualche prova, vediamola. Esponetela o state zitti.



sabato 22 ottobre 2016

Solzhenitsyn: agente dell’imperialismo, anticomunista convinto, desideroso di riportare indietro le lancette della storia.

REDAZIONE NOICOMUNISTI

DI LUCA BALDELLI

 

Sulle menzogne che hanno costellato il cammino di agit – prop anticomunista e antisovietico di Aleksandr Isaevich Solzhenitsyn, abbiamo ampiamente scritto e dibattuto: le mistificazioni indecenti sulla sua condanna alla detenzione, sul regime dei GULAG, sul numero di detenuti nelle strutture concentrazionarie sovietiche, sul suo ruolo di "dissidente", sono state dettagliatamente passate in rassegna in articoli e saggi qui pubblicati. Vale la pena soffermarsi, ora, su una serie di episodi ai quali precedentemente si è accennato, che dimostrano inequivocabilmente come lo scrittore "dissidente" russo abbia difeso il fascismo e l’imperialismo non in chiave letteraria, e non solo in Urss, ma apertamente e deliberatamente nel corso di incontri, viaggi e da tribune tutt'altro che neutre o poco influenti. Si è sempre cercato di nascondere, ad esempio, quando non lo si è negato, che Solzhenitsyn sia stato un sostenitore del regime autoritario e genocida di Pinochet in Cile. Le evidenze emerse negli anni '70 e dopo, rendono invece chiaro e certo che il "dissidente" tanto preoccupato dalla mancanza (secondo lui) di libertà nell’Urss, non era in eguali ambasce per la negazione sistematica dei diritti umani, le torture e i massacri attuati dalla giunta militare cilena. Solzhenitsyn lodò pubblicamente Pinochet e altri dittatori anticomunisti più volte, giustificando i golpe e le successive repressioni di comunisti, progressisti e democratici. Per Solzhenitsyn, la libertà era ad ovest, nel mondo capitalista, un paravento degli odiati comunisti per raggiungere il potere, paravento da distruggere ed annientare, puntellando le peggiori dittature, mentre ad est diventava, come per magia, istanza indiscutibile da sostenere in ogni modo contro i comunisti stessi. Una malafede assoluta, da parte di un uomo accecato dall'odio contro ogni fermento progressista, contro ogni rivendicazione di progresso, pace e vera democrazia. Alla televisione francese, il 9 marzo 1976, lo scrittore megafono dell'antisovietismo si produsse in una subdola e scandalosa difesa, questa volta indiretta del regime di Pinochet in Cile, sostenendo che egli non aveva alcuna intenzione di recarsi nel Paese sudamericano, ma anche che "se il Cile non ci fosse stato, lo si sarebbe dovuto inventare" (sic!) e che in Europa ci si preoccupava più di Pinochet che del Muro di Berlino, dell'occupazione dell'Ungheria e della Cecoslovacchia (1). Come dire, perché preoccuparsi per le decine di migliaia di morti provocati dalla giunta di Santiago del Cile, per gli arresti, le esecuzioni sommarie, le sparizioni, gli esuli, quando in Europa c’era il Muro di Berlino da bersagliare come unico e solo simbolo di ogni male (come se quel vallo non fosse stato originato dalla destabilizzazione imperialista), accanto all'esistenza del campo socialista? La stampa reazionaria e filo imperialista cilena ricambiò la stima e l'ammirazione dello scrittore per il regime, dedicando alcuni articoli alla sua figura, tra i quali "El grito de Solzhenitsyn", comparso su "El Mercurio" del 1° ottobre 1978 (2).
Nell’estate del 1975, però, i peana di Solzhenitsyn verso l’imperialismo statunitense avevano raggiunto il culmine: lo scrittore, in quel periodo, aveva intrapreso una sorta di "tournée", non solo protetto e acclamato dai circoli ultrareazionari di destra, ma anche ricevuto con tutti gli onori dal potere ufficiale. In un incontro patrocinato dall’AFL – CIO (American Federation of Labor and Congress of Industrial Organizations), il Sindacato statunitense noto per il suo anticomunismo e le sue compromissioni con la CIA e con il padronato, Solzhenitsyn aveva lanciato strali contro la distensione mondiale e aveva rivolto, alla presenza di alti funzionari governativi e influenti personaggi dell'establishment, un appello plateale all'intromissione imperialista negli affari interni dell'Urss e dei Paesi socialisti. Queste le sue testuali parole:
"I leaders comunisti dicono: 'non interferite nei nostri affari interni. Lasciateci soffocare i nostri cittadini in pace e in tranquillità'. Io invece dico a voi: "ingeritevi sempre di più. Interferite quanto più potete'"(3).
In quell’assise di neo – crociati, Solzhenitsyn era stato "tenuto a battesimo" nientemeno che da George Meany, Presidente storico del Sindacato yankee e acceso fautore della Guerra del Vietnam. Lo scrittore russo, non pago di appelli a riedizioni della guerra fredda, aveva poi ringraziato l’AFL – CIO per aver pubblicato, negli anni ’40, una mappa dei Gulag sovietici (una patacca volta ad accreditare la presenza di lavoro semi - schiavile in Urss, proprio mentre negli Usa questa pratica raggiungeva la massima estensione nel sistema penitenziario); inoltre, da quella tribuna menzognera e corrotta, la penna più prolifica dell'antisovietismo aveva profuso parole volte a rinfocolare odio per il suo Paese natale e per l’umanità progressista:
"con l’avvento della bomba atomica statunitense – aveva affermato- i comunisti hanno cambiato le loro tattiche. Essi sono diventati improvvisamente araldi della pace a tutti i costi. Hanno cominciato a convocare congressi per la pace, a far circolare petizioni per la pace, finché il mondo occidentale non è caduto in questo inganno. Gli obiettivi, però, l’ideologia, sono rimasti gli stessi. Essi sono incentrati sulla distruzione della vostra società, sulla distruzione del modo di vita occidentale "(4).
Nel 1976, il nostro Goffredo di Buglione cosacco, dopo aver incensato col fioretto Pinochet, rinnovò in Spagna i fasti del più truce anticomunismo, glorificando, questa volta in modo aperto, la tirannia di Francisco Franco, da poco defunto e mettendo in guardia il Re Juan Carlos ed il suo entourage dal mettere in atto (Dio non volesse!) moderate riforme in senso liberale. Ospite, sabato 20 marzo, del popolare programma televisivo "Directisimo", Solzhenitsyn vaneggiò, alla faccia di ogni senso del ridicolo, di 110 milioni di morti provocati dal socialismo sovietico dal 1917 al 1959 e paragonò, con faccia di bronzo impareggiabile, "la schiavitù a cui il popolo sovietico è stato sottoposto" alla "libertà di cui si gode in Spagna". Per Solzhenitsyn, nella Spagna franchista non vi erano stati 400.000 desaparecidos, 500.000/1.000.000 di esuli (2 – 4% della popolazione totale), centinaia di migliaia di prigionieri, centinaia di migliaia di fucilati prima e dopo la guerra civile. Niente di tutto questo! Con Franco e con i franchisti, per lo scrittore,
"aveva vinto il Cristianesimo" (5). Libertà soppresse? "Conosco un solo posto dove non c’è libertà, è la Russia".
L’opinione pubblica progressista, che si era mobilitata contro le condanne a morte di antifascisti spagnoli? Una manica di utopisti, fuori dalla realtà e anzi utili agenti dell'onnipresente comunismo prodighi nel difendere nient’altro che dei "terroristi" (6). Tutto un programma anche i "consigli" impartiti ai nuovi reggitori del potere iberico:
"Coloro che cercano rapide riforme democratiche, capiscono cosa potrà accadere domani o il giorno seguente? La Spagna può avere la democrazia domani, ma poi sarà in grado di evitare che la democrazia diventi totalitarismo ? " (7).
Già, totalitarismo, parola magica che la malafede della propaganda borghese e reazionaria usa ad ogni piè sospinto per celare la realtà tirannica, oppressiva, disumanizzante del sistema capitalista, imputando quegli aspetti al socialismo.
Non soddisfatto della sua predicazione di odio e mistificazione, Solzhenitsyn tornò negli Usa nel 1978: si era accorto di aver lasciato un po’ troppo sullo sfondo la guerra del Vietnam, vinta tre anni prima dalla lotta cosciente e determinata di tutto un popolo unito contro l’imperialismo, appoggiato dalla solidarietà internazionalista in ogni angolo del pianeta. Sì, nel suo viaggio americano del 1975 aveva preannunciato stermini e ogni sorta di sciagura in seguito alla recentissima vittoria dei Vietcong, ma la ruota della storia aveva girato in senso opposto e... bisognava pur raccontare qualche frottola sulla nuova realtà indocinese! Le anime dei corrotti oppressori sud - vietnamiti scalpitavano dall'oltretomba! Davanti alla platea scelta di Harvard, il barbuto enciclopedista dell'anticomunismo attaccò i pacifisti, colpevoli di essere strumenti in mano (guarda caso!) dei comunisti .
"Il più tremendo errore – tuonò Solzhenitsyn – si è verificato con l’incapacità di comprendere la guerra del Vietnam. Alcune persone desideravano sinceramente che il conflitto cessasse il prima possibile; altre persone pensavano vi sarebbe stato spazio per l’autodeterminazione nazionale o comunista, in Vietnam oppure in Cambogia (…). Gli attivisti statunitensi del movimento contro la guerra, però, hanno finito con il rendersi complici del tradimento verso le Nazioni dell'Estremo Oriente, del genocidio e della sofferenza imposti a 30 milioni di persone. Questi convinti pacifisti sentono i lamenti che provengono da laggiù? Capiscono, oggi, le loro responsabilità? Oppure preferiscono non sentire?" (8).
Domande indisponenti, ridicole, offensive dell'intelligenza e del buonsenso, provenienti da chi se ne era strafregato di 5 milioni di vietnamiti uccisi dagli yankee e dai loro fantocci e da chi fingeva di non rendersi conto che la lotta dei Vietcong era stata la lotta della quasi totalità del popolo vietnamita, mercenari e sfruttatori esclusi.
Anche questo, e soprattutto questo, è stato Solzhenitsyn: un agente dell’imperialismo, non solo un anticomunista convinto, desideroso di riportare indietro le lancette della storia.
NOTE:
(1) Vedasi: Michael Scott Christofferson, "French Intellectuals Against the Left: The Antitotalitarian Moment of the 1970's", Bergahn Books, Oxford, 2004;
Vedasi anche Mario Spataro, "Pinochet, las incomodas verdadestraduzione in spagnolo di Mario Spataro, "Pinochet, le scomode verità", Settimo Sigillo2003;
(2) Citato in José Miguel Armendariz Azcarate, "Solzhenitsyn : el dedo en llaga", Editorial Andrés Bello;
(3Aleksandr I. Solzhenitsyn, "The Voice of Freedom", Washington, DC: Washington : American Federation of Labor and Congress of Industrial Organizations, 1975;
(4) Ivi
(5) Vedasi qui
(6) Ibidem
(7) Ibidem
(8) Si senta il discorso qui

venerdì 21 ottobre 2016

Falsi occidentali duri a morire/3: come scoppiò la guerra di Corea (1950/53)

REDAZIONE NOCOMUNISTI

DI LUCA BALDELLI



Da 70 anni leggiamo ovunque dell'aggressione da parte della feroce Corea del Nord alla piccola, pacifica, indifesa e, dimenticavamo DEMOCRATICA PERBACCO!, Corea del Sud.

E' successo veramente così o la Corea del Nord è stata trascinata in un terrificante conflitto dall'aggressione imperialistica USA?

Il compagno Luca Baldelli in questo articolo ci espone i fatti che portarono alla guerra

giovedì 20 ottobre 2016

In 50.000 a Donetsk porgono l’ultimo saluto a Motorola

REDAZIONE NOICOMUNISTI


Di Guido Fontana Ros



Lasciamo spazio alle immagini:

I funerali


I funerali visti dall’alto


Il comandante Givi: pagheranno con il sangue per Motorola


La storia di Motorola


In onore di Motorola


mercoledì 19 ottobre 2016

Un tizio alla "Hugo Chavez" terminerà la rivoluzione filippina?

REDAZIONE NOICOMUNISTI


Di Jefry M. Tupas, corrispondente del Manila Times




[Una domanda sorge spontanea: può la retorica populista influenzare i cuori e le menti, senza i petrodollari? - Frontlines ndr].

Joma considera Duterte come la versione pinoy (1) di Hugo Chavez

10 ottobre 2015

Utrecht, Paesi Bassi: José Maria Sison [Joma], presidente fondatore del Partito Comunista delle Filippine (CPP), ha chiarito che non ha appoggiato il sindaco Rodrigo Duterte come il suo preferito prossimo presidente delle Filippine.


José Maria Sison (Joma)


“Ma come posso farlo quando non ha ancora dichiarato di essere in corsa per la presidenza”, ha detto ridendo, di fronte a lui c’era una tazza di caffè intonsa ormai fredda, su un lungo tavolo bianco, il ‘centro’ all’interno l’ufficio del Fronte Nazionale Democratico delle Filippine (NDFP).

Sison insieme al capo del gruppo per la pace del NDFP Luis Jalandoni e al portavoce del NDFP Fidel Agcaoili, recentemente si è seduto con il Times per un colloquio a ruota libera.

Sison ha detto che Duterte ha tutte le caratteristiche per essere un buon leader.

Rodrigo Duterte

Ma tra gli aspiranti alla presidenza, i funzionari del NDFP hanno chiaramente da dire alcune cose positive su Duterte, proprio mentre Sison deve ancora dichiarare la sua candidatura presidenziale; a differenza di altri aspiranti alla carica di presidente, Duterte conosce e comprende le lotte del popolo filippino ed è l’unico che ha un’idea di come affrontare il problema della pace nel paese.
“Hindi Siya Sakim a kilala Nya ang mga Problema ng Pilipinas (Non è uno avido e conosce e capisce i problemi della gente)”, ha detto Sison.
Se diventa presidente, Duterte può diventare l’Hugo Chavez filippino.
“Ha le caratteristiche di Hugo Chavez”, ha detto Sison, notando come il defunto leader della sinistra venezuelana che galvanizzò lo sviluppo del suo paese quando salì al potere nel 1999. Proprio come Chavez, Duterte, Sison ha detto, è “intrepido e coraggioso”.
Jalandoni ha definito Duterte come il “più progressista” tra i candidati.
“Solo lui ha stabilito le possibili politiche che sottolineano il suo impegno per la pace. Egli è il più progressista di tutti i candidati”, ha detto.
Si riferiva alle dichiarazioni precedenti di Duterte che metterà in piedi una coalizione con il Partito Comunista delle Filippine per porre fine alla ribellione comunista che dura da 47 anni nelle Filippine.

La possibilità di una coalizione con i governi precedenti era stata proposta dal NDFP, ma le passate amministrazioni avevano sempre respinto questo.

Jalandoni ha fatto anche notare il ruolo di Duterte nel rilascio di diversi prigionieri di guerra a Mindanao e la sua amicizia con il ribelle ucciso del Nuovo Esercito Popolare,Leoncio Pitao o comandante Parago.


Il leader rivoluzionario Leoncio Pitao, amico personale di
Duterte, caduto l’anno scorso

Duterte ha anche ripetutamente chiesto al governo e al NDFP di riprendere i negoziati di pace, anche offrendosi come negoziatore.

Ma Sison ha anche chiaro che i complimenti a Duterte, un ex studente che non riusciva più a ricordare, erano per il suo tipo di leadership e le sue caratteristiche distinte che lo contraddistinguono dagli altri.
“Pinuri Ko Siya” [L’ ho lodato], ha detto.
I tre hanno parlato degli ostacoli al processo di pace tra governo e il NDFP e le prospettive di rinnovare i negoziati dopo le elezioni del 2016, quando le Filippine, ancora una volta, eleggeranno un nuovo leader.

Sembra che il NDFP si sia già rassegnato al fatto che l’amministrazione Aquino non è affatto interessata a spingere per la ripresa del processo di pace.

Essi hanno riconosciuto che gli aspiranti alla presidenza, Grazia Poe e Jejomar Binay hanno fatto dichiarazioni circa i loro piani di aprire di nuovo i colloqui, ma il NDFP è prudente.

Ho chiesto al trio del NDFP se queste dichiarazioni di ‘promesse’ di Poe, Binay, e Duterte li interessassero. Hanno semplicemente riso.

Connie Ledesma, un membro del gruppo di pace del NDFP, è intervenuta dal retro.
“Forse la questione non dovrebbe essere se il NDFP sia interessato”, ha detto la moglie di Jalandoni, che era presente in ufficio, insieme con la moglie di Sison, Julie.
“Forse dovrebbe essere se il NDFP abbia delle aspettative”, ha detto, dichiarazione che ha generato una risata.
“Queste affermazioni sono affermazioni generiche. Non ci sono dettagli”, ha sottolineato Agcaoili. “Per quanto riguarda Duterte, le sue promesse non sono coerenti.”

NDT: per le miriadi di stolti che non credessero agli stretti contatti tra il presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte e i comunisti del NDFP, consigliamo di digitare sul motore di ricerca google, 2 parole: Duterte e NDFP

(1) Si tratta di un termine informale per indicare il popolo filippino

Cinquant'anni dopo, risuona ancora l'arte delle Black Panther

REDAZIONE NOICOMUNISTI


FONTE

Traduzione di Guido Fontana Ros


ll  Black Panther Party fu fondato 50 anni fa ad Oakland, il 15 ottobre 1966 e nel giro di due anni ebbe sezioni ovunque nel paese. Il New York Times coglie l'opportunità di esplorare l'eredità delle Black Panther, esaminando il loro uso iconico delle immagini e come nelle pagine del nostro giornale vennero rappresentati.

Il Black Panther Party talvolta viene associato alla resistenza armata, ma una delle sue più potenti armi per raggiungere gli afro-americani nei centri del Paese fu l'arte. Nei posters, negli opuscoli e nei suoi giornali popolari, il Black Panther, la rappresentazione dell'immagine del partito fu guidata dalla visione di Emory Douglas, il suo ministro della Cultura.

La sua arte proviene da diverse fonti. Quando era un ragazzo a San Francisco fra gli ultimi anni '50 e i primi anni '60, Mr. Douglas si trovava rinchiuso presso la Youth Training School di Ontario, Calif., dove fu coinvolto a lavorare nella stamperia interna. In seguito frequentò un corso di grafica presso il San Francisco City College, ove sviluppò un profondo interesse nel Black Arts Movement, il braccio artistico del Black Power Movement.

Emory Douglas al lavoro sul quotidiano del Black Panther Party

Il suo particolare retroterra formativo, una combinazione di arte, stampa e attivismo, attrasse in particolare l'attenzione del cofondatore del Black Panther, Bobby Seale e questo portò Mr. Douglas a diventare una figura centrale del partito. La diffusione del giornale rapidamente salì ad oltre 200.000 copie, rendendolo uno dei giornali per neri più popolare a quel tempo. Negli anni che precedettero il declino del partito, i poster di Mr. Douglas furono riconosciuti come opere artistiche rappresentative della loro era.

Il lavoro artisitico di Mr. Douglas è attualmente esposto in una mostra presso l' Urban Justice Center di Manhattan e rimane una pietra miliare per molti artisti più giovani che cercano di sposare la loro arte con la coscienza sociale. Il pittore Jordan Casteel, di 27 anni artista residente presso lo Studio Museum di Harlem, definisce il lavoro di Mr. Douglas “un dipinto letterale e una rappresentazione visuale di un'epoca". Egli continua: “L'arte non solo serve come traccia all'ispirazione , ma è anche un linguaggio che continua".

Per creare un dialogo fra passato e presente e per esplorare la rilevanza e l'importanza del suo lavoro artistico all'interno del The Black Panther, noi abbiamo intervistato Mr. Douglas, che ora, pur essendosi ritirato, continua ancora a creare arte, a viaggiare e vivere a San Francisco, insieme a due giovani artisti che talvolta si rivolgono a lui come fonte di ispirazione: Ms. Casteel e Fahamu Pecou, la cui personale “Black Matter Lives,” è visibile presso la Lyons Wier Gallery a Chelsea. I loro commenti qui sotto sono stati leggermente modificati per questioni di spazio e di chiarezza.

La protesta contro la guerra




Emory Douglas: La reazione alla mia opera "The Vietnam War" quindi fu positiva. Era un messaggio per i G.I. e alla larga comunità che abusava, assassinava e linciava la gente della nostra comunità, senza che questo fosse causato dal Vietnam o dai vietnamiti. La nostra lotta non era in Vietnam, la battaglia era qui, negli USA. Le lacrime nell'immagine riflettono il dolore e la sofferenza che io avvertivo quando parlavo con persone impegnate nella lotta o nell'esercito.

Jordan Casteel: Quest'immagine di un nero piangente sfida la nostra percezione della mascolinità e della forza all'interno della nostra comunità. Rende manifesto il fatto che la gente di colore che combatte in guerra si chieda: "Qual'è la nostra guerra?", "Quali battaglie dovremmo fare? E come possiamo decidere? Quale guerra è la nostra? Che significa combattere per il proprio paese?". La prova è là, nelle foto nell'elmetto: qui siamo uccisi per strada ma ci chiedono di uccidere o di essere uccisi in un altro paese. E' così stridente per me. Mi ha fatto sentire a disagio, ma nel modo giusto.

Fahamu Pecou: Uno dei principi fondamentali del loro programma era di dare forma alla loro immagine mediatica, invece di avere la loro immagine sotto il controllo dei mezzi di comunicazione più dominanti nel panorama mediatico. Così l'uscita di opuscoli e del giornale The Back Panther faceva parte di quella strategia, era un modo per dire: "Se aspettiamo che qualcun altro racconti la nostra storia, il quadro che ne verrà fuori non rifletterà i nostri valori e non rifletterà neppure il nostro programma. per questo dobbiamo farci carico di come venga rappresentato il Black Panther Party ” Da lì veramente queste immagini vennero fuori.

Donne forti





Emory Douglas: La madre di mia figlia lavorava con me a disegnare per il giornale The Black Panther. C'era anche Tarika Lewis, che fu la prima artista a lavorare con me al giornale. E c'erano molte altre donne che contribuivano alla realizzazione del giornale. Le donne raffigurate nelle mie opere riflettono il partito. Le donne andarono in prigione ed ebbero anche ruoli di comando. Donne fondarono sezioni e branche del Black Panther Party. Quando siamo soliti leggere qualcuna di queste storie, voi immaginate donne delle lotte in Vietnam, in Palestina e del movimento africano di liberazione. Le donne furono parte integrale di quei movimenti in tutte le azioni che intrapresero, fatto che io ho espresso nel mio lavoro artistico.

Fahamu Pecou: Nel mio lavoro, sto operando spesso da una posizione di cambiamento del punto di vista su quello che, come i neri, possiamo fare con i nostri corpi e su che tipo di potere in realtà possediamo. Così cerco di allontanare noi stessi dal percepirci come vittime e invece vedere noi stessi in possesso di un po' di potere, in grado di apportare le modifiche che vogliamo vedere. E penso che richieda una grande quantità di lavoro, il cambiare il modo in cui le persone si vedono. Quando abbiamo varie atrocità che avvengono all'interno della comunità nera e per la comunità nera, e continuiamo a sopravvivere, si continuerà a prosperare - che ti porta un riflesso del potere che è dentro di noi. Quindi sono interessato a questa idea: che siamo in grado di cambiare il modo in cui ci muoviamo nel mondo, cambiando il nostro modo di pensare e vedere noi stessi in questa società.

Jordan Casteel: Emory stava lavorando per fornire informazioni alle persone attraverso il suo linguaggio visivo e questa necessità era molto più pressante allora. Ora le informazioni possono solo essere date immediatamente. È possibile scattare una fotografia, caricarla su Instagram o Facebook e dire: "E' accaduto questo". Poi tutto ad un tratto sui social media, siamo tutti bombardati da un linguaggio visivo e cerchiamo di prendere una posizione. Utilizzare la progettazione grafica e le immagini grafiche come un modo per prendere posizione su qualcosa fa ancora parte della mia generazione

I ragazzini delle Pantere Nere



Emory Douglas: La discriminazione razziale avveniva allora come oggi. Così ho voluto esprimere gli abusi della polizia contro la comunità. La foto a destra è stata presa proprio quando siamo andati prendere i nostri bambini delle Panther al palazzo di giustizia dove sono stati perquisiti. Credo che questa immagine si colleghi a quanto accade anche oggi, nel contesto del Black Lives Matter e ci renda  più consapevoli della discriminazione che esiste in questo paese. La gente può vedere quanto sia frustrante la situazione per coloro che hanno a che fare con la discriminazione  e come questo crei le condizioni per la resistenza.

Jordan Casteel: I bambini rappresentano l'innocenza e questo è tutto quello che posso pensare guardando Tamir Rice. tutto quello che. Era un ragazzino che stava solo giocando, e la sua vita è stato spezzata. Penso anche ai miei nipoti, perché sono stati cresciuti in un momento dove è un problema cosa comporti essere un giovane di colore è. Ma è ancora importante creare opportunità e sogni. Essi dovrebbero essere quello che vogliono essere e dobbiamo creare quel tipo di mondo per loro.

Fahamu Pecou: Queste immagini che riguardano i bambini penso siano molto, molto incisive. L'essere in grado di usare la loro piattaforma come un modo per avviare i bambini verso un certo modo di pensare se stessi nel mondo, o pensare a quello che il Black Panther Party stava facendo, credo che sia stato davvero una pratica brillante. Il lavoro del Black Panther Party con i bambini, lo ha anche aiutato ad avere una gran presa sugli adulti, perché gli adulti vedevano che queste persone investivano veramente nel sostegno della comunità. Erano là fuori non solo a cercare guai con la polizia. Stavano veramente facendo qualcosa per aiutare a salvare i bambini.

Tutto il potere al popolo



Emory Douglas: Quando Huey Newton e Bobby Seale vennero a San Francisco per l'organizzazione della comunità, erano spesso affrontati dai poliziotti e così hanno cominciato a chiamarli porci e maiali. Dalle loro conversazioni circa la polizia proviene la definizione di  maiale: una bestia senza patria che non ha riguardo per i diritti, la legge o la giustizia e morde la mano che lo nutre. Così un giorno, Huey e Bobby mi hanno dato questo schizzo di un maiale su quattro gambe che volevano disegnassi. Nella cultura americana i maiali sono animali che sguazzano nel sudiciume e nello sporco. Così ho preso quel pensiero e lo ha applicato al disegno stesso del maiale. Poi una volta che ho messo il maiale su due gambe, che gli ho dato un distintivo e  con le mosche che gli volano intorno, esso ha trasceso i confini della comunità afro-americana ed è diventato un'icona internazionale che ognuno ha identificato come un simbolo dell'oppressione da parte del governo e della polizia . Nel contesto di oggi, se l'immagine di un maiale fosse utilizzata in un modo contemporaneo, sono abbastanza sicuro che avrebbe lo stesso tipo di impatto.

Fahamu Pecou: Era questione di essere in grado di parlare alla gente su più livelli, così naturalmente si adoperava il linguaggio, con i testi, che erano ricchi di informazioni e che spiegavano molto chiaramente che cosa rappresentasse il Black Panther Party. Ma queste immagini erano anche concepite per agire  su un altro registro intellettuale e psicologico, che era in grado di entrare nella mente delle persone e contribuire a che non solo leggessero su loro stessi o si conoscessero, ma anche si vedessero pieni di potere, come agenti del loro cambiamento. Era vedere se stessi come eroi e vedere chi fossero i cattivi. E penso che questo tipo di cose siano davvero potenti. Si parla realmente del potere dell'arte visiva che opera come una sorta di testo.

Jordan Casteel: Penso che tutto in questo contesto riguardi la speranza. Anche se ci sono armi, la rivoluzione non riguarda sempre la distruzione. E' qualcosa che a che fare con la ri-creazione. Con la resurrezione. Con un nuovo inizio.

Vogliamo giustizia



Emory Douglas: Anche se possiamo progettare il progresso, per molti versi c'è ancora il razzismo strutturale e il razzismo istituzionale che esiste ancora oggi e deve essere affrontato. Ecco, questo è quello che cerco di continuare a fare con l'arte, è cercare di dare un contributo a tali questioni. Cinquant'anni dopo, però, questo mi fa pensare che la lotta continui.

Jordan Casteel: Che cosa significa essere una persona che si sente letteralmente ipervisible e invisibile allo stesso tempo? I corpi neri e marroni sono costretti ad affrontare questo ogni giorno. A un certo punto bisogna fare delle scelte su come si desidera essere proiettati in quello stato di visibilità e invisibilità. Come artisti abbiamo l'opportunità di contribuire a questo linguaggio visivo e contribuire a un potenziale cambiamento alla loro comprensione della paura, dell'amore o della storia. Ed Emory lo ha fatto. Ha partecipato e contribuito a questa storia.

Il mio lavoro nasce dal notare le differenze tra ciò che vedevo  in quelli che amavo, in particolare  uomini neri come i miei fratelli e mio padre e come sono stati ritratti dal mondo. Le loro rappresentazioni erano piene di paura o di supposizioni che non ho mai capito. Così ho usato i miei quadri per illuminare e informare, ma anche per creare veramente un senso di empatia per questi uomini, per vederli veramente.

Fahamu Pecou: Credo che il sentimento di "rivoluzione nella nostra vita" è qualcosa che risuona veramente con il movimento odierno. Sembra che ci sia molto poca pazienza per il cambiamento, lo vogliamo veramente vedere. Troppi di noi hanno affrontato a parole per molti, molti anni i nostri cosiddetti leader politici e  gli altri che hanno continuato a cercare di parlare con noi in attesa che il cambiamento avvenisse o hanno pazientato aspettando il cambiamento, permettendo che la giustizia faccia il suo corso. E come abbiamo visto in parecchie sparatorie della polizia e proprio nei diversi tipi di imposizioni come fermi di polizia per strada, il corso di questa nozione di giustizia il suo corso non sta affatto andando nella direzione verso cui noi ci stiamo muovendo.

Una nuova era, ma la voce è sempre la stessa




Emory Douglas: A volte ci sono alcuni nella comunità che si sentono fortemente coinvolti, ma non sono in grado di agire conseguentemente, così ho catturato questo sentire nell'opera. L'arte è linguaggio, comunicazione con la comunità. Il senso di urgenza mostrata proviene da quello che avevamo visto e che stavamo facendo. Il fatto era che potevamo essere cancellati dal gioco in qualsiasi momento. L'urgenza nelle opere d'arte era un riflesso della urgenza della situazione della paura che la gente aveva. Si doveva essere accessibili alla comunità e interpretarla nell'arte ponendo le persone come eroi sul palcoscenico. Naturalmente c'è anche un senso di urgenza oggi, ma si manifesta in un modo un po' diverso

Jordan Casteel: Una donna anziana e un uomo più anziano stanno parlando di "Seize the Time" [cogli l'occasione], è davvero fenomenale, e lo raccontano. Cosa significa uscire dalla schiavitù e reimpossessarsi  della propria voce? Dicono: "Io voglio essere visto, voglio essere ascoltato". Sì quelle armi sono simboli di guerra e strage, ma la carneficina si è già verificata per i neri e continua a verificarsi.

Fahamu Pecou: Essendo un artista che gioca molto con il testo nel suo lavoro, sono certamente attratto dall'uso di Douglas del testo. Per me le cose che veramente spiccano sono quelle frasi come "la rivoluzione nella nostra vita", o "cogli l'attimo". L'immediatezza di quelle frasi in relazione alla politica nell'immagine è qualcosa che risuona veramente: ciò che deve accadere, ciò che vogliamo che accada, deve accadere ora, non dopo, non nel tempo segnato dall'orologio di qualcun altro, ma ora. E'a causa dei bambini. In tutte quelle immagini, si vedono sempre dei bambini. La spilla che il fratello di di fronte indossa ha un bambino su di essa. Quindi l'importanza di questa nozione di rivoluzione è sottolineata dal riflesso di come sarà l'impatto sui nostri figli. E penso che è davvero potente.

Jordan Casteel: Parlo di come sono cresciuta nel tempo del Black Lives Matter ed è stato importante proprio come  mia mamma si ricorda della sua afritudine appiccicando  un adesivo "Free Angela" sul suo frigorifero. Siamo tutti parlando delle stesse cose. Quando arriviamo al nucleo di questo in modo intergenerazionale, tutti noi siamo ancora in lotta per la stessa voce.

Semi di speranza



Emory Douglas: Questa immagine parlava di speranza. Ogni giorno eravamo in giro per i bambini della comunità e per le scuole. Questi bambini sono stati cuccioli della Pantera che sono cresciuti nel partito, che vivevano in collettivi e che sono andati in scuole alternative in cui ai bambini veniva insegnati come pensare e non cosa pensare in modo da analizzare se stessi e da sottoporre se stessi all'autocritica. Quindi questo spirito di crescita, di sviluppo e di sopravvivenza era tutto. E volevo riflettere questo spirito nell'arte. Se i giovani avessero potuto continuare a ottenere la conoscenza, sarebbero sopravvissuti.

Jordan Casteel: Ho sentito questa parte del lavoro come primaria, a causa di quel desiderio di condividere un esempio di qualcosa di diverso, di bello e che innescasse il cambiamento. Credo che sia il desiderio alla fine, di trasformare una mentalità o di un modo di pensare che è stato distruttivo per le nostre comunità.

Fahamu Pecou: La potenza del visivo è davvero ciò che permetteva ad alcuni messaggi del partito di risuonare davvero nella gente. Era  qualcosa di più della retorica politica. E' stata un'azione sottoterra, uno sforzo per salvare, proteggere e crescere i nostri figli affinché diventino adulti forti, sani e efficienti.

Jordan Casteel: In questo lavoro, in particolare, c'è un che di sorprendente in come Douglas abbia disegnato i raggi del sole. Sembrano i raggi del sole perché si dipartono dall'immagine circolare di un ragazzo nella parte superiore del cappello;  in questo modo ricorda un sole. Questi raggi verso l'alto generano, per me, un inizio piuttosto che una fine. Si tratta di un'alba. Ci sono un sacco di indizi di speranza. Emory mantenuto il minimalismo e la bellezza in ciò che ha creato. Ha fatto qualcosa dal nulla. È vero. Questo è limonata. Ed è per questo che siamo artisti.

Direzione artistica di Antonio De Luca e Angelica McKinley.

Imaggini grazie alla cortesia di “BLACK PANTHER: THE REVOLUTIONARY ART OF EMORY DOUGLAS” edito da Sam Durant, Rizzoli New York, 2007; Printed Matter (Vietnam War); Emory Douglas (For the Young)

martedì 18 ottobre 2016

Il reggimento Normandie-Niemen: gli aviatori francesi in Unione Sovietica

REDAZIONE NOICOMUNISTI

A cura di Guido Fontana Ros



Presentiamo la traduzione di un articolo riguardante il reggimento di aviatori francesi Normandie-Niemen che si batté dal 1943 al 1945 con grande coraggio e abnegazione insieme all'aviazione sovietica sul Fronte Orientale.
Per dare un'idea del loro contributo ecco i loro risultati:
5240 sortite in missioni di combattimento
869 duelli aerei
273 vittorie certe
37 probabili
27 treni distrutti
22 locomotive distrutte
2 E-boat distrutti
132 autocarri distrutti
24 veicoli comando distrutti
4 piloti insigniti del titolo di Eroi dell'Unione Sovietica

E questo è il tributo di sangue:

52 piloti morti in missione
87 aerei distrutti 

Qui un bellissimo video sulla loro storia:



domenica 16 ottobre 2016

Il cerchio della morte: evoluzione della tattica del sovietico IL-2 Sturmovik

REDAZIONE NOICOMUNISTI

DI VVSWARBIRDS


FONTE

Traduzione di Guido Fontana Ros


Sturmovik in volo
L'Ilyushin Il-2 Sturmovik trova giustamente il suo posto fra le armi più decisive per la vittoria dell'Unione Sovietica sulla Germania sul Fronte Orientale durante la Seconda Guerra Mondiale. In quasi tutte le più importanti offensive sovietiche, i "carri armati volanti" rappresentarono una componente  fondamentale del supporto aereo ravvicinato alla fanteria dell'Armata Rossa. Come avvenne per  gran parte delle tattiche militari sovietiche, le tattiche efficaci che la Wehrmacht tedesca avrebbe imparato a poco a poco temere,  si evolvettero attraverso una serie di tentativi e spesso di errori disastrosi e bisognò attendere la battaglia di Kursk nel 1943, quando gli squadroni di Il-2 adottarono la tattica del circuito chiuso, che gli Sturmoviks diventarono una forza decisiva sul campo di battaglia. In effetti le formazioni di Sturmovik che fornirono supporto aereo ravvicinato nella battaglia di Kursk furono fondamentali per la vittoria sovietica al pari di qualsiasi altra parte dell'Armata Rossa.

Viste dello Sturmovik
Nei primi mesi di guerra, la tattica di impiego dello Sturmovik prevedeva in prossimità di un bersaglio un gruppo di 3-5 aerei, che attaccavano uno alla volta da un'altitudine da 200 metri fino a 20 metri. Ogni Il-2 avrebbe scaricato tutte le sue munizioni e bombe sul bersaglio in un unico passaggio. Questa tattica comportava che ogni Sturmovik ricevesse poca o nessuna copertura dagli altri velivoli della formazione. Per di più l'Ilyushin non era ancora prodotto nella versione a due posti con un mitragliere posteriore , per cui lo Sturmovik era una facile preda per i piloti della Luftwaffe nel 1941. In effetti nelle prime fasi della guerra, in media, un Il- 2 andava perso ogni nove missioni di combattimento.

I piloti e i progettisti sovietici presso il Nauchno-Ispytatelniy Poligon Aviatsionnogo Vooruzheniya (poligono di tiro per la sperimentazione scientifica dell'armamaneto dell'aviazione) determinarono rapidamente che lo Ilyushin doveva attaccare da alta quota, al fine di aumentare l'efficacia in battaglia. Si constatò inoltre, che occorrevano tre passaggi sul bersaglio per ciascun Sturmovik al fine di infliggere danni significativi e precisi sul bersaglio a terra. Nel primo passaggio, l'Il-2 poteva lanciare i suoi quattro razzi, nel secondo, lo Sturmovik sganciava le sue bombe e nel terzo passaggio poteva inondare il bersaglio di colpi con la combinazione del fuoco delle mitragliatrici e dei cannoni. Qualunque fosse l'ordine del tipo di attacco, fu stabilito che l'attacco più efficace del Il-2 fosse quello effettuato in passaggi separati per ogni tipo di armamento. Questo naturalmente richiedeva un tempo di permanenza sul bersaglio molto più lungo rispetto alla tattica iniziale di toccata e fuga. Al fine di fornire una copertura sufficiente per ogni aereo della formazione, si stabilì che girare sopra l'obiettivo, avrebbe consentito a ciascun Sturmovik di coprire il velivolo davanti, dando contemporaneamente il tempo necessario per le tre ottimali passate sopra il bersaglio.

Mitragliere posteriore dello Sturmovik

Il ciclo chiuso, che era conosciuto anche come "il cerchio della morte", prevedeva fino a otto Il-2 che formavano un cerchio di difesa, ogni aereo proteggeva l'altro aereo davanti con le sue mitragliatrici anteriori. Gli aerei erano distanziati 150-200 metri l'uno dall'altro, ad una altitudine di almeno 300 metri e viravano inclinati a 15-40 gradi. Ogni Il-2 a turno lasciava il cerchio, attaccava il bersaglio e si ricongiungeva al cerchio. Una formazione del genere rimaneva sul bersaglio terrestre per un massimo di 20 minuti, fino all'esaurimento di tutte le munizioni, dopo di che gli IL-2 si riorganizzavano per fare ritorno alla base. Il cerchio era utilizzato anche per la difesa collettiva contro i caccia tedeschi quando la formazione veniva attaccato prima che raggiungesse l'obiettivo, poiché il grande campo della copertura faceva sì che nessun singolo Sturmovik fosse vulnerabile agli attacchi.

Il pilota di Sturmovik Mikhail Shatilo ricordando che il circuito chiuso era mantenuto per un massimo di 20 minuti su un bersaglio, ha detto
"a volte ci potevano essere un sacco di coppie di caccia tedeschi che volavano nelle vicinanze, ma cosa avrebbero potuto fare? Se si fossero avvicinati troppo, noi ci saremmo coperti. I tedeschi sapevano che non conveniva avvicinarsi agli Ilya [Il-2]".
Sturmovik mentre viene preparato per una missione

Un altro pilota, Pavel Zatsepin, testimonia l'efficacia del circuito chiuso, ricordando un episodio in cui la sua squadra era in missione ad ovest di Vilnius nel 1944:
"sentii alla radio, mentre mi avvicinavo all'obiettivo, che otto Focke-Wulf e quattro Messerschmitts erano in volo ... cominciammo a chiudere il cerchio per affrontare il nemico. Notai che due Me [Bf-109] si abbassavano per attaccarci dal basso. Mi girai bruscamente per far fuoco con tutti i miei cannoni e le mie mitragliatrici sul nemico. Il secondo Messer improvvisamente finì in mezzo al cerchio mortale ... il gruppo aprì il fuoco su di lui e fu abbattuto. I rimanenti caccia nemici non entrarono in combattimento".
Il valore di questa tattica era riconosciuto anche dai piloti dei caccia che scortavano gli Ilyushins. Ivan Konstantinovich Moroz, pilota di caccia LA-5 ricorda che: 
"...gli Sturmovik non erano difficili da proteggere dai caccia [nemici], perché la loro interazione tattica era stata ben elaborata. Non appena i caccia nemici cominciavano ad attaccare, la squadriglia formava un cerchio. Volavano in cerchio, ognuno copriva l'altro ... e noi [i caccia sovietici] li coprivamo da sotto o da sopra".
Tuttavia come tutte le tattiche aeree, il circuito chiuso non difendeva gli Sturmoviks dalla contraerea e dagli attacchi dei caccia tedeschi, soprattutto nel momento in cui il cerchio si scioglieva e la formazione cominciava a far ritorno alla base. I piloti della Luftwaffe impararono ad aspettare questo momento per attaccare l'ultimo aereo, il più vulnerabile. Come ricorda il pilota di IL-2, Yuriy Afanasev:
"il momento più difficile era uscire dal cerchio, perché qualcuno doveva essere l'ultimo [e quindi non era coperto]".
I piloti di Sturmovik svilupparono altre tattiche nel corso della guerra, ma nessuna sarebbe stata così determinante come il cerchio chiuso. Infatti lo sviluppo di una tale tattica è indicativa dell'evoluzione della VVS e dell'intera Armata Rossa in quella materia, nel 1941-1945. All'inizio della guerra l'obsoleta e rudimentale tattica del "colpisci e corri via", rendeva gli IL-2 facili prede per gli esperti piloti della Luftwaffe.Successivamente con lo sviluppo della tattica del cerchio chiuso, una formazione di IL-2s divenne una forza efficiente e formidabile. Questo permise agli Sturmovik di agire di concerto con i bombardieri sovietici a lungo raggio, con i caccia e con le truppe di terra, le quali avevano sviluppato le loro tattiche. A seguito delle disastrose prime fasi della guerra, l'esercito sovietico imparò il valore e l'importanza strategica dell'agire all'unisono a terra e in aria. Tali azioni concertate dimostrarono di essere un importante punto di svolta sul fronte orientale, permettendo all'Armata Rossa di sconfiggere i tedeschi a Kursk e in ogni altra successiva grande battaglia.