lunedì 21 ottobre 2013

La questione dei dissidenti spiegata da Yuri Andropov

REDAZIONE NOICOMUNISTI


Pubblichiamo un interessante documento digitalizzato e introdotto da  Andrej Zdanov (pseudonimo)


Il suono della parola «dissidente» evoca nella coscienza dei più quell'immagine stereotipata e romantica che le fonti di disinformazione della borghesia ci hanno demagogicamente propinato per decenni, e tuttora ci impongono (alcuni hooligan del capitalismo ancora oggi creano siti a sostegno del «dissenso» nei paesi socialisti ormai crollati ma che, a quanto pare, incutono ancora timore nelle loro anime meschine; ecco un esempio:www.italian-samizdat.com/),l’immagine dell'«intellettuale» perseguitato dai potenti unicamente «per le sue idee». Questa fotografia completamente alterata dal photoshop dei mass media capitalistici non riflette fedelmente la realtà e questo dovrebbe esser chiaro ad ogni comunista cosciente. Ciononostante l’enorme flusso di «informazioni» deformate e, in molti casi, completamente false, così come l’assenza di una egemonia culturale comunista nell'odierna fase storica, creano non poche difficoltà nel rispondere agli attacchi del nemico. Un efficace rimedio a questa debolezza è costituito dalle spiegazioni fornite dai dirigenti sovietici, in questo caso dall'allora presidente del KGB Yuri Andropov, per lunghi anni direttamente coinvolto nella lotta contro i «dissidenti» e al medesimo tempo capace di osservare i fatti col distacco e col realismo che si convengono all'analisi scientifica marxista. Le sue parole sono altresì in grado di chiarire alcune questioni, come quella del carattere monolitico della società sovietica e della «lotta di classe sotto il socialismo», non di rado oggetto di divergenze con i compagni maoisti e hoxhaisti. Buona lettura, compagni.




Dal Rapporto presentato alla riunione solenne tenuta a Mosca in occasione del 100° anniversario della nascita di F.E. Dzeržynskij (9 settembre 1977) da Yuri Andropov



[…]


Compagni,


nel momento in cui il nostro paese si volge verso il passato per commemorare il sessantesimo anniversario della Rivoluzione socialista d’ottobre, non possiamo dimenticare che la formidabile attività creativa del popolo sovietico si è svolta nel contesto di una lotta incessante contro le forze che si frapponevano sulla via dello sviluppo socialista della nostra patria, tentando in tutti i modi di impedirci di costruire la vita nuova, sforzandosi di strangolare il paese dei Soviet. Ingerenze, blocco economico, complotti controrivoluzionari, aggressione nazista, ricatto economico: ecco alcune sfide che abbiamo raccolto e affrontato vittoriosamente. La realtà ha mostrato l’invincibilità del sistema sovietico, la volontà inflessibile del popolo sovietico di difendere le conquiste della Rivoluzione d’ottobre. 
Tuttavia, i nemici del socialismo non hanno ancora rinunciato ai loro tentativi di boicottare il nuovo regime, o per lo meno di complicare il suo sviluppo, visto che è diventato impossibile abbatterlo con la forza delle armi. Essi combattono il socialismo nella politica e nell'economia, nonché con i loro servizi segreti, usando lo spionaggio e fomentando il deviazionismo, compreso quello ideologico. 
I servizi speciali dell’imperialismo tentano di travisare in modo vergognoso gli scopi e la natura stessa della politica del PCUS e dello Stato sovietico e di nuocere alla realtà sovietica. Essi svolgono in campo ideologico azioni di sabotaggio, puntando sul cosiddetto deviazionismo ideologico. Vogliono erodere e smantellare la convinzione comunista dei sovietici, imporci punti di vista e una morale estranei al socialismo e tentare infine di ottenere cambiamenti politici e sociali nella società sovietica, a vantaggio dell’imperialismo. 
Tutto ciò fa purtroppo parte del mondo così duro in cui viviamo. Ecco perché anche oggi dobbiamo essere molto vigili e prendere tutte le misure indispensabili per neutralizzare le azioni di sabotaggio dei nemici del socialismo. Il partito considera questo un dovere non solo degli organi di sicurezza dello Stato, ma anche di tutte le organizzazioni sociali di Stato, di tutti i comunisti e di tutti i cittadini del nostro paese. 
Abbiamo motivi validi per considerare una conquista fondamentale l’unità ideologica e politica della società sovietica. La storia non aveva mai conosciuto un sistema sociale come il nostro, in grado di far convivere quasi in un’unica famiglia tutte le classi e tutti i gruppi sociali di una società, tutte le nazionalità e le etnie di un paese. Questo si è verificato perché l’unità ideologica e politica è divenuta una delle principali fonti di forza della società sovietica. Da qui si spiegano gli attacchi violenti da parte degli avversari del socialismo a questa unità. Da qui anche l’incredibile chiasso organizzato dalla propaganda occidentale intorno alla famosa questione «dei diritti e delle libertà», alla questione detta dei «dissidenti». Lo stesso termine di «dissidente» (colui che la pensa in un modo diverso) è un’abile trovata propagandistica, che mira a indurre in errore l’opinione pubblica. Utilizzando questo termine, la propaganda borghese spera di dare a intendere che il sistema sovietico non lascia ai suoi cittadini la libertà di pensarla come vogliono e perseguita tutti coloro «che la pensano diversamente», vale a dire che dissentono dalla linea ufficiale. Questo quadro non ha assolutamente nulla a che vedere con la realtà. 

Nel corso di un recente intervento, il compagno Leonid Brežnev ha chiaramente enunciato la posizione del partito a questo proposito. «Non è proibito da noi pensare diversamente dalla maggioranza, né valutare in maniera critica questi o quegli aspetti della vita sociale», ha detto. «Siamo riconoscenti ai compagni che muovono critiche fondate con il fine di far progredire le cose. Coloro che muovono critiche sbagliate vengono da noi considerati semplicemente persone fuorviate». 
Signori ideologi borghesi, vorremmo attirare la vostra attenzione sull'articolo 49 della nuova Costituzione dell’Unione Sovietica. Vi si trova chiaramente enunciato il diritto dei cittadini dell’Unione Sovietica a muovere critiche e a proporre suggerimenti. Vi è detto molto esplicitamente che le vessazioni nei confronti di chi muove delle critiche sono proibite. 
La cosa è diversa quando un pugno di individui che si sono estraniati dalla nostra società si impegnano in attività antisovietiche, violano le leggi, forniscono informazioni calunniose all'Occidente, diffondono dicerie infondate e tentano di provocare comportamenti antisociali. Questi rinnegati non possono godere di nessun appoggio all'interno del paese. Per questo motivo non si azzardano a intervenire nelle fabbriche, nei kolchoz e nelle amministrazioni. Se lo facessero, verrebbero subito allontanati. I «dissidenti» sono nemici del socialismo che hanno fatto appello alla stampa occidentale, ai servizi diplomatici, ai servizi segreti o simili. Tutti sanno che esiste una professione di «dissidente» generosamente remunerata con valuta pregiata e altre elemosine: il che, alla fine, non è molto diverso dal sistema con cui i servizi segreti imperialisti retribuiscono i loro agenti. 
Alcuni esponenti occidentali pongono questa domanda che credono sottile: Come spiegate l’esistenza di «dissidenti» dopo sessant’anni di potere sovietico? 
Questa domanda è «sottile» solo a prima vista. In effetti, sarebbe aberrante supporre che tra i sovietici (più di 260 milioni di persone) non vi fosse nessuno che, su questo o quel problema, la pensa diversamente dalla grande maggioranza. 
Gli scritti di Marx e di Lenin e la realtà ci insegnano che l’educazione dell’uomo nuovo richiede moltissimo tempo e moltissimi sforzi, che è molto più facile realizzare mutamenti sociali ed economici anche profondi. Ma l’elemento più importante è un altro: l’educazione dell’uomo nuovo nei paesi socialisti non si fa sottovuoto, ma nel contesto di una lotta ideologica e politica sempre più aspra in campo internazionale. Sessant’anni di vita nuova sono poca cosa rispetto a millenni trascorsi sotto il segno di una mentalità e di una morale scaturita dalla proprietà privata; non è dunque il caso di stupirsi se esistono nella nostra società persone che non si adattano ai princìpi collettivi del socialismo. Abbiamo il diritto di considerare un successo che queste persone siano sempre più rare. 
Che ogni decisione fondamentale in materia di politica interna ed estera (il nuovo progetto di Costituzione, per esempio) sia oggetto di un dibattito nazionale; che la politica del partito venga intesa dal popolo sovietico come una questione che gli attiene profondamente; che praticamente il 100 per cento degli elettori voti in favore di questa politica; tutto questo non è forse una testimonianza eloquente dell’unità ideologica e politica della nostra società? 
Questo non significa che nel socialismo avanzato non possano esservi individui le cui azioni non si inscrivono né nell'ambito morale, né in quello giuridico, della società sovietica. Le ragioni del fenomeno sono diverse: smarrimento politico o ideologico, fanatismo religioso, deviazionismo nazionalista, rancori e fallimenti personali – vissuti come sottovalutazione da parte della società dei meriti e delle possibilità di un singolo individuo – infine instabilità psichica. Abbiamo a che fare con tutti questi casi. L’edificazione della nuova società, della nuova civiltà comunista è un processo complesso e difficile. Non potrebbe essere altrimenti. 
Come abbiamo già detto, noi ci sforziamo di aiutare coloro che sbagliano, di far loro cambiare opinione e di portarli a correggere i loro errori. Ma quando alcuni di questi «dissidenti» intraprendono azioni che violano le leggi sovietiche, è necessario utilizzare altri metodi. Anche se poco numerose, queste persone esistono ancora nel nostro paese, così come esistono, purtroppo, ladri, colpevoli di concussione, speculatori e altri tipi di delinquenti comuni. Tutti costoro danneggiano la nostra società e per questo devono essere puniti conformemente alle leggi sovietiche. 
E che non ci si rimproveri di mancare di umanità in questi casi. Noi riteniamo che dar prova di umanità significhi difendere gli interessi della società e porre termine all'attività criminale di coloro che impediscono ai sovietici di vivere e lavorare con tranquillità e nella sicurezza. 
Devo dire a questo proposito che nel nostro paese i cittadini condannati per attività antisovietiche non sono stati mai così poco numerosi come oggi, da quando esiste il potere sovietico. Si tratta di eccezioni. Questa situazione è il logico riflesso dei processi politici e socio-economici di rafforzamento dell’unità della società sovietica. 
Ecco in che cosa consiste realmente la questione dei «dissidenti». Differisce dal quadro che ne dà la propaganda borghese come il giorno dalla notte. […] 

(Yuri Andropov, Sulla strada del socialismo, Mondadori, 1984, pp. 229-233)

La decrescita felice è realizzabile nel capitalismo?

REDAZIONE NOICOMUNISTI

Articolo di Davide Spagnoli pubblicato su: 
http://www.istitutogramsciforli.it/wordpress/?p=1144



Finalmente un buon cappuccino! Ma proprio buono: con il giusto equilibrio di schiuma, compattezza e temperatura del latte.

Mi ero fermato in quel bar, in cui non avevo mai messo piede prima, come tappa della passeggiata che stavo facendo, nonostante il diluvio che già da qualche giorno, a tratti, assediava Forlì.
Il cappuccino era straordinario e il bar, forse proprio per quella ragione, era affollato e non ho potuto fare a meno di ascoltare la conversazione dei miei vicini di bancone.
Un ragazzo e una ragazza, immagino universitari, stavano discutendo sul tema della decrescita e lei era piuttosto dubbiosa sulla possibilità di realizzare una cosa del genere.
Non sono rimasto ad origliare a lungo, un po’ perché il cellulare lampeggiava e un po’ perché era imbarazzante entrare non invitato nel privato di quei due ragazzi, ma una volta a casa ho deciso di chiedere alla rete cosa fosse la decrescita, che poi ho imparato essere aggettivata con un felice, decrescita felice…
Ma ho condiviso le obiezioni della ragazza ed anch’io mi chiedo se sia possibile realizzarla sul serio la decrescita felice, oltretutto in un sistema i cui attori sono i capitalisti.
Ma chi è un capitalista?
Quale criterio possiamo usare per definirlo?
“Chi detiene e investe grandi capitali privati in attività economiche produttive”, così mi dice il dizionario on line del Corriere della Sera.
Ma quel “grandi capitali” è decisamente vago: grandi quanto?
Che so, c’è una soglia limite oltrepassata la quale si entra nel novero dei capitalisti ed un centesimo prima non lo si è ancora?
È un centesimo che fa la differenza? Inoltre, individuata una soglia limite, si deve tener conto della svalutazione?
È una definizione troppo vaga. E allora come potremmo fare?
Beh, quello che posso vedere è che c’è una grande differenza di atteggiamento, da parte mia e da parte della stragrande maggioranza di quanti conosco, nei confronti del denaro.
Credo che noi tutti lo usiamo per soddisfare i nostri bisogni, eppure ci sono delle istituzioni, ma anche delle persone, che hanno come fine il profitto in quanto tale.
Beh, adesso mi vengono in mente le corporation, ossia le multinazionali, le banche e qualche raro caso di persone realmente feticiste del denaro. Ma il commerciante, l’artigiano, il contadino, il piccolo ed anche il medio imprenditore lavorano, spesso come dei muli, per vivere agiatamente, e quindi, anche per loro come per noi, il denaro è solo un mezzo per vivere meglio e non il fine in se stesso.
Il fine del profitto per il profitto? Ma che senso ha?
Per noi nessuno, ma per il capitalista ne ha tanto, anzi è la sua ragione di vita.
Beh, questo allora significa che tra noi e il capitalista c’è un contrasto di fondo: per noi il fine è la soddisfazione dei bisogni, per lui è il profitto.
La controprova?
In questi anni molti imprenditori, a causa della crisi e dell’impossibilità di evitare il licenziamento, e quindi la messa in crisi dei propri dipendenti e delle loro famiglie, si sono suicidati.
Non ho mai avuto notizia di una cosa del genere da parte di banche e corporation. Mai.
Non solo. Se si guarda bene a come agiscono le banche e le corporation si vede chiaramente che a loro delle persone non importa proprio niente: il loro unico fine è il profitto.
Beh, questa definizione mi sembra decisamente meno vaga di quella del Corriere.
Ma se il fine del capitalista è il profitto è del tutto evidente che il suo obiettivo sarà allora quello di realizzare quanto più guadagno può.
Ma come si può fare in regime di libero mercato? Attenzione: il libero mercato in questione è quello idealtipico, un mercato ideale e perfetto, senza vincoli o costrizioni, insomma il mercato ideale, il miglior ambiente in cui possa agire il capitalista.
Dunque, per ottenere il massimo profitto, il capitalista dovrebbe essere in regime di monopolio ed invece…
Beh, se si considera il mercato, in realtà è possibile essere monopolista, certo non per sempre, ma per un certo periodo di tempo sì.
Il mercato, al contrario di quanto comunemente si ritiene, non è tanto un luogo fisico, ma è il mercato dei bisogni costantemente ampliato proprio dal capitalismo.
Se il capitalista detiene il brevetto per la produzione di un certo bene, in grado di soddisfare un certo bisogno, allora agirà in regime di monopolio di fatto, perché i concorrenti, pure presenti sul mercato, non hanno ancora acquisito la tecnologia sufficiente per produrre lo stesso bene, con qualità pari se non superiore, ad un prezzo inferiore e quindi per conquistare loro una posizione di monopolio di fatto.
Ma presto o tardi la concorrenza sarà in grado di realizzare beni ad un prezzo inferiore.
Breve digressione.
Il capitalismo abbassa costantemente i prezzi di produzione dei beni perché meccanizza la produzione, ossia, sostituisce l’uomo con le macchine, il quale viene costantemente espulso dal mercato del lavoro.
Torniamo al nostro capitalista.
Visto che la situazione è che la concorrenza è ora in grado di sostituire il nostro nel monopolio, che scelte può fare il capitalista per restare “in sella”?
Può investire in tecnologia per abbassare sempre più i costi di produzione, oppure può comprimere il salario dei lavoratori e anche in questo caso, nel breve periodo, l’effetto è una riduzione sensibile dei costi.
Ma in questo meccanismo è presente anche un bug, un ospite decisamente indesiderato: nonostante gli sforzi fatti, la percentuale dei profitti tende inesorabilmente a calare. E del resto è del tutto evidente: se prima la torta se la pappava uno solo, in seguito, spartirsela con altri implica inesorabilmente che le fette siano sempre più piccole.
A questo punto, però, l’unica scelta possibile, grazie alla tecnologia, è aprire un altro mercato dei bisogni...ed il ciclo si ripete.
Oltre a queste considerazioni c’è da tenere presente che i presidenti dei consigli di amministrazione delle corporation e delle banche hanno un orizzonte temporale molto breve: il bilancio trimestrale. La loro unica preoccupazione è fare profitti perché il bilancio trimestrale sia positivo per loro stessi e gli azionisti.
Con un orizzonte temporale di tre mesi è molto difficile che i CEO (Chief of Executive Office, Presidente del Consiglio d’amministrazione) possano preoccuparsi di quanto può accadere tra vent’anni, ma anche solo tra sei mesi, perché il loro time limit è a tre mesi di distanza.
Quello che la decrescita felice chiede è che ci sia una programmazione che nell’arco di qualche anno ci porti ad essere, secondo i suoi sostenitori, tutti più felici... mi pare invece che, nel capitalismo, le condizioni per una tale impresa proprio non ci siano.
Mi sa che le obiezioni della ragazza fossero fondate…



mercoledì 9 ottobre 2013

TELECOM: la madre di tutte le privatizzazioni.


REDAZIONE NOICOMUNISTI

di Danila Cucurnia


Cosa c'era prima di Telecom?


Prima del 1994, il settore delle telecomunicazioni controllato dallo Stato, era diviso fra diverse società operanti in regime di monopolio:

  • SIP che si occupava della rete fissa urbana e della prima rete mobile
  • ASST che gestiva le dorsali e gli snodi teleselettivi
  • ITALCABLE che curava i collegamenti internazionali
  • TELESPAZIO per le comunicazioni satellitari
Tutte queste aziende facevano capo alla capogruppo STET a sua volta controllata dall'IRI. Queste aziende, nel 1994, davano lavoro a 120.000 persone che nel 2002, dopo soli 8 anni, scenderanno a 80.000. Si trattava di aziende che, nonostante i ladrocini perpetrati da manager nominati dai partiti, veri e propri boiardi di stato, riuscivano sovente a produrre utili, innovazione tecnologica e occupazione. Si pensi ad esempio alla CSELT di Torino dove l'ingegner Leonardo Chiariglione inventava lo standard video MPEG e il formato audio mp3, grazie al quale oggi vediamo film e sentiamo musica in internet. Ricordiamo anche l'introduzione negli anni '70 della teleselezione con software e hardware italiano che fece scuola a livello mondiale.

Cosa succede nel 1994?

In quell'anno, essendo internet in Italia ancora agli albori, tutte queste società vengono fuse insieme e nasce la TELECOM. Fin da subito si manifesta la natura truffaldina dell'operazione poiché il capitale immobiliare che l’azienda di stato porta in dote (terreni ed edifici nei centri storici delle più importanti città italiane, ad esempio a Roma in una traversa di Fontana di Trevi, a Milano a Via Cordusio, etc), viene volutamente sottostimato per rendere più appetibile la futura cessione ai privati.

Chi gestisce questa operazione?

A questo punto l'aria comincia ad essere satura di uno strano odore composto da aroma di mortadella e olezzo d'incenso da sacrestia: a gestire l'operazione è Romano Prodi, presidente dell'IRI, che rassegna le dimissioni pochi giorni dopo, quando Berlusconi diventa Presidente del Consiglio.

Con Berlusconi il cammino della privatizzazione si interrompe?

Assolutamente no, si prosegue; viene liquidata la STET e giunge l'ora del passaggio successivo: la collocazione in Borsa di Telecom.

Chi si trova alla regia dell'operazione di collocamento in Borsa della Telecom?

L'olezzo descritto più sopra torna a diffondersi. A dirigere l'operazione ritroviamo il nostro Romano Prodi, nel frattempo tornato alla ribalta come Presidente del Consiglio, che mette insieme un “dream team” (“squadra da sogno” per chi non mastica l'idioma della perfida Albione).
La squadra magica è composta da:
Carlo Azeglio Ciampi, ministro del Tesoro;
Mario Draghi, direttore generale del Tesoro (oggi presidente della Bce);
Vittorio Grilli, braccio destro di Draghi.

Cosa escogita il dream team?

Al grido di “W la modernità” e “mercato è bello”, parte l'operazione per far diventare Telecom una vera Public Company, Wow!
Vendere, vendere! Azionariato popolare! La democrazia nel mercato!
La realtà sarà ben diversa, a dispetto dei proclami che all'azionariato degli investitori di mercato finanziari e industriali non sia riservato più del 3%, mentre al Tesoro andrà il 5,5% (oltre alla golden share: per spiegazioni su cosa è chiedere alla Camusso), si permetterà alla FIAT, con appena lo 0,6%, di dettare legge. Infatti, dopo l'epurazione di Biagio Agnes e Ernesto Pascale, la FIAT fa cacciare dalla guida del gruppo Telecom, Guido Rossi. Umberto Agnelli attraverso il suo fido Gabriele Galateri di Genola e Suniglia ( ci mettiamo anche un VienDalMare al cognome?) nomina come Presidente Gian Mario Rossignolo che verrà allontanato dopo 10 mesi, non prima di aver fatto ridere mezzo mondo.

In tutta questa vicenda manca qualcuno. Dove erano gli intrepidi difensori dei diritti dei lavoratori?

Naturalmente impegnati a intonare inni per la Public Company, infatti CGIL-CISL-UIL, in Telecom, danno il loro consenso all’utilizzazione del TFR, anche nel caso dei lavoratori/trici che già ne hanno usufruito, per l’acquisto delle azioni. Come si vede il vizio di mettere le mani sul TFR parte da lontano. Il prezzo di collocamento in borsa è lit. 10.908 (euro 5.63) e di 10.795 (euro 5.58) per i dipendenti : chi avesse tenuto le azioni Telecom dal 1997 ad oggi (euro 2.09), si troverebbe una perdita del 169% circa, con buona pace di chi sostiene il vantaggio di conferire il TFR dei lavoratori alla Borsa.

Quanto incassò lo Stato dalla collocazione in Borsa?

Il Tesoro incassò dalla vendita 11,82 miliardi di euro, ma dal punto di vista del progetto industriale, dell'occupazione e dell'innovazione tecnologica fu un disastro. Naturalmente la gestione della Telecom viene caratterizzata da faide, guerre intestine, veti incrociati nonostante si crei il cosiddetto "nocciolo duro" dell'azionariato composto da:
  • IMI 0,8%
  • Credito italiano 0,7%
  • Credito Suisse First Boston 0,7%
  • Ifil 0,6%
  • Generali 0,6%
  • Compagnia San Paolo 0,6%
  • Comit 0,5%
  • Ina 0,5%
  • Mps 0,5%
  • Fondazione Cariplo 0,5%
  • Alleanza 0,4%
  • Rolo Banca 0,3%

Come si arriva a Bernabè e alla scalata dei "capitani coraggiosi" di Colaninno ?

Mancano i soldi e si sperava che li mettesse la FIAT visto che c'era un suo uomo al comando, l'eccezionale Gian Mario Rossignolo. La FIAT da quasi un secolo è abituata a prendere dallo Stato mica a mettere, quindi non ci pensa neanche per un minuto, oltretutto è in crisi e piena di debiti...
La presidenza di Rossignolo è attraversata da una straordinaria conflittualità dei managers e dei soci che gli sono dietro e che cercano di assumere il controllo senza metterci altri soldi.
Rossignolo combatte Tommasi, amministratore delegato (proviene dall' IRI-STET) che ha quasi chiuso un accordo con AT&T e manda a monte l’accordo stesso. Tommasi si dimette. Gamberale, sostenuto dai DS, in particolare da D’Alema, gli succede contro Caio, ex Olivetti, sostenuto da Profumo, Credito Italiano. Rossignolo cerca un accordo con Berlusconi (Mediaset), ma trova il veto da parte degli Agnelli; cerca allora un partner internazionale, CABLE & Wireless, ma anche questa operazione non riesce.

Ma questi "capitani coraggiosi" quando entrano in scena?

Nell’ottobre del 1998, arriva Bernabè dall’ENI (aficionado del Club Bilderberg). A questo punto arrivano anche i nostri "capitani coraggiosi": prende il via l’operazione Colaninno-Cuccia-D’Alema che porterà, nel febbraio del 1999, all’OPA lanciata dal consiglio d’amministrazione di Olivetti, che ha venduto INFOSTRADA ed OMNITEL al gruppo Mannesman. Infatti al ragioniere di Mantova, Roberto Colaninno viene un'idea meravigliosa: far comprare all'Olivetti il 51% delle azioni Telecom senza soldi.

Caricatura di D'Alema ispirata da Vauro


Come senza soldi?

Mai sentito parlare delle società "scatole vuote" (chiedere a Berlusconi, lui sì che se ne intende)?
Il nostro ragioniere mantovano crea la BELL società con sede in Lussemburgo. I soci sono Gnutti, altri industriali bresciani, Consorte dell'UNIPOL (Bersani e D'Alema ne sapete qualcosa?) e i furbetti del quartierino. Insomma gli imprenditori vicini al PD.
Bisogna dire che l'operazione, al ragioniere, non sarebbe riuscita senza l'appoggio di Bersani e D'Alema da una parte e di Cuccia dall'altra. Infatti D'Alema, quando si profila l'assemblea dei soci Telecom indetta da Bernabé per decidere sull'OPA, impedisce la partecipazione del Ministero del Tesoro, tant'è che Draghi se lo fa mettere per iscritto, così viene a mancare il numero legale. D'Alema in realtà vuole dare una legnata ad alcuni suoi nemici e crearsi un polo industriale amico, similmente a quanto fatto da Craxi con Schimberni e Gardini.
Dal canto suo Cuccia di Mediobanca procura i contatti con alcune banche internazionali che mettono il denaro come Dlj,Chase, Lehman.
L'Olivetti attraverso la società Tecnost controllata dalla Bell, controlla la Telecom con il 51% delle azioni accumulando un debito di 25,5 miliardi di euro. Non basta: viene creata un'ennesima società la HOPA cui oltre ai soggetti già elencati aderisce anche il Monte dei Paschi di Siena (a volte le coincidenze...). Si tratta di un'operazione di leverage buyout: compri un’azienda facendo i debiti e poi trovi il modo di scaricare il tuo debito sull’azienda che hai scalato.
La gestione di Colaninno è principalmente una gestione finanziaria, preoccupata attraverso artifizi (fusioni, scorpori), di impedire un’eventuale scalata di Telecom e di rendere più agevole il flusso di denaro che da Telecom deve affluire, attraverso le varie scatole, a TECNOST per sanare il debito.
Insomma il gioco delle tre carte fatto da magliari con la benedizione del PD.

Quand'è che Colaninno va a far danni da un'altra parte?

Abbastanza presto Olivetti comincia a barcollare in Borsa e anche Telecom va sempre peggio, per cui gli amichetti bresciani di Colaninno vogliono sfilarsi; insomma è un prendi i soldi e scappa. Non sembra vero ai loro occhi quando all'orizzonte compare Tronchetti Provera con alle spalle Benetton, Pirelli e banche come la Lazard che fa una buona offerta. Frattanto i debiti di Telecom arrivano a 51 miliardi di euro. Siamo nel 2001-2002.
La gestione di spremitura della Telecom di Colaninno trova un degno continuatore nel Tronchetti Provera, nessun investimento viene fatto.

E il Tronchetti Provera?

Il marito di Afef viene definitivamente travolto dallo scandalo spionistico causato dalla premiata ditta Tavaroli-Sasinini-Ghioni-Cipriani-Mancini, tutti managers Pirelli - Telecom, che godevano piena fiducia di Tronchetti Provera, con l’aggiunta del vice capo del SISMI. Se ne deve andare, non a mani vuote: incassa 295 milioni di euro. Neanche il ragionier Colannino si può lamentare, infatti si porta via anche lui circa 250 milioni.

Chi arriva dopo?

Comincia la lagna dell'italianità della Telecom che si trascina fino ai giorni nostri con l'offerta spagnola.
Vorrebbe comprare Carlos Slim, imprenditore telefonico messicano, oggi l’uomo più ricco del mondo. Bocciato. Bussa alla porta di Tronchetti, Cesar Alierta di Telefónica. Bocciato anche lui. Alla fine fiorisce la impagabile “operazione di sistema”. Il governo Prodi battezza un pasticcio in cui una nuova scatola, battezzata Telco, strapaga a Tronchetti le sue azioni: 2,8 euro contro i 2,2 della quotazione in Borsa.
Ai piccoli azionisti, che detengono l’80% del capitale, niente nemmeno stavolta.
La Telco è formata da Telefónica España, Assicurazioni Generali, Intesa Sanpaolo e Mediobanca.
E chi è il presidente di Mediobanca? Gabriele Galateri di Genola, l’immancabile.
Chi è il direttore generale di Mediobanca? Alberto Nagel, che attualmente intende far vendere a Mediobanca le sue partecipazioni azionarie in Telecom.
E chi è il numero uno di Intesa Sanpaolo? Bazoli, profeta delle operazioni “di sistema”.
L’operazione si chiude a fine aprile 2007. Mediobanca e Intesa Sanpaolo litigano fino a dicembre per scegliere il nuovo manager. Nel frattempo l’azienda rimane affidata a Riccardo Ruggiero, l’uomo di Tronchetti, famoso per gli stipendi, le buonuscite e l’autovelox che lo becca a 311 all’ora in autostrada sulla Porsche e che finirà invischiato nell’inchiesta sulle sim false di Tim.
A dicembre arriva la scelta di Franco Bernabè (di nuovo lui), decisa dal comitato nomine di Mediobanca di cui fa parte Tronchetti, il quale dunque è chiamato a scegliere il successore nell’azienda che ha venduto, ma anche evidentemente comprato.
Elegantemente Tronchetti non si presenta alla riunione dalla quale esce il nome del nuovo presidente di Telecom Italia: Gabriele Galateri di Genola, che lascia così la poltrona di Mediobanca a Cesare Geronzi.
Geronzi passerà alle Generali da dove sarà cacciato e al suo posto di presidenza oggi c’è lui: Gabriele Galateri di Genola e Suniglia, il quale ha comprato Telecom come presidente di Mediobanca, gestito Telecom come presidente di Telecom e rivenduto Telecom come presidente di Generali.

Stessa domanda di poco più sopra: la “Triplice” cosa ha detto di tutto questo?

Una beata minchia!
Dalla pagina http://www.proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=585(invito chi volesse approfondire questa vicenda a leggere questo ottimo articolo):
"Negli scenari, sin qui descritti, va sottolineato che CGIL-CISL-UIL & CO hanno tenuto fede al celebre motto “Franza o Spagna, purché se magna”, nel senso che hanno pienamente appoggiato e sostenuto tutti i processi attuati. Anzi, come ogni neofita che si rispetti, sono stati zelanti sacerdoti del libero mercato ed interessati rappresentanti della cogestione, infittendo le stanze della cogestione e della compartecipazione economica - un esempio per tutti il fondo pensioni integrativo (Telemaco), e sottoscrivendo una serie di accordi a perdere a danno di lavoratrici e lavoratori. Hanno cominciato, già, nel 1996, predisponendo, quando ancora l’unica azienda delle telecomunicazioni era Telecom, la trasformazione del contratto nazionale dei lavoratori Telecom in quella di settore delle telecomunicazioni, peggiorando, naturalmente, le condizioni normative ed economiche di partenza, ad esempio soppressione della 14 mensilità, coefficienti, etc. Hanno dato, come scritto sopra, il loro consenso all’uso del TFR per l’acquisto delle azioni, al momento della privatizzazione. Hanno sottoscritto tutte le esternalizzazioni, stipulando accordi d’armonizzazione, salvo offrire, successivamente, un’opposizione di circostanza, di fronte alle preoteste di lavoratrici e lavoratori che inviavano loro diffide a sottoscrivere accordi che li riguardassero. Hanno sottoscritto tutti gli accordi sulla mobilità, a prescindere di chi governasse Telecom, chiudendo gli occhi sull’incremento del fenomeno degli appalti e sub appalti. Hanno dato il loro consenso allo smantellamento del settore informatico aziendale (sia FINSIEL, sia TELECOM), accettando che lo stesso fosse dato in appalto e sub appalto ad una miriade di aziende e azienducole. Hanno appoggiato la crescita di mostri tipo ATESIA, favorendo l’uscita del lavoro da Telecom e TIM e siglando accordi che davano legittimità all’adozione dei contratti CO.CO.CO. nei riguardi di decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici. Come le tre scimmiette non hanno visto, sentito e detto nulla sulla vergognosa vicenda delle intercettazioni, malgrado siano presenti in una valanga di commissioni paritetiche a livello nazionale, regionale, provinciale"

Ma la storia si ripete?

Parrebbe di sì, infatti leggiamo su Repubblica del 3/10/2013 che Bernabé si dimette dalla presidenza di Telecom. Anche lui non se ne va a mani vuote: porta via un "gruzzoletto" di 6,6 milioni di euro.

Quindi, salvo interventi del governo, Telefónica España si avvia ad assumere il controllo di Telecom. Comunque rimanete sintonizzati perché la storia continua...


LINK:
http://www.proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=585
http://sottoosservazione.wordpress.com/2010/04/16/la-polpa-di-telecom-ha-riempito-le-loro-pance-lettera-di-colaninno/

http://it.wikipedia.org/wiki/Scandalo_Telecom-Sismi
http://www.ilgiornale.it/news/e-tronchetti-aula-rivela-fu-letta-dirmi-riprendere-tavaroli.html