domenica 28 luglio 2013

Jagoda, l'assassino che si credeva Hitler



A CURA DELLA REDAZIONE DI NOICOMUNISTI


Pubblichiamo 2 testi un po' lunghi e non proprio vivacissimi ma che per i compagni desiderosi di costruirsi un'opinione aderente alla realtà dei fatti storici e lontana anni luce dalla bugie anticomuniste di origine nazista che, purtroppo, (questa è la nota più amara) vengono condivise come verità metafisiche discese da chissà quale iperuranio da troppi che si ritengono comunisti, saranno di estremo interesse.
Ogni tanto bisogna fare qualche sacrificio...

Il primo testo è tratto da:

Michael Sayers e Albert E. Kahn - La grande congiura contro l’Urss


Il secondo testo invece è tratto da:

 A cura di G. Avenati- Il processo contro il "Blocco antisovietico della Destra e dei trotzkisti

Entrambi i testi trattano del ruolo giocato nella congiura contro il popolo sovietico, addirittura dal capo di quell'organizzazione che avrebbe dovuto metterlo al riparo da simili rischi.
Questi fatti rappresentano un elemento fondamentale per smontare la tesi divulgata dalla propaganda anticomunista, secondo cui Stalin e i suoi collaboratori esercitavano una ferrea dittatura. Magari fosse stato così, si sarebbero risparmiate molte sofferenze e molti lutti.

Genrich Grigor'evič Jagoda

Michael Sayers e Albert E. Kahn - La grande congiura contro l’Urss 


Capitolo quindicesimo


Assassinio nel Cremlino 1. Jagoda. 


 
Nel maggio del 1934, sei mesi prima dell'assassinio di Serghjéj Kirov, era morto di un attacco cardiaco Vinceslav R. Menzhinskij, presidente dell'Ogpu, da lungo tempo sofferente. Il suo posto fu occupato dal vice-presidente dell'Ogpu, Henryk Gregorievìc Jagoda, un uomo di quarantatré anni, di bassa statura, dal mento sfuggente e dai baffetti ben tagliati, silenzioso e padrone di sé. 

Jagoda era membro segreto del Blocco delle Destre e dei trotskisti. Era entrato nella congiura nel 1929 come membro dell'opposizione di destra, non perché pensava che l'opposizione era destinata a salire al potere in Russia. Jagoda voleva trovarsi dalla parte dei vincitori. Ecco le sue stesse parole: 

«Seguivo il corso della lotta con la più grande attenzione, avendo deciso già sin da principio che mi sarei messo dalla parte che sarebbe uscita vittoriosa da questa lotta». 
  
Come vice-presidente dell'Ogpu, Jagoda era in grado di proteggere i cospiratori dalla scoperta e dall'arresto. «Per parecchi anni - dichiarò più tardi, - presi tutte le precauzioni necessarie per proteggere l'organizzazione, specialmente il suo centro». Jagoda nominò membri del Blocco delle Destre e dei trotskisti agenti speciali nella Ogpu. In tal modo, vari agenti dei servizi segreti stranieri poterono penetrare nella polizia segreta sovietica e svolgere, sotto la protezione di Jagoda, un'attività spionistica per conto dei loro rispettivi governi. «Li consideravo - disse più tardi Jagoda, riferendosi alle spie straniere, - forze utili all'attuazione dei piani cospirativi, specialmente per il mantenimento dei legami con i servizi segreti stranieri». 

Nel 1933 fu arrestato, inaspettatamente, da agenti del governo sovietico Ivàn Smirnov, organizzatore-capo del centro terroristico trotskìsta-zinovievista. Jagoda non ne poté impedire l'arresto. Con il pretesto di interrogare il prigioniero, Jagoda visitò Smirnov nella sua cella e lo «istruì» sul modo di comportarsi, all'interrogatorio.  Nel 1934, molto tempo prima dell'assassinio di Kirov, a Leningrado, era stato arrestato da agenti dell'Ogpu il terrorista Leonid Nikolajev. In suo possesso era stato trovata una pistola e una cartina con tracciata la via percorsa ogni giorno da Kirov. Allorché Jagoda era stato informato dell'arresto di Nikolajev, aveva dato istruzioni a Zaporozherz, vicecapo dell'Ogpu di Leningrado, di rilasciare il terrorista senza interrogarlo ulteriormente. Zaporozhetz, che era uno degli uomini di Jagoda, obbedì. 
Poche settimane più tardi, Nikolajev aveva assassinato Kirov. Ma l'assassinio di Kirov non fu che uno dei molti assassinî compiuti dal Blocco delle Destre e dai troskisti con l'aiuto diretto di Jagoda... 


La decisione del Blocco delle Destre e dei trotskisti di adottare il terrorismo come arma politica contro il regime sovietico aveva l'approvazione di Jagoda. La decisione gli fu comunicata da J. S. Yenukidze, ex soldato e funzionario della segreteria del Cremlino, il quale era l'organizzatore capo degli atti di terrorismo per la destra. Jagoda aveva una sola obiezione: i metodi terroristici usati dai cospiratori erano, secondo lui, troppo primitivi e pericolosi. Egli cominciò a escogitare metodi di assassinio politico più raffinati delle armi tradizionali, delle bombe, pugnali o pallottole. In un primo tempo Jagoda fece esperimenti con il veleno. Installò un laboratorio clandestino e vi fece lavorare diversi chimici. Il suo scopo era di scoprire un metodo di uccisione che non destasse sospetti. «Assassinio con garanzia», lo chiamava. 

Ma perfino i veleni erano troppo primitivi. Però non occorse molto tempo a Jagoda per perfezionare la sua speciale tecnica dell'assassinio, che egli raccomandava ai capi del Blocco della Destra e dei trotskisti come arma perfetta. «È molto semplice - diceva. - Una persona si ammala per cause naturali oppure è stata ammalata per qualche tempo. Coloro che le stanno vicino si abituano, naturalmente, all'idea che il paziente o morirà o guarirà. Il medico che cura il paziente ha la facoltà di facilitare la guarigione del paziente o la sua morte ... Ebbene? Tutto il resto è questione di tecnica».

Bastava trovare i medici adatti.


2. L'assassinio di Menzhinskij


Il primo medico che fu coinvolto da Jagoda nel suo originale schema di assassinio, fu il dottor Lev Levin, un uomo corpulento, di mezza età, ossequiente, il quale si vantava volentieri del suo disinteresse per le cose politiche. Era medico curante di Jagoda. Più importante era per Jagoda il fatto che il dottor Levin fosse un membro eminente del corpo sanitario del Cremlino. Fra i suoi pazienti abituali vi erano importanti capi sovietici, tra cui il superiore di Jagoda, Vjaceslav Menzhinskij, presidente dell'Ogpu. 


In conseguenza delle manovre di Jagoda, l'ignaro dottor Levin fu indotto ad accettare denaro sottomano e a commettere alcune infrazioni di minor conto delle leggi sovietiche. Allora Jagoda entrò senza ambagi in argomento. Disse al Levin che nell'Unione Sovietica stava per prendere il potere un movimento clandestino di opposizione, di cui egli stesso era uno dei capi. I cospiratori - disse - avrebbero potuto far buon uso dei suoi servigi. Alcuni capi sovietici, fra cui alcuni pazienti del dottor Levin, dovevano essere tolti di mezzo. 


«Ricordatevi bene - disse Jagoda al dottore atterrito - che non potete fare a meno di ubbidirmi, che non potete sfuggirmi. Dovete apprezzare il fatto che io ripongo fiducia in voi per questa faccenda, e il fatto è eseguire quanto vi ho detto. Non dovete parlarne con nessuno. Nessuno vi crederà. Crederanno a me e non a voi». Jagoda aggiunse: «Lasciamo questo discorso, ci ripenserete a casa vostra e io vi richiamerò fra pochi giorni». 

Levin descrisse in seguito la sua reazione alle parole di Jagoda. Affermò: «Non ho bisogno di dirvi quale fu la mia reazione psicologica, quanto fu terribile per me sentire quelle parole. Si può capire abbastanza bene. E, poi, quell'incessante tortura mentale...» E aggiunse: «Vi rendete conto chi vi sta parlando, il capo di quale istituzione!»... Dichiarò ripetutamente che un mio rifiuto di attuare il suo piano avrebbe significato la rovina mia e della mia famiglia. Ritenni di non aver altra via se non quella di sottomettermi. 


Levin aiutò Jagoda ad assicurarsi i servigi di un altro medico, il quale a sua volta curava di frequente Menzhinskij. Era il dottor Ignati N. Kazakov, i cui metodi terapeutici, chiaramente poco ortodossi, erano, intorno al 1930, motivo di accese controversie nell'ambiente medico sovietico.

Il dottor Kazakov pretendeva di avere scoperto una cura quasi infallibile per numerosissime malattie per mezzo di una tecnica speciale da lui chiamata «Lysatoterapia». Il presidente dell'Ogpu Menzhinskij, che soffriva di angina pectoris e di asma bronchiale, aveva grande fiducia nelle cure di Kazakov e vi si sottoponeva regolarmente. 

Seguendo le istruzioni di Jagoda, Levin andò dal Kazakov. Levin gli disse: - Menzhinskij è un uomo morto. State veramente perdendo il vostro tempo. 
Kazakov guardò il suo collega con aria attonita. 

- Devo avere un colloquio confidenziale con voi, - disse il Levin. 
- Su che cosa? - chiese Kazakov, 
- Sulla salute di Menzhinskij... 
Poi Levin entrò in argomento. - Credevo che foste più intelligente, ancora non mi avete capito, - disse a Kazakov. 
- Mi stupisce che voi vi siate assunto la cura di Menzhinskij con tanto zelo e che abbiate persino migliorato la sua salute. Non avreste mai dovuto metterlo in condizioni di tornare al suo lavoro. 
Poi, mentre stupore ed orrore aumentavano in Kazakov, Levin proseguì: 
- Vi dovete render conto che Menzhinskij è già un uomo morto e che, ridandogli la salute, permettendogli di tornare al suo lavoro, voi vi mettete in contrasto con Jagoda. Menzhinskij sbarra la strada a Jagoda e questi ha interesse a toglierlo di mezzo al più presto. Jagoda è uomo da non fermarsi davanti a nulla. 
Levin aggiunse: 
- Non una parola di ciò a Menzhinskij! Vi prevengo che, se ne parlerete a Menzhinskij, Jagoda vi eliminerà. Non riuscirete a sfuggirgli dovunque vi nascondiate . Egli vi acciufferebbe anche se foste sotto terra. 
Nel pomeriggio del 6 novembre 1933, Kazakov ricevette una chiamata urgente dal quartier generale dell'Ogpu: Jagoda desiderava vederlo subito. Una automobile era già partita per venirlo a prendere e portarlo al suo ufficio. 
- Ebbene, che cosa ne pensate della salute di Menzhinskij? - fu la prima cosa detta da Jagoda, quando lui e Kazakov furono soli nell'ufficio. Il basso, azzimato e bruno vice-presidente dell'Ogpu, stava seduto dietro la sua scrivania, osservando freddamente l'espressione di Kazakov. 
Kazakov rispose che un improvviso rinnovarsi degli attacchi d'asma aveva aggravato le condizioni di Menzhinskij. 
Jagoda rimase in silenzio per un momento. 
- Avete parlato con Levin? 
- Si. 
Jagoda si alzò improvvisamente dalla sedia e cominciò a passeggiare in su e in giù davanti alla sua scrivania. D'un tratto, si voltò verso Kazakov investendolo furiosamente: - In tal caso perché perdete tempo? Perché non agite? Chi vi ha detto di immischiarvi negli affari altrui? 
- Che cosa volete da me? - domandò Kazakov. 

- Chi vi ha detto di prestare le vostre cure mediche a Menzhinskij? - domandò Jagoda. - Vi state dando da fare con lui inutilmente la sua vita non serve a nessuno. È un ingombro per tutti. Vi ordino di concordare con Levin un metodo di cura che possa determinare la rapida fine di Menzhinskij! - Dopo una pausa, Jagoda aggiunse: - Vi prevengo, Kazakov, se tenterete di disubbidirmi, troverò la maniera di sbarazzarmi di voi! Non mi sfuggirete mai.
I giorni successivi furono per Kazakov pieni di terrore, di paura e di incubi. Faceva il suo lavoro in uno stato di sonnambulismo. Doveva o non doveva riferire alle autorità sovietiche quello che sapeva? A chi poteva parlare? Come poteva essere sicuro di non parlare a una delle spie di Jagoda? 

Levin, che spesso s'incontrava con lui durante questo periodo, gli parlò dell esistenza di una vasta congiura clandestina contro il governo sovietico. Funzionari influenti, famosi - come Jagoda, Rykov e Pjatakov - facevano parte della congiura; scrittori e filosofi brillanti - come Karl Radek e Buchàrin - vi erano entrati; uomini dell'esercito l'appoggiavano in segreto. Se egli, Kazakov, rendeva ora qualche servizio utile a Jagoda, questi se ne sarebbe ricordato il giorno in cui fosse al potere. Una guerra segreta si stava combattendo entro l'Unione Sovietica e i medici dovevano, come gli altri, decidersi per una delle due parti. Kazakov si sottomise. Disse a Levin che avrebbe eseguito gli ordini di Jagoda. 

Ecco, con le parole dello stesso Kazakov, la tecnica usata da lui e da Levin per assassinare il presidente dell'OGPU: 

«M'incontrai con Levin e insieme a lui elaborai il seguente metodo... Si approfittò delle particolari condizioni dell'organismo di Menzhinskij; della combinazione dell'asma bronchiale con l'angina pectoris... Ci si valse esattamente di questo. Gradualmente sostituimmo ai vecchi nuovi preparati... Era necessario far uso di stimolanti cardiaci, digitale, adonide, atropina, che stimolavano l'attività cardiaca. Questi medicinali furono somministrati nell'ordine seguente: prima, si somministrarono i lisati, poi, dopo un periodo di interruzione, gli stimolanti cardiaci. Risultato di quel trattamento fu un completo indebolimento...» 
Nella notte del 10 maggio 1934 Menzhinskij morì. 
L'uomo che ne prese il posto come capo dell'Ogpu fu Jagoda. 


3. Assassinio con garanzia.

Un giorno, verso la fine dell'agosto 1934, un giovane membro segreto dell'opposizione di destra fu chiamato al Cremlino nell'ufficio di Yenukidze, l'organizzatore terrorista della Destra. Si chiamava Venjamin A. Maximov. Da studente aveva frequentato nel 1928 la speciale « scuola marxista » di Mosca allora diretta da Buchàrin. Questi lo aveva reclutato per la congiura. Intelligente, giovine, privo di scrupoli, Maximov era stato addestrato accuratamente dai dirigenti della Destra ed era stato assegnato, dopo il conseguimento del diploma, a vari uffici di segretario. All'epoca in cui fu chiamato nell'ufficio di Yenukidze, Maximov era segretario personale di Valerian V. Kuibjscev, presidente del Consiglio supremo dell'Economia nazionale, membro dell'ufficio politico del partito comunista e amico intimo e collaboratore di Stalin.

Yenukidze informò Maximov che, «mentre prima la Destra calcolava che il governo sovietico potesse essere rovesciato organizzando certi strati della popolazione a tendenza antisovietica, ora la situazione è mutata... ed è necessario passare a metodi più energici per prendere il potere». Yenukidze descrisse la nuova tattica dei congiurati. D'accordo con i trotskisti, la Destra aveva adottato la decisione di eliminare diversi avversari politici con mezzi terroristici. Questo si doveva fare «rovinando la salute dei dirigenti». Tale metodo era «il più opportuno, perché, fermandosi alle apparenze, se ne sarebbe attribuita la causa a una malattia e sarebbe stato perciò possibile mascherare l'attività terroristica della Destra».

- I preparativi di tale azione sono già iniziati - aggiunse Yenukidze, informando Maximov che le fila di tutta la faccenda risalivano a Jagoda. Di lui, segretario di Kuibjscev, ci si doveva valere per l'assassinio del presidente del Consiglio supremo dell'economia nazionale. Kuibjscev soffriva di una seria affezione cardiaca, e i cospiratori progettavano di approfittarne.

- Quello che si domanda a voi - disse Yenukidze a Maximov - è: primo, di dar loro (ai medici di Yenukidze) la possibilità di visitare di frequente il paziente, di fare in modo che non ci siano ostacoli alle loro cosiddette visite; secondo, nel caso di malattia grave, di attacchi d'ogni specie, di non affrettarsi a chiamare il medico e, se sarà necessario, di chiamare solo i medici che lo hanno in cura.
Verso l' autunno del 1934, la salute di Kuibjscev peggiorò rapidamente. Soffriva intensamente e poteva lavorare ben poco.

Il dottor Levin descrisse più tardi la tecnica che egli, seguendo le istruzioni di Jagoda, applicò per aggravare il male di Kuibjscev:

«Il punto debole del suo organismo era il cuore, e fu il cuore che col pimmo. Sapevamo che il suo cuore già da tempo era in cattive condizioni. Soffriva di un'affezione dei vasi cardiaci di miocardite, ed era soggetto a leggeri attacchi di angina pectoris. In tali casi, è necessario risparmiare il cuore, evitare stimolanti cardiaci potenti, che ecciterebbero eccessivamente l'attività del cuore e condurrebbero gradualmente al suo ulteriore indebolimento... A Kuibjscev somministrammo stimolanti senza intervalli per un periodo prolungato, fino cioè all'epoca del suo viaggio nell'Asia Centrale. A partire dall'agosto, fino al settembre o ottobre 1934, gli furono fatte iniezioni di speciali estratti di glandole endocrine e di altri stimolanti cardiaci, senza mai interrompere. Ciò intensificò e provocò attacchi frequenti di angina pectoris».
Alle due del pomeriggio del 25 gennaio 1935, Kuibjscev ebbe un grave attacco cardiaco nel suo ufficio del Consiglio dei commissari del popolo a Mosca. A Maximov, che si trovava con lui in quel momento, Levin aveva detto che, nel caso di un simile attacco, sarebbe stato necessario che il malato si sdraiasse e rimanesse assolutamente immobile, ma che era suo compito far in modo che Kuibjscev facesse esattamente l'opposto. Maximov persuase Kuibjscev, le cui condizioni erano gravissime, ad andar a casa. Pallido come uno spettro e movendosi con difficoltà estrema, Kuibjscev lasciò l'ufficio. Maximov telefonò subito a Yenukidze informandolo dell'accaduto. Il dirigente della Destra disse a Maximov di non perdere la calma e di non chiamare medici.

Con grande sforzo Kuibjscev lasciò il Consiglio dei comrnissari del popolo e raggiunse la sua abitazione. Lentamente, tra atroci dolori, salì i tre piani che conducevano al suo appartamento. La domestica che gli venne incontro sulla porta, appena lo ebbe visto, telefonò immediatamente al suo ufficio chiedendo che si chiamasse d'urgenza un medico. Quando i medici arrivarono, Valerian Kuibjscev era morto.


A cura di G. Avenati- Il processo contro il "Blocco antisovietico della Destra e dei trotzkisti


SEDUTA ANTIMERIDIANA DELL'8 MARZO 1938



(In questa seduta si affronta il più orribile e oscuro dei delitti imputati al “blocco": i cosiddetti “assassinii medici" che sarebbero stati eseguiti in seguito a ordini diretti di Iagoda.

Il primo a deporre è il dottor L.G. Levin, già medico di fiducia della OGPU accusato di essere l’organizzatore di questi assassinii. Levin dichiara di aver detto la verità <<sin dal primo giorno che entrai in prigione>>; e ammette di avere organizzato, per imposizione di Iagoda, l'uccisione di Menzinskij, capo della OGPU, inducendo il dottor Kazakov, che ne godeva la fiducia, a somministrargli una dose eccessiva di una sua specialità medicinale, in modo che Iagoda potesse succedergli nella direzione della OGPU; di Peskov, figlio di Gorkij, facendolo ubriacare dal segretario di Gorkij, l’imputato Kriuchkov, lasciandolo poi privo di sensi sulla panchina di un giardino al freddo, e facendogli ordinare cure sbagliate dopo che si era preso un malanno; di Gorkij, con una serie di accorgimenti per danneggiarne i deboli polmoni e farne precipitare la malattia; di Kujbishev, somministrandogli una cura sbagliata per il cuore, e facendogli poi mancare l'assistenza medica.

L’imputato Kazakov conferma la deposizione di Levin per quanto riguarda la parte che avrebbe avuto, sempre su imposizione di Iagoda, nella soppressione di Menzinskii. Ma Iagoda lo smentisce duramente.)



Vyshinskij: Imputato Iagoda, deste istruzioni a Levin di dire a Kazakov che sarebbe stato chiamato per venire a parlare con voi?
Iagoda: Vedo quest'uomo per la prima volta.
V.: Sicché non deste questo incarico a Levin?
I.: Io diedi istruzioni a Levin di parlarne.
V.: Con chi?
I.: Con Kazakov, ma non lo ricevetti personalmente.
V.: Non vi sto chiedendo se lo riceveste o no; vi sto chiedendo se deste istruzioni a Levin di parlarne con Kazakov.
I.: Non diedi istruzioni di parlarne con Kazakov.
V.: Avete appena detto che gli avevate dato questo incarico.
I.: Io diedi istruzioni a Levin di provocare la morte di M. Gorkij e di Kujbishev, e questo è tutto.
V.: E quanto a Menzinskij?
I.: Io non ho fatto assassinare né Menzinskij né Max Peskov.
V.: Lo vedremo quando vi interrogheremo su questo punto. Per ora, ci interessa solo accertare se Levin dice la verità, quando afferma che lo avevate incaricato di parlare con Kazakov e di informarlo che lo avreste mandato a chiamare.
I.: Non ho incaricato Levin di parlarne con Kazakov.
V.: Non l'avevate incaricato?
VI.: No.
(Levin e Kazakov confermano invece la circostanza. Vyshinskij si rivolge allora nuovamente a Iagoda, e gli legge quella parte della sua deposizione in istruttoria in cui aveva confessato anche gli assassinii di Menzinskij e di Peskov.)



Vyshinskij: Voi non deponeste questo, imputato Iagoda?
Iagoda: Dissi di averlo fatto, ma non è vero.
V.: Perché lo diceste, se non è vero?
I.:Non so perché.
V.: Sedete. <<Convocai Kazakov, gli confermai il mio ordine, e lui fece il suo lavoro. Menzinskij morì>>. Avete deposto questo, imputato Iagoda?
I.: Sì
V.: Quindi, vi incontraste con Kazakov?
V.: Perché allora avete deposto il falso?
I.: Permettetemi di non rispondere a questa domanda.
V.: Allora negate di avere organizzato l’assassinio di Menzinskij
I.: Lo nego.
V.: Ma nella vostra deposizione in istruttoria l’avete ammesso?
I.: Sì. 
V.: Quando il procuratore generale dell’URSS vi ha interrogato, che cosa avete risposto alla domanda sulla parte che avete avuto nell’assassinio di Menzinskij?
I.: Confermai anche quella, allora 
V.: La confermaste. E perché?
I.: Permettetemi di non rispondere a questa domanda.
V.: Allora rispondete a questa mia ultima domanda. Avete formulato reclami o lagnanze a proposito dell`istruttoria preliminare?
I.: No.
V.: Volete formularne ora?
I.: No.

(Viene quindi chiamato a deporre Kriuchkov, che conferma la parte che egli avrebbe avuto nell'uccidere Peskov su ordine di Iagoda.)



Vishinskij: Imputato Iagoda, avete parlato del complotto a Kriuchkov?
Iagoda: No, non gliene ho mai parlato.
V.: Avete parlato con lui di questioni politiche?
I.: No, non ho mai avuto confidenza con lui.
V.: Sicché tutto quello che dice Kriuchkov?
I.: Sono tutte menzogne.
V.: Non gli deste istruzioni a proposito di Max Peskov?
I.: Ho già detto, Cittadino Procuratore, che non ho dato istruzioni a nessuno a proposito di Max Peskov; non vedo che utilità avrebbe potuto avere il suo assassinio.
V.: Sicché anche Levin mente?
I.: Mente
V.: Kazakov mente?
I.: Mente
V.: E Kriuchkov?
I.: Mente.
V.:Voi non deste istruzioni a Kriuchkov per la morte di Max Peskov? Nell'istruttoria preliminare, avevate detto...
I.: Ho mentito.
V.: E adesso?
I.:Sto dicendo la verità.
V.: Perché avete mentito nell'istruttoria preliminare?
I.: Ve l'ho detto. Permettetemi di non rispondere a questa

(Vysbhnskii interroga ancora Levin, che parla diffusamente degli assassinii di Kujbisbev e di Gorkii, che Iagoda conferma. Levin viene quindi interrogato dal suo avvocato difensore Braudé, e dichiara di non avere mai saputo, prima del processo, che dietro gli assassinii a lui ordinati da Iagoda vi fosse una organizzazione direttiva. Levin afferma anche di avere ubbidito a Iagoda sopratutto perché spaventato dalle minacce contro la sua famiglia [<<una famiglia sovietica, buona e lavoratrice>>], che Iagoda avrebbe distrutto qualora egli non avesse ottemperato ai suoi ordini.
Al termine dell’udienza, gli ”esperti" Sereshevskii e Vinogradov dichiarano di non aver domande da rivolgere all'imputato Levin, giacché, a loro avviso, <<tutto è chiaro>>.)

UDIENZA POMERIDIANA DELL'8 MARZO 1938



Un usciere della Corte.: Entra la Corte, alzatevi.
Presidente: Sedete. Il processo continua. Imputato Bulanov, confermate le dichiarazioni rese nell’istruttoria preliminare?
Bulanov: Le confermo. I dati e i fatti che ho riferito al procuratore in istruttoria, e dei quali ora vi parlerò, li ho saputi da Iagoda, dalle conversazioni che ho avuto con lui o dagli incontri da lui avuti in mia presenza con altri complici.
Negli anni in cui ho lavorato con Iagoda come segretario particolare e come segretario del Commissariato del popolo, mi abituai a vedere le cose con gli occhi di Iagoda: in quegli anni ho passato la maggior parte del mio tempo al Commissariato del popolo, accanto a Iagoda e lavorando per lui; ed ero totalmente, assolutamente distaccato dalla vita del partito, dal partito, dalla vita sociale. Se così posso esprimermi, avrei giurato su qualsiasi cosa dicesse lui. Così Iagoda ha fatto di me un uomo a lui completamente devoto, dal quale sapeva che non sarebbe mai stato tradito: e perciò nei nostri incontri, e negli incontri che aveva in mia presenza con altre persone, non aveva segreti, non nascondeva nulla. Conoscevo i suoi delitti perché me ne aveva fatto partecipe.
Intorno al 1931 per la prima volta, e senza che me lo aspettassi, Iagoda mi disse che era di destra: evidentemente, era sicuro che io fossi ormai perfettamente allineato e indottrinato. Nel 1934, sempre da Iagoda, seppi per la prima volta che c’era un complotto.
A poco a poco, da un colloquio all’altro, Iagoda mi mise al corrente della organizzazione controrivoluzionaria. Staccato dalla vita del partito, mi affidai ciecamente a Iagoda. 
Vyshinshij: In che anno mi avete detto che Iagoda vi annunciò di essere di destra?
Bul.: Nel 1931.
V.: Da quanto tempo lavoravate con Iagoda?
Bul.: Avevo cominciato verso la fine del 1929.
V..· Continuate.
Bul.: Un giorno, in uno dei nostri colloqui, Iagoda mi disse che lui stesso e gli altri della cospirazione di destra si erano uniti ai trotzkisti e gli zinovievisti. Aggiunse che non c’era da sperare in un successo con mezzi legali all’interno del partito; e che per arrivare al potere non c’era che un solo modo: usare la violenza per impadronirsi del potere con le armi, con un colpo di Stato.
In questo colpo di Stato, a quanto mi disse, una parte importante spettava a Jenukidze; e un’altra parte, non meno importante, spettava a lui, a Iagoda. Il loro campo d’azione doveva essere il Cremlino, per Jenukidze; il Commissariato del popolo agli Affari Interni, per Iagoda.
Iagoda fantasticava — e lo fece anche in altre occasioni: ma forse non è esatto parlare di fantasie, perché ne parlava con molto realismo — che se il colpo di Stato fosse riuscito egli stesso sarebbe diventato presidente del Consiglio dei Commissari del popolo.
V.: Presidente del Consiglio dei Commissari del popolo?
Bul.: Sì. Le cariche di partito, secondo lui, sarebbero dovute andare a Tomskij, a Bukarin e a Rikov; Tomskij, secondo i loro progetti, doveva anche riprendere il ruolo di dirigente dei sindacati. I segretari del Comitato Centrale dovevano essere Rikov e Bukarin. E Iagoda sottolineava che quando lui sarebbe stato presidente del Consiglio dei Commissari del popolo, il ruolo dei segretari del Comitato Centrale sarebbe stato del tutto diverso: ma non so che cosa intendesse dire con questo.
Chiedo alla Corte di tener conto che non sto riferendo l’oggetto di un singolo colloquio, ma sto cercando di sintetizzare il contenuto di molti colloqui con me o con altre persone in mia presenza; e rispondo pienamente dell’esattezza di quanto riferisco.
Mi ricordo di un parallelo che Iagoda fece tra Bukarin, come futuro segretario del Comitato Centrale, e Goebbels. Su un piano più generale, debbo dire che Iagoda era molto entusiasta di Hitler.
V.: Su un piano generale, era entusiasta del fascismo? Ma in concreto?
Bul.: Era entusiasta di Hitler. Diceva che il suo libro Mein Kampf era veramente un libro di valore.
V.: Di valore?
Bul.: Molte volte faceva osservare che Hitler, da semplice sottuficiale, era potuto ascendere alla sua attuale posizione.
V.: Ma Iagoda non era stato a sua volta un sottufficiale?
Bul.: Non lo so, ma il suo modo di fare era quello di un sottufficiale.
Nel futuro governo, se mi ricordo bene, Jenukidze doveva diventare presidente del Comitato Esecutivo centrale.
V.: E che cosa c’entra Goebbels?
Bul.: Diceva che accanto a lui Bukarin poteva fare buona figura nel ruolo di Goebbels.
V.: Diceva questo di Bukarin?
Bul.: Per quanto ho potuto capire, il significato del parallelo era questo; Iagoda, Presidente del Consiglio dei Commissari del popolo, assistito da un segretario tipo Goebbels e con un Comitato Centrale del tutto docile, avrebbe potuto governare come voleva. Io ho capito così; e penso di aver capito bene. Il concetto era questo: che Bukarin sarebbe stato una marionetta nelle sue mani e avrebbe fatto tutto quello che pareva a lui, a Iagoda. 
Il colpo di Stato armato concepito da Iagoda doveva coincidere necessariamente con la guerra. Un giorno, per sottolineare il mio stupore, dissi a Iagoda che non capivo una cosa: in caso di guerra, di pericolo imminente, di situazione grave, un rovesciamento del governo poteva compromettere la tenuta del fronte.
Iagoda mi rispose subito che ero un ingenuo se credevo che loro — che si ritenevano grandi uomini politici — avrebbero scatenato un colpo di Stato senza essersi prima accordati con i probabili e inevitabili nemici dell’URSS in guerra: tedeschi e giapponesi. Mi disse esplicitamente che c’era un’intesa diretta con loro perché, in caso di riuscita del colpo di Stato, riconoscessero il nuovo governo e sospendessero le operazioni militari.
V.: A quali condizioni?
Bul.: Non vorrei sbagliare; ma mi pare che si parlasse di accordare loro concessioni e privilegi. Fu allora che per la prima volta mi si disse che Krestinskij e Karakan erano uomini loro, membri responsabili del complotto e impegnati nell’attività controrivoluzionaria. Molto più tardi sentii fare il nome di Tukacevskij come Commissario del popolo alla Difesa, nel futuro governo.


(Bulanov continua raccontando i particolari delle trame di Iagoda e coinvolgendo nella cospirazione tutti i vecchi capi della OGPU. Secondo il suo racconto, Iagoda aveva protetto Uglanov e Smirnov quando erano stati arrestati; aveva ordinato che non fossero eseguite perquisizioni al momento dell'arresto di Zinoviev e Karnenev; aveva ordinato a Zaporodze di "facilitare" l’assassinio di Kirov, poi aveva rilasciato Niholaev dopo il suo primo tentativo, quindi aveva ucciso Borisov. Bulanov confessa poi che egli stesso, assieme a un altro ufficiale, Savolainen, il cui caso è rinviato ad un processo separato, aveva spruzzato sei o sette volte una soluzione di mercurio ed altre soluzioni velenose sui tappeti e sulle tende di Iezov, che era succeduto a Iagoda nella direzione della OGPU, per avvelenarlo. Bulanov continua descrivendo lo speciale laboratorio di veleni che Iagoda aveva fatto creare sotto la sua supervisione personale. Iagoda, secondo Bulanov, era “eccezionalmente" interessato ai veleni, che avrebbero dovuto avere ”una parte decisiva” nel previsto colpo di Stato.Sempre secondo Bulanov, Iagoda si servì di Levin come esecutore dei suoi delitti, approfittando di qualche materiale compromettente di cui era in possesso contro di lui. Bulanov accusa Pagoda, anche dell’assassinio di Menzinskij e Peskov; e Iagoda, che in precedenza aveva negato la sua partecipazione a tali delitti, ora la conferma, chiedendo però che la questione relativa a Peskov sia esaminata a porte chiuse.
Vyshinskij richiama alla sbarra Rikov, cercando di coinvolgerlo nell’assassinio di Gorkij, per il fatto che ]enukidze gli aveva detto una volta che bisognava mettere fine all’attività politica di Gorkij. Rikov risponde che senza dubbio con questo Jenukidze voleva parlare di assassinio; ma che lui a quell'epoca non l’aveva capito. Dopo una breve sospensione, si procede all’interrogatorio di Iagoda.)



Presidente.: Imputato Iagoda, confermate le deposizioni rese nell’istruttoria preliminare?
Iagoda: Le confermo.
P.: Che cosa volete dire alla Corte a proposito dei vostri crimini?
I.: L’inizio della mia attività antisovietica risale al 1928, quando aderii all’organizzazione antisovietica di destra. Questo atto era stato preceduto da colloqui con Rikov, al quale ero legato da amichevoli relazioni personali.
La particolarità della mia situazione nell’organizzazione di destra era data dal fatto che io, in qualità di vicepresidente della Direzione politica unificata di Stato (OGPU), non potevo, a quell'epoca, partecipare apertamente alla lotta controrivoluzionaria; ero un partecipante clandestino. La parte che avevo nell’organizzazione di destra era conosciuta da molta gente: Rikov, Bukarin, Uglanov, Tomskij, Smirnov A.P. (Foma). Durante la prima fase della lotta dell’organizzazione di destra contro il potere sovietico, la mia parte consisteva in questo: fornivo all’organizzazione di destra, a Rikov e a Bukarin, materiale confidenziale della OGPU, che sceglievo a questo fine, e che Bukarin e Rikov utilizzavano nella lotta contro il partito.
In seguito, quando l’organizzazione di destra passò all’azione clandestina nella lotta contro il partito e il potere dei soviet, il centro dell’organizzazione di destra mi incarico di proteggerla da una eventuale individuazione. A seguito di questi accordi, io ho preso per molti anni ogni misura utile per proteggere l’organizzazione, specialmente il suo centro, dal pericolo di essere scoperta. Cosciente di tutta la mia responsabilità, debbo dichiarare che se il potere sovietico e gli organismi del Commissariato del popolo agli Affari Interni non hanno potuto smascherare e liquidare l'attività controrivoluzionaria dell’organizzazione di destra e del “bloçco della destra e dei trotzkisti" fino al 1937-'38, questo si deve alla mia attività di traditore nell’ambito del Commissariato del popolo agli Affari Interni. Se il servizio di informazioni sovietico non fosse stato contaminato dal gruppo controrivoluzionario di destra e dalle spie che, grazie a me, erano installate nell’apparato del Commissariato del popolo agli Affari Interni, il complotto contro il potere sovietico sarebbe stato incontestabilmente scoperto sul nascere.
Riconosco interamente questo reato che mi incombe davanti alla Corte sovietica. Coloro che sono seduti accanto a me sul banco degli accusati, e, prima di tutti, Rikov e Bukarin, devono dividere con me questa responsabilità.
Nel 1931, durante il periodo d’animazione dell’attività clandestina di destra, quando il compito più urgente fu quello di proteggere l’organizzazione dal pericolo di essere scoperta, i dirigenti del centro di destra vollero che facessi penetrare nella OGPU, affidando loro un lavoro direttivo, alcuni attivisti dell’organizzazione. Per non fare affermazioni gratuite, citerò il fatto concreto della nomina di Molcianov, attivista dell’organizzazione di destra, alla carica di capo del servizio politico confidenziale, che doveva condurre la lotta contro le organizzazioni di destra e dei trotzkisti.
Nel 1931, Tomskij mi aveva invitato a casa sua, in campagna, dove si trovava ancora Foma (Smirnov), e mi ingiunse nella forma più categorica di fare questa nomina. Obbedii. Molcianov fu nominato capo del servizio politico confidenziale della OGPU. Nella stessa occasione Tomskij mi aveva informato del piano dell’organizzazione di destra per la presa del potere e del blocco che si preparava fra la destra, i trotzkisti e gli zinovievisti. In relazione a questo proposito e soprattutto, lo ripeto, per proteggere direttamente l’organizzazione dall’essere individuata, essi insistevano sulla necessità di nominare Molcianov membro della suddetta organizzazione.
Nella stessa epoca (1931-1932) formai nell’apparato della OGPU un gruppo di destra, fra i collaboratori della OGPU. Ne facevano parte Prokofiev, Molcianov, Mironov, Bulanov, Scianin e altri collaboratori. Nel 1932, secondo le linee del piano generale dell’organizzazione di destra, mirante al rovesciamento del potere sovietico e all’assunzione del potere, mi misi, su invito di Tomskij, in contatto con Jenukidze. Questa proposta non era dovuta al caso.
A quell’epoca, l'idea base della destra e il punto di partenza dell’attività dell’organizzazione era il colpo di Stato controrivoluzionario, da attuarsi con la presa del Cremlino. Penso sia inutile spiegare qui alla Corte che il solo fatto di avanzare questa proposta era dovuto al fallimento del precedente orientamento verso una sollevazione di massa, e anzitutto verso le sollevazioni dei kulaki, che, in una certa misura, erano state prese in considerazione durante il periodo difficile del 1930-’31. Alla line del 1932, quando la vittoria del regime kolkhoziano ci ebbe tolto ogni possibilità di puntare sulle sollevazioni dei kulaki, prevalse l’orientamento verso quella che veniva chiamata “ la rivoluzione di palazzo ”.
Per questo, evidentemente, il mio ruolo nell’organizzazione — il ruolo di un uomo che occupava la carica di vicepresidente della OGPU, nelle cui mani si trovavano i mezzi tecnici del colpo di Stato, cioè la guardia del Cremlino, le unità militari, eccetera — si trovò al centro dell’attenzione; ed è appunto per questa ragione che, su proposta del centro di destra, mi misi in Contatto con Jenukidze, che occupava allora la carica di segretario del Comitato esecutivo centrale dell’URSS e che era uno dei dirigenti della cospirazione di destra.
Una circostanza precedente aveva apportato sostanziali modifiche al nostro piano agli inizi del 1933. Mi riferisco alla presa del potere da parte dei fascisti in Germania. Se fino allora l’orientamento essenziale dell’organizzazione di destra si era basato sull’idea di una “rivoluzione di palazzo" da realizzare con le proprie forze, a partire dal 1933 prevalse l’orientamento verso l’organizzazione fascista.
Prima di rispondere a domande tendenti a sapere in che cosa consistesse concretamente questo orientamento verso la Germania fascista, tengo a dichiarare quanto segue: con quella che veniva chiamata " rivoluzione di palazzo” si intendeva arrestare, rovesciare la direzione del potere sovietico, del partito, e dopo aver rovesciato il potere sovietico, ristabilire i rapporti capitalistici nel Paese. Tutto questo Bukarin non ha avuto il coraggio di dichiararlo con chiarezza e precisione durante il suo interrogatorio.
Ci proponevamo lo scopo di rovesciare il potere dei soviet? A questa domanda debbo rispondere affermativamente. Quale regime politico e sociale avremmo ristabilito nel Paese dopo il rovesciamento del potere dei soviet? Anche a questa domanda rispondo esplicitamente: il regime capitalistico.
Passo ora all’esposizione concreta dei miei crimini. Mi ero rimesso in contatto con Jenukidze alla fine del 1931 o al principio del 1932. Verso la fine del 1932 lo incontravo sistematicamente. Avevo discusso con lui a più riprese le questioni relative alla “rivoluzione di palazzo”; Jenukidze mi disse che al Cremlino era stata creata una organizzazione militare di cospiratori, pronta in ogni momento a operare il colpo di Stato. Fu ancora lui ad informarmi sull’orientamento verso il fascismo tedesco, giunto al potere nel 1933.
Nel 1933 fu organizzato e definito il centro, il “blocco di destra, dei trotzkisti e degli zinovievisti”. 
Seppi anche che, tramite Rikov, il “blocco” era in contatto coi menscevichi e, tramite Bukarin, coi socialisti rivoluzionari. Ero informato delle decisioni di questo centro da Jenukidze. E da lui seppi che nel gennaio del 1934 si preparava un colpo di Stato con l’arresto dei delegati al XVII Congresso del partito, che si riuniva allora.
Passo ora a parlare del tradimento del blocco di destra e dei trotzkisti e dei suoi legami con gli Stati esteri. 
Prima di tutto devo dichiarare alla Corte che, nell’apparato stesso della OGPU e più tardi del Commissariato del popolo agli Affari Interni esisteva, con la mia protezione, un gruppo di miei seguaci, un gruppo di spie di vari servizi segreti stranieri. Conoscevo l’attività spionistica di Zaporodze, Gai, Volovich, Pauker, Vinetskij e altri; ma, nell’interesse del complotto, favorivo la loro attività, perché li consideravo una forza preziosa per la realizzazione dei nostri piani, soprattutto per i collegamenti con i servizi segreti stranieri. Sicuramente, tramite queste spie, i servizi segreti stranieri erano informati della mia appartenenza all’organizzazione di destra e del mio ruolo. Erano anche molto bene informati sull’esistenza e su tutta l’attività del “ blocco della destra e dei trotzkisti”. Posso esporre davanti alla Corte, a porte chiuse, le circostanze che confermano questa tesi.
Proprio tramite una di queste spie, precisamente Vinetskij, che ricopriva la carica di ispettore, sotto Rikov, al Commissariato del popolo alle PTT, furono organizzati i collegamenti del “blocco”, e personalmente di Rikov, con il centro dei menscevichi all’estero, con Nikolaevskij. 
Oltre che di questo gruppo di spie al Commissariato del popolo agli Affari Interni, ero informato anche di altri collegamenti del “blocco della destra e dei trotzkisti” con Paesi stranieri. Karakan — un membro del complotto con il quale avevo stabilito un contatto nel 1935 — mi mise a parte dell’orientamento del “blocco” in materia di politica estera. 
Per ordine del “blocco”, Karakan aveva intavolato trattative con gli ambienti fascisti tedeschi. <<I tedeschi>>, mi disse Karakan, <<aiuteranno il “blocco” a rovesciare il potere sovietico>>. Karakan mi informò che Trotzkij era da molto tempo in trattative con i tedeschi e che si era troppo “impegnato" (metto questa parola tra virgolette), avendo promesso loro troppo per l’aiuto nella lotta contro i bolscevichi. Trotzkij aveva promesso di regalare ai tedeschi l’Ucraina, al Giappone la Provincia Marittima. 
Il “blocco”, a detta di Karakan, l’aveva incaricato di mercanteggiare con i tedeschi. <<È evidente che bisognerà cedere qualche cosa>>, diceva Karakan. E voleva che gli dessi informazioni sull’organizzazione del “blocco della destra e dei trotzkisti" nell’URSS, in vista di un abboccamento che doveva avere con i fascisti tedeschi. Gli detti queste informazioni sull’organizzazione. So che ebbe un abboccamento con i dirigenti fascisti, che un accordo fu concluso relativamente all’aiuto che i tedeschi avrebbero prestato al “blocco” antisovietico; ma i dettagli di queste trattative, cioè il prezzo di questo accordo, io non li conosco. Nell’udienza a porte chiuse farò i nomi delle persone con le quali Karakan aveva avuto questo incontro.
Passo ora a parlare dell’attività terroristica del "blocco della destra e dei trotzkisti", e in particolar modo della mia. Non certo per attenuare in qualche modo la mia colpa, ma semplicemente per stabilire la verità delle cose, devo dichiarare alla Corte che i tentativi fatti da alcuni imputati di questo processo per rappresentarmi come un terrorista di professione sono fondamentalmente falsi. Non voglio e non posso infirmare alcuna delle accuse che state formulate contro di me per quel che riguarda gli atti terrorismo compiuti. Ma voglio semplicemente sottolineare che nessuno di questi atti è stato compiuto da me senza una direttiva del blocco della destra e dei trotzkisti”. Come spiegare allora che il mio nome è messo prima di tutto in rapporto con questi atti terroristici? Ciò si spiega, molto semplicemente, con il carattere della mia posizione nell’organizzazione di destra; e si spiega anche col fatto che nella mia qualità di ex Commissario del popolo agli Affari Interni avevo in mano più possibilità tecniche degli altri membri del "blocco” per eseguire le decisioni del centro. La parte concreta degli atti terroristici compiuti risulta chiaramente, del resto, dagli interrogatori che si sono svolti al processo.
Voglio soffermarmi invece sul lato politico della questione. Prima di tutto, l’assassinio di Kirov. Come sono andate le cose? Nell’estate del 1934, Jenukidze mi informò della decisione presa dal centro del “blocco di destra e dei trotzkisti” di organizzare l’assassinio di Kirov. Rikov aveva preso parte diretta a questa decisione. Fui così messo al corrente, molto chiaramente, che gruppi di terroristi trotzkisti-zinovievisti preparavano concretamente questo assassinio. Inutile dire che cercai dì fare alcune obiezioni: formulai tutta una serie di considerazioni sulla inutilità di questo atto terroristico. Dissi anche che io sarei stato il primo a portare la responsabilità dì questo atto terroristico compiuto sulla persona di un membro del governo, poiché ero responsabile proprio della sicurezza dei membri del governo. Inutile dire che non fu tenuto conto delle mie obiezioni, che non ebbero alcun effetto. Jenukidze insisté perché non frapponessi ostacoli all’atto terroristico, che — diceva — sarebbe stato compiuto da un gruppo trokista-zinovievista. Di conseguenza fui obbligato a invitare Zaprodze, che ricopriva la carica di capo-aggiunto della sezione del Commissariato del popolo agli Affari Interni a Leningrado, a non ostacolare il compimento di un atto terroristico sulla persona di Kirov.
Dopo qualche tempo, Zaporodze mi informò che gli agenti del Commissariato del popolo agli Affari Interni avevano preso un certo Nikolaev, che era stato trovato in possesso di una rivoltella e dell’itinerario di Kirov. Nikolaev fu rimesso in libertà. Poco tempo dopo, Kirov fu assassinato da questo stesso Nikolaev.
Dunque, io dichiaro categoricamente che l’assassinio di Kirov fu compiuto su decisione del “blocco della destra e dei trotzkisti” e che per decisione dello stesso centro furono compiuti atti teroristici e furono assassinati Kujbishev, Menzinskij e Gorkij.
Come sono andate le cose? Prima de]l’assassinio di Kirov morì il figlio di Gorkij. Ho già dichiarato davanti alla Corte che riconosco di aver cooperato a far ammalare Max; e chiedo per la seconda volta alla Corte di rinviare le mie spiegazioni a questo proposito all’udienza della Corte a porte chiuse.
Vysbinskij: A questo proposito, ho solo una domanda da fare. Vi riconoscete colpevole, come dite, della malattia di Peskov?
Iagoda: Tutte le spiegazioni relative a questa domanda le fornirò alla Corte a porte chiuse.
V.: Bene. Ma vi riconoscete colpevole della morte di Peskov?
I.: Dico esplicitamente che fornirò per intero tutte le spiegazioni relative a questa domanda all’udienza della Corte a porte chiuse.
V.: Vi riconoscete colpevole, sì o no?
Presidente (al procuratore): Vi opponete a che la domanda relativa alla morte di Peskov sia rimandata all’udienza della Corte a porte chiuse?
Vyshinskij: Non mi oppongo, purché i risultati di queste chiarificazioni possano essere comunicati in udienza pubblica.
Presidente: La Corte ha deciso di accogliere la domanda dell’imputato Iagoda. La domanda relativa alla morte di Peskov è rimandata all’udienza a porte chiuse. Imputato Iagoda, continuate.
Iagoda: In quel periodo fu compiuto l’assassinio di Menzinskij. Nego di essere stato guidato da considerazioni di carattere personale nell’assassinio di Menzinskij. Aspiravo alla carica di capo dell’OGPU, non per considerazioni di carattere personale, non per considerazioni di carriera, ma nell’interesse della nostra organizzazione di cospiratori. La decisione del centro relativa a questa questione mi era stata comunicata personalmente da Jenukidze.
In questi due casi erano stati utilizzati dei medici, il che dava ogni garanzia contro la possibilità di essere scoperti.
Quando Jenukidze mi aveva comunicato la decisione del “centro” a proposito dell’assassinio di Kirov, avevo espresso il timore che un atto di terrorismo diretto potesse non solo far scoprire me, ma anche tutta l’organizzazione. Consigliai a Jenukidze un procedimento meno pericoloso e gli ricordai che Menzinskij era stato ucciso con l’aiuto dei medici. Jenukidze rispose che l’assassinio di Kirov doveva esser fatto come era stato deciso; che i trotzkisti e gli zinovievisti si erano incaricati di questo assassinio e non era affar nostro disturbarli.
Per quel che riguarda la tecnica di assassinio senza rischi con l'aiuto dei medici, Jenukidze mi dichiarò che il centro avrebbe deciso fra breve quali fossero i dirigenti del partito e del governo che si sarebbero dovuti assassinare per primi con questo sistema. Infatti qualche tempo dopo, durante il mio colloquio successivo con Jenukidze, questi mi informò che il centro aveva deciso di intraprendere una serie di atti terroristici contro alcuni membri dell’Ufficio politico e contro Gorkij. Ero d’accordo sulla decisione relativa a Kujbishev, ma non capivo proprio la necessità di un atto terroristico contro la persona di Gorkij. Jenukidze mi spiegò che, proponendosi il "blocco di destra e dei trotzkisti" come prospettiva immediata il rovesciamento del potere dei soviet, vedeva in Gorkij una persona pericolosa. Gorkij è un partigiano convinto della direzione staliniana; ed è certo che leverebbe la sua voce contro noi cospiratori nel caso che il complotto si realizzasse. Tenendo conto dell’immensa autorità di Gorkij all’interno e all’estero, il centro — sempre a detta di Jenukidze — aveva preso la decisione categorica di sopprimere fisicamente Gorkij. Davanti al mio deciso rifiuto, Jenukidze mi ingiunse di mandargli Levin. Io ubbidii; e quando Levin ritornò dall'aver visto Jenukidze, gli confermai l’ordine ricevuto. In seguito ebbi anch’io diversi colloqui con Levin e, su sua proposta, convocai Pletnev.
Dichiaro che Rikov, Bukarin e gli altri che siedono con me sul banco degli accusati hanno la piena responsabilità di questi atti terroristici. Dichiaro che questi atti sono stati realizzati dietro loro decisione. I medici diranno meglio di me come la cosa è stata eseguita.
C’è ancora una cosa sulla quale voglio attirare l’attenzione della Corte. Si tratta del tentativo del gruppo di cospiratori per avvelenare Iezov.
Dopo la nomina di Iezov alla carica di Commissario del popolo agli Affari Interni, apparve subito chiaro che tutta l’attività del nostro gruppo, del “blocco di destra e dei trotzkisti", sarebbe stata scoperta. Iezov aveva già cominciato a smantellare i quadri dei cospiratori; e naturalmente avrebbe potuto arrivare fino al centro del “blocco”, e, in particolare, fino a me.
Allora, per salvare la nostra organizzazione, per salvare Rikov, Bukarin e gli altri, noi abbiamo deciso di uccidere Iezov. E’ Bulanov che ha eseguito l’avvelenamento: l’ha raccontato qui. Nego alcuni dettagli delle sue dichiarazioni, ma non cambiano niente ai fattie non modificano gli aspetti fondamentali della vicenda.
Io non nego nemmeno di aver mandato del denaro a Trotzkij, su ordine di Jenukidze per mezzo di Mirov e Abramov.
Ecco le informazioni che giudicavo utili portare a conoscenza della Corte.
Presidente: Avete domande da fare, Compagno Procuratore?
Vyshinskij: Certo. Dunque, facendo un bilancio delle vostre dichiarazioni, si può dire, prima di tutto, che vi riconoscete colpevole di aver partecipato per lungo tempo all’azione clandestina di destra.
Iagoda: Sì.
V.: In secondo luogo, voi vi riconoscete colpevole di essere stato uno dei dirigenti del “blocco clandestino degli uomini di destra e dei trotzkisti”?
I.: Sì, lo riconosco.
V.: In terzo luogo, forse voi vi proponevate con questo blocco lo scopo di rovesciare il potere sovietico e di ristabilire il capitalismo nell'URSS.
I.: Si, lo riconosco. Volevamo impadronirci del Cremlino.
V.: Avevate scelto come strumento l’insurrezione, specie nel momento della guerra? Non è cosi?
I.:No. L’insurrezione armata è una cosa assurda, un’idea da chiacchieroni. 
V.: E voi allora a che cosa pensavate?
I.: A una “rivoluzione di palazzo”.
V.: Cioè a un colpo di Stato violento compiuto da un gruppo ristretto di cospiratori?
I.: Sì.
V.: Pensavate di farlo coincidere con una aggressione militare di Stati stranieri contro l’URSS, o avevate diverse ipotesi?
I.: C’era una sola ipotesi: impadronirsi del Cremlino. Il momento non aveva importanza.
V.: Eravate dell’opinione che sarebbe stato utile, in caso di guerra, preparare e determinare la disfatta dell’URSS?
I.: Il “blocco” era di questa opinione; dunque anch’io lo ero.
V.: Vi riconoscete anche colpevole di attività di spionaggio?
I.: No, non mi riconosco colpevole di questa attività.
V.: Ma voi stesso avete detto che molte spie operavano sotto la vostra protezione.
I.: Questo lo riconosco.
V.: Sapevate che erano spie?
I.: Sì, lo sapevo.
V.: Sapevate che avevano la funzione di spie?
I.: Sì, lo sapevo.
V.: Dunque, li aiutavate?
I.: Io rispondo per queste spie esattamente nella stessa misura che...
V.: Volovich era una spia?
I.: Sì.
V.: Rispondete per Volovich?
I.: Come Rikov risponde per Charangovich.
V.: Parleremo in seguito di loro. Adesso parlo di voi. Riconoscete che tutto un gruppo di spie tedesche e polacche si trovava sotto le vostre ali? È esatto, sì o no?
I.: Sì.
V.: Conoscevate la loro attività spionistica e la proteggevate?
I.: Sì.
V.: Dal momento che proteggevate la loro attività spionistica, dunque li aiutavate, collaboravate con loro.
I.: No, non mi riconosco colpevole. Se fossi una spia vi assicuro che decine di Stati sarebbero stati costretti a sciogliere i loro servizi segreti.
V.: Questo riguarderebbe quegli Stati. Volovich era una spia?
I.: L’ho detto.
V.: Lo sapevate?
I.: Lo sapevo.
V.: E non lo avete fatto arrestare e fucilare?
I.: No.
V.: Era vostro dovere far arrestare e fucilare le spie che avevate scoperto?
I.: È ovvio.
V.: Ma non l'avete fatto. In altri termini aiutavate le spie ad operare come tali.
I.: Li proteggevo.
V.: Li aiutavate?
I.: Li avrei aiutati se avessi raccolto del materiale e lo avessi trasmesso loro.
V.: Ma sapevate che trasmettevano del materiale?
I.: Non sempre.
V.: Ma qualche volta lo sapevate? 
I.: Lo sapevo.
V.: Dunque eravate a conoscenza del materiale che trasmettevano ai servizi segreti stranieri?
I.: No.
V.: Eravate informato che trasmettevano del materiale ai servizi segreti stranieri?
I.: Esattamente.
V.: Ne eravate informato, dunque ne eravate a conoscenza.
I.: Sotto la mia protezione.
V.: Bene, sotto la vostra protezione a proposito di quel che facevano e di cui eravate informato. Giusto?
I.: Sì.
V.: Vi riconoscete ugualmente colpevole di aver messo a disposizione di Trotzkij fondi dello Stato per ordine del "blocco"?
I.: Mi riconosco colpevole.
V.: E vi riconoscete colpevole di aver organizzato e realizzato atti terroristici; primo fra tutti l’assassinio del compagno Kirov, sotto la direzione e su proposta del “blocco”?
I.: Mi riconosco colpevole di complicità in questo assassinio.
V.: E vi riconoscete colpevole di complicità nell’assassinio o nell’aver favorito la morte di Menzinskij?
I.: Sì, mi riconosco colpevole.
V.: Vi riconoscete colpevole di aver organizzato l’assassinio di Kujbishev?
I.: Sì, mi riconosco colpevole.
V.: Vi riconoscete colpevole di aver organizzato l’assassinio di A.M. Gorkij?
I.: Sì, mi riconosco colpevole.
V.: Non ho altre domande da fare.
Presidente: La difesa ha domande da fare?
Difensore Konirnodov: Imputato Iagoda, confermate le deposizioni fatte nel corso dell’istruttoria preliminare, per la parte che concerne i suoi colloqui con Pletnev? 
Iagoda: L’ho detto.
K.: Lo stesso per quanto concerne i colloqui con Kazakov?
I.: L’ho confermato.
K.:Non ho altre domande.
Difensore Braudé: A chi è venuta l’idea della morte per malattia?
Iagoda: L’ho detto: a Jenukidze.
B.: Permettetemi di chiedervi: con quali metodi ottenevate il consenso di Levin per il compimento di questi atti di terrorismo?
I.: In ogni caso, con i metodi di cui egli ha parlato qui.
B.: Ne avete parlato voi stesso, in dettaglio, nel corso dell’istruttoria preliminare. Confermate le vostre dichiarazioni, per questa parte?
I.: Sono esagerate, ma non ha importanza.
B.: Non ho altre domande.
Presidente: Gli imputati hanno domande da fare a Iagoda?
Rikov: Voglio fare la stessa domanda a proposito degli archivi di cui ha parlato Bulanov.
Iagoda: Non avevo nessun archivio di Rikov.
Vyshinskij: Ho una domanda da fare a Bulanov. Di quali archivi di Rikov in possesso di Iagoda avete parlato?
Bulanov: L’ho detto nelle mie deposizioni davanti alla Corte. Lo ripeto. In un trasloco di carte da un locale a un altro, al quale avuto occasione di partecipare, ho scoperto parecchi documenti di carattere personale, non mi ricordo quali, che erano certamente incartamenti personali di A.I. Rikov, Interrogai Iagoda, che me lo confermò. Di che carte si trattava, quante erano? L’ho già detto e lo ripeto: non lo so.
Iagoda: Permettetemi una domanda: forse ricordate almeno un documento? Diteci quale.
Bulanov: Se me ne ricordassi, l’avrei già detto.
I.: È abbastanza strano. Una persona stabilisce che si tratta degli archivi di Rikov, ma sulla base di quali documenti? Sulla base del solo cognome, forse?
B.: A questo posso rispondere una cosa soltanto: a suo tempo Iagoda non aveva alcun dubbio sulla mia capacità di orientarmi e di afferrare le cose molto rapidamente e in tutte le circostanze. Ignoro perché adesso egli neghi una cosa che mi sembrava evidente. Ho detto quello che sapevo e quello che giudicavo necessario dire.
I.: In ogni caso, anche se questi archivi esistevano, si tratta di una piccolezza, a paragone degli altri crimini.
Vyshinskij: Dite, imputato Iagoda: avete protetto i menscevichi nel corso della vostra attività criminale?
Iagoda: I menscevichi? In quale periodo?
V.: Nel 1935, l’attività clandestina criminale dei menscevichi?
I.: Per quanto ne so, i menscevichi non svolgevano un ruolo particolarmente attivo.
V.: Svolgevano un qualche ruolo? 
I.: Quasi nessun ruolo.
V.: Dunque, svolgevano nonostante tutto un certo ruolo?
I.: Il più insignificante.
V.: Ma voi tuttavia lo proteggevate, questo ruolo dei menscevichi, anche se insignificante?
I.: Non potrei rispondere a questa domanda.
V.: Permettetemi di ricordare a Iagoda le sue deposizioni in istruttoria (T. 2, f. 135): <<Domanda: Vi è stato presentato un documento del Commissariato del popolo agli Affari Interni, in cui si parla del centro menscevico all’estero e del suo lavoro attivo nell’URSS>>. Vi ricordate di questo fatto?
I.: Sì, lo so, ma non potrei rispondere qui.
V.: Ma non voglio che voi mi rispondiate. Su questo documento è stata apposta nel novembre 1935 la seguente nota: <<Da molto tempo non è più un partito: non vale la pena di occuparsene>>. <<Risposta: Sì, sono io che ho scritto questa nota >>. Poi vengono le vostre spiegazioni: <<È questa una delle prove del modo in cui proteggevo i menscevichi dall’essere scoperti, del modo in cui allontanavo da loro i colpi loro destinati, perché si trovavano in contatto con l’organizzazione di destra ». Lo confermate?
I.: Sì.
V.: Dunque, possiamo concludere che l’organizzazione di destra era in contatto con i menscevichi sul terreno dell’azione clandestina e che voi proteggevate il loro lavoro clandestino di cospiratori allontanando da loro i colpi, l’uno dopo l’altro? È cosi?
I.: Non esattamente.
V.: E come? Confermate queste dichiarazioni?
I.: Confermo le mie dichiarazioni, ma per chiarire le cose devo parlare di questo documento.
V.: Lo conosco. Le vostre dichiarazioni sono esatte? ·
I.: Le mie dichiarazioni sono esatte.
V.: Di conseguenza, le cose andavano, in pratica, così come avete dichiarato?
I.: Andavano così.
V.: Di conseguenza, in pratica proteggevate i menscevichi dall’essere scoperti? È esatto?
I.: È esatto.
V.: È quello che vi chiedo. Adesso diteci, prego, quale è stato, secondo gli elementi a vostra disposizione, il ruolo degli imputati Rikov e Bukarin nella condanna a morte di A.M. Gorkij?
I.: Da quel che me ne aveva detto Jenukidze, sapevo che avevano partecipato all’esame di questo problema.
Vyshinskij: Per quel che riguarda Rikov, avevamo chiarito la questione. Rikov ha dichiarato che nel corso di un colloquio con Jenukidze si era prospettata la possibilità di un atto terroristico.
In proposito desidererei interrogare Bukarin.
Bukarin: Non vi ho preso alcuna parte.
V.: Non vi ho ancora fatto la domanda e voi vi affrettate a rispondere.
B.: Avete detto di volermi interrogare a questo proposito.
V.: Ho detto che vi volevo interrogare a questo proposito, ma non vi ho ancora posto la domanda e ho quasi ricevuto la risposta. Io vi voglio domandare questo: qual era l’atteggiamento di Gorkij nei riguardi di Trotzkij?
B.: Nettamente negativo.
V.: E sapete qual era l’atteggiamento di Trotzkij nei riguardi di A.M. Gorkij?
B.: Lo stesso, il più nettamente negativo. Volete che esponga maggiori dettagli?
Vyshinsij: No, per il momento non è necessario. Vorrei interrogare Bessonov. Imputato Bessonov, confermate che l’atteggiamento di Trotzkij nei riguardi di A.M. Gorkij era decisamente negativo?
Bessonov: Sì, lo confermo.
V.: In base a che cosa?
Be.: In base a ciò che ha detto Trotzkij in un colloquio personale con me.
V.: Confermate ciò che avete dichiarato alla Corte, che Trotzkij aveva trasmesso vostro tramite la direttiva di sopprimere fisicamente Gorkij?
Be.: Sì, ho trasmesso questo ordine di Trotzkij a Pyatakov.
V.: Trotzkij aveva scelto Pyatakov come uno dei capi del “blocco”: è così?
Be.: Sì.
V..· Eravate affiatato con Pyatakov nel vostro lavoro clandestino di cospiratore?
Be.: Perfettamente.
Vyshinskìj: Imputato Bukarin, sapevate che questo atteggiamento ostile verso Gorkij era non solo di Trotzkij ma anche dei trotzkisti?
Bukarin: Sì, certamente, perché Trotzkij e i trotzkisti fanno una sola unità. I cospiratori obbedivano militarmente.
V.: Sapevate che questo atteggiamento negativo da parte dei trotzkisti nei riguardi di Gorkij aveva un indirizzo preciso?
B.: Volete parlare del colloquio che avevo avuto con Tomskij?
V.: Se è una prova di ciò di cui parliamo.
B.: Ebbi un colloquio con Tomskij.
V.: Dove e quando ebbe luogo questo colloquio?
B.: Nel 1935 Tomskij mi aveva detto che Trotzkij preparava una azione ostile o un atto ostile contro Gorkij.
V.: Voi avete saputo da Tomskij che Trotzkij preparava un atto ostile contro Gorkij; e non avete domandato a Tomskij da chi lo aveva saputo?
B.: No. Suppongo che ne fosse stato informato dai membri trotzkisti del “blocco”.
V.: E non vi ha detto perché i trotzkisti preparavano questa azione o questo atto ostile contro Gorkij?
B.: Non me lo ha detto. Mi ha detto che c’era una azione contro lo “stalinista Gorkij”, come difensore dell’edificazione socialista in generale e della politica di partito staliniano in particolare. Io penso che la ragione fosse la grande risonanza che ogni parola di A.M. Gorkij aveva nel campo internazionale in generale e presso gli intellettuali in particolare.
V.: Tomskij non ne ha parlato in riferimento al proposito di rovesciamento del potere dei soviet? 
B.: No, Cittadino Procuratore. 
V.: Ve ne ricordate bene?
B.: Me ne ricordo bene.
V.: Permettetemi di ricordare ciò che ha detto Bukarin durante l’istruttoria (T. 5, f. 117): <<I trotzkisti, mi disse Tomskij, giustificavano in questo modo la loro posizione: se si pone seriamente la questione del rovesciamento della direzione staliniana, non si può non tener conto del fatto che l’organizzazione della destra e dei trotzkisti si scontrerà con un avversario attivo e molto influente nella persona di A.M. Gorkij. Tomskij mi disse che i trotzkisti insistevano vivamente sulla loro proposta e sulla sua realizzazione>>.
B.: Vedete, Cittadino Procuratore, quando sono stato interrogato a proposito del mio colloquio con Tomskij, mi è stato domandato quale significato attribuissi a quelle brevi osservazioni di Tomskij e quale impressione mi fosse rimasta di quel colloquio: così io l’ho esposto in modo più dettagliato. Aggiungo che questa era l’impressione di cui mi ero ricordato quando sono stato interrogato sul colloquio con Tomskij.
V.: Dite, Tomskij collegava il compimento di un atto ostile contro Gorkij alla questione del rovesciamento del governo sovietico?
B.: Lo collegava come questione di fondo.
V.: Come questione di fondo?
B.: Ho già risposto: sì.
V.: È la questione di fondo che mi interessa.
B.: Ma voi interrogate in concreto...
V.: Il vostro colloquio con Tomskij vi ha fatto pensare che l’atto ostile contro Gorkij fosse concepito in rapporto con il rovesciamento della direzione staliniana?
B.: Sì, si può dire così, fondamentalmente.
V..· Di conseguenza, sapevate che si trattava di un atto ostile
contro Gorkij?
B.: Sì.
V.: Secondo voi, di quale atto ostile si trattava?
B.: In quel momento non ci pensavo affatto e l’idea non miera neanche venuta...
V.: A che cosa pensavate, ditemi?
B.: Quasi non pensavo a niente.
V.: Ma si trattava di cose serie? Di che cosa si trattava?
B.: Permettetemi di spiegarmi in due parole. Adesso, a fatto concluso, in questo processo, posso dire...
V.: Non in questo processo, ma nel corso del colloquio che avete avuto con Tomskij.
B.: È stata una breve conversazione, una conversazione durante una seduta dell’Ufficio politico, che durò solo pochi secondi.
V.: Non mi interessa sapere quanto è durato il colloquio: avreste potuto chiacchierare con Tomskij un’ora intera, da qualche parte, in un angolo; la vostra argomentazione non ha importanza. Ciò che importa sono i fatti che voglio accertare. E i fatti sono i seguenti: nel 1935, al principio del 1935 (se avete detto la verità durante l’istruttoria preliminare) avete avuto un colloquio con Tomskij, il quale vi ha fatto sapere che il gruppo trotzkista-zinovievista del “ blocco della destra e dei trotzkisti” intraprendeva un atto ostile contro Gorkij, in quanto partigiano della direzione staliniana. È esatto?
B.: Si può dire in questo modo.
V.: È un fatto?
B.: È un fatto.
V.: Come avete giudicato questa comunicazione?
B.: Non vi ho fatto attenzione.
V.: Non vi avete fatto attenzione?
B.: No.
V.: Quando si parla di atti ostili si può intendere anche atti seri, anche atti terroristici.
B.: Sì; ma fra una dichiarazione sulla stampa, una conversazione spiacevole e un atto terroristico, la differenza è grande.
V.: E in quel momento qual era il vostro atteggiamento al riguardo?
B.: Non mi sono intrattenuto su questo. In quel momento non c’era niente nel mio spirito.
V.: Era dunque una dichiarazione così insignificante che non valeva la pena di soffermarvisi?
B.: Era una osservazione di sfuggita.
V.: Ammettiamolo. Vi si dice che si prepara un atto ostile contro A.M. Gorkij...
B.: Ecco all’incirca come è avvenuto. Ho già descritto seriamente la cosa in istruttoria, perché volevo ricordare se questo momento del nostro colloquio potesse far luce sui documenti di cui disponeva l’istruttoria; ed è alla luce di questi documenti che tutto ha preso contorni precisi. Ma in quel momento non ci pensavo; non avevo fatto caso al senso che si poteva attribuire a
questa cosa.
V.: Non è escluso che in quel momento preciso si trattasse di soppressione fisica, dell’assassinio di Gorkij?
B.: Ora penso che non fosse escluso.
V.: Cioè: ciò che Tomskij diceva faceva capire che si trattava di un atto terroristico contro Gorkij?
B.: Adesso penso di sì.
V.: Ma allora non l’avevate capito?
B.: Allora non avevo capito assolutamente nulla.
Vyshinskij (rivolgendosi alla Corte). Non ho altre domande da fare.
Presidente (rivolgendosi agli imputati): Qualcuno ha domande da fare a Iagoda?
Rikov: Iagoda ha nominato Vinetskij come qualcuno che sarebbe stato mio complice e sarebbe servito da tramite fra me e non so chi. Io chiedo che mi si dica come lo si è saputo e chi fosse questo Vinetskij; se Iagoda ha saputo questo da Vinetskij o da un’altra fonte. Personalmente non ho visto nessun ispettore.
Iagoda: Vinetskij è ispettore di collegamento del Commissariato del popolo alle PTT e, nello stesso tempo, ispettore di collegamento del Commissariato del popolo agli Affari Interni. Un giorno mi telefonò per dirmi che Rikov gli chiedeva di portare un plico a Nikolaevskij, all’estero, e se poteva prenderlo. Io dissi: <<Parlatene a Rikov e, se ve lo dà, prendetelo>>. Da ciò conclusi che Vinetskij era un agente di collegamento fra Nikolaevskij e Rikov.
Presidente: (a Vyshinskij): Avete altre domande da fare?
Vyshinskij: No.
Presidente: La Corte non ha altre domande da fare. Sedete, prego.

(Dopo Iagoda viene interrogato Kriuchkov, già segretario di Gorkij, che conferma la confessione resa in istruttoria sulla sua partecipazione all'uccisione dello scrittore e di suo figlio Max Peskov. Kriuchleov dichiara di avere lasciato Pesleov disteso nella neve in marzo o aprile senza risultato, e di essere poi riuscito a lasciarlo fuori a prendersi un malanno in maggio. Levin e Vinogradov erano poi riusciti a convincere altri medici e infermieri a dare al paziente un lassativo che gli era stato fatale. Quando Gorkij, a sua volta, aveva preso un raffreddore, Pletnev e Levin avevano insistito per dosi eccessive di digitale, che lo avevano stroncato.).

UDIENZA ANTIMERIDIANA DEL 9 MARZO 1938

(Si procede all’interrogatorio dell’imputato prof. Dmitri Pletnev, cardiologo, già gloria della scienza sovietica, che confessadi avere avuto parte negli assassinii di Kujhishev e di Gorleij, a ciò costretto da “violente minacce " di Iagoda contro di lui e contro la sua famiglia. A sua volta, l’imputato dott. I .N. Kazakov conferma la parte da lui avuta nell’assassinio di Menzinskij, pur difendendo i suoi metodi di cura e sostenendo che, dopo tutto, i suoi lisati potevano anche non aver fatto male all'illustre paziente. Ma la Commissione di "esperti", interrogata da Vyshinskij, dopo una breve sospensione, conferma che i medicinali somministrati da Kazakov a Menzinskiji ne avevano certamente affrettato la morte. Vyshinskij rilegge a questo proposito le deposizioni rese da Kazakov in istruttoria,· e l'imputato finisce per ammettere la sua completa colpevolezza.
Viene quindi interrogato l’ultimo imputato, V.A. Maksimov - Dikovskij, che ammette di essere stato inserito da Jenukidze nella segreteria di Kujbishev e confessa di avere collaborato con i medici assassini per provocarne la morte.
Vyshinskij introduce poi un testimone, il dottor M.I. Bielostotskij, che aveva assistito all’ultima malattia di Gorkij, e che conferma le accuse contro Levin e Pletnev.

Viene infine letta la relazione definitiva degli "esperti”, che confermano all’unanimità, dal punto di vista medico, le accuse a proposito della morte di Gorkij, di Kujhishev, di Menzinsleij, di Peskov, e del tentato avvelenamento di Iezov.)