sabato 22 ottobre 2016

Solzhenitsyn: agente dell’imperialismo, anticomunista convinto, desideroso di riportare indietro le lancette della storia.

REDAZIONE NOICOMUNISTI

DI LUCA BALDELLI

 

Sulle menzogne che hanno costellato il cammino di agit – prop anticomunista e antisovietico di Aleksandr Isaevich Solzhenitsyn, abbiamo ampiamente scritto e dibattuto: le mistificazioni indecenti sulla sua condanna alla detenzione, sul regime dei GULAG, sul numero di detenuti nelle strutture concentrazionarie sovietiche, sul suo ruolo di "dissidente", sono state dettagliatamente passate in rassegna in articoli e saggi qui pubblicati. Vale la pena soffermarsi, ora, su una serie di episodi ai quali precedentemente si è accennato, che dimostrano inequivocabilmente come lo scrittore "dissidente" russo abbia difeso il fascismo e l’imperialismo non in chiave letteraria, e non solo in Urss, ma apertamente e deliberatamente nel corso di incontri, viaggi e da tribune tutt'altro che neutre o poco influenti. Si è sempre cercato di nascondere, ad esempio, quando non lo si è negato, che Solzhenitsyn sia stato un sostenitore del regime autoritario e genocida di Pinochet in Cile. Le evidenze emerse negli anni '70 e dopo, rendono invece chiaro e certo che il "dissidente" tanto preoccupato dalla mancanza (secondo lui) di libertà nell’Urss, non era in eguali ambasce per la negazione sistematica dei diritti umani, le torture e i massacri attuati dalla giunta militare cilena. Solzhenitsyn lodò pubblicamente Pinochet e altri dittatori anticomunisti più volte, giustificando i golpe e le successive repressioni di comunisti, progressisti e democratici. Per Solzhenitsyn, la libertà era ad ovest, nel mondo capitalista, un paravento degli odiati comunisti per raggiungere il potere, paravento da distruggere ed annientare, puntellando le peggiori dittature, mentre ad est diventava, come per magia, istanza indiscutibile da sostenere in ogni modo contro i comunisti stessi. Una malafede assoluta, da parte di un uomo accecato dall'odio contro ogni fermento progressista, contro ogni rivendicazione di progresso, pace e vera democrazia. Alla televisione francese, il 9 marzo 1976, lo scrittore megafono dell'antisovietismo si produsse in una subdola e scandalosa difesa, questa volta indiretta del regime di Pinochet in Cile, sostenendo che egli non aveva alcuna intenzione di recarsi nel Paese sudamericano, ma anche che "se il Cile non ci fosse stato, lo si sarebbe dovuto inventare" (sic!) e che in Europa ci si preoccupava più di Pinochet che del Muro di Berlino, dell'occupazione dell'Ungheria e della Cecoslovacchia (1). Come dire, perché preoccuparsi per le decine di migliaia di morti provocati dalla giunta di Santiago del Cile, per gli arresti, le esecuzioni sommarie, le sparizioni, gli esuli, quando in Europa c’era il Muro di Berlino da bersagliare come unico e solo simbolo di ogni male (come se quel vallo non fosse stato originato dalla destabilizzazione imperialista), accanto all'esistenza del campo socialista? La stampa reazionaria e filo imperialista cilena ricambiò la stima e l'ammirazione dello scrittore per il regime, dedicando alcuni articoli alla sua figura, tra i quali "El grito de Solzhenitsyn", comparso su "El Mercurio" del 1° ottobre 1978 (2).
Nell’estate del 1975, però, i peana di Solzhenitsyn verso l’imperialismo statunitense avevano raggiunto il culmine: lo scrittore, in quel periodo, aveva intrapreso una sorta di "tournée", non solo protetto e acclamato dai circoli ultrareazionari di destra, ma anche ricevuto con tutti gli onori dal potere ufficiale. In un incontro patrocinato dall’AFL – CIO (American Federation of Labor and Congress of Industrial Organizations), il Sindacato statunitense noto per il suo anticomunismo e le sue compromissioni con la CIA e con il padronato, Solzhenitsyn aveva lanciato strali contro la distensione mondiale e aveva rivolto, alla presenza di alti funzionari governativi e influenti personaggi dell'establishment, un appello plateale all'intromissione imperialista negli affari interni dell'Urss e dei Paesi socialisti. Queste le sue testuali parole:
"I leaders comunisti dicono: 'non interferite nei nostri affari interni. Lasciateci soffocare i nostri cittadini in pace e in tranquillità'. Io invece dico a voi: "ingeritevi sempre di più. Interferite quanto più potete'"(3).
In quell’assise di neo – crociati, Solzhenitsyn era stato "tenuto a battesimo" nientemeno che da George Meany, Presidente storico del Sindacato yankee e acceso fautore della Guerra del Vietnam. Lo scrittore russo, non pago di appelli a riedizioni della guerra fredda, aveva poi ringraziato l’AFL – CIO per aver pubblicato, negli anni ’40, una mappa dei Gulag sovietici (una patacca volta ad accreditare la presenza di lavoro semi - schiavile in Urss, proprio mentre negli Usa questa pratica raggiungeva la massima estensione nel sistema penitenziario); inoltre, da quella tribuna menzognera e corrotta, la penna più prolifica dell'antisovietismo aveva profuso parole volte a rinfocolare odio per il suo Paese natale e per l’umanità progressista:
"con l’avvento della bomba atomica statunitense – aveva affermato- i comunisti hanno cambiato le loro tattiche. Essi sono diventati improvvisamente araldi della pace a tutti i costi. Hanno cominciato a convocare congressi per la pace, a far circolare petizioni per la pace, finché il mondo occidentale non è caduto in questo inganno. Gli obiettivi, però, l’ideologia, sono rimasti gli stessi. Essi sono incentrati sulla distruzione della vostra società, sulla distruzione del modo di vita occidentale "(4).
Nel 1976, il nostro Goffredo di Buglione cosacco, dopo aver incensato col fioretto Pinochet, rinnovò in Spagna i fasti del più truce anticomunismo, glorificando, questa volta in modo aperto, la tirannia di Francisco Franco, da poco defunto e mettendo in guardia il Re Juan Carlos ed il suo entourage dal mettere in atto (Dio non volesse!) moderate riforme in senso liberale. Ospite, sabato 20 marzo, del popolare programma televisivo "Directisimo", Solzhenitsyn vaneggiò, alla faccia di ogni senso del ridicolo, di 110 milioni di morti provocati dal socialismo sovietico dal 1917 al 1959 e paragonò, con faccia di bronzo impareggiabile, "la schiavitù a cui il popolo sovietico è stato sottoposto" alla "libertà di cui si gode in Spagna". Per Solzhenitsyn, nella Spagna franchista non vi erano stati 400.000 desaparecidos, 500.000/1.000.000 di esuli (2 – 4% della popolazione totale), centinaia di migliaia di prigionieri, centinaia di migliaia di fucilati prima e dopo la guerra civile. Niente di tutto questo! Con Franco e con i franchisti, per lo scrittore,
"aveva vinto il Cristianesimo" (5). Libertà soppresse? "Conosco un solo posto dove non c’è libertà, è la Russia".
L’opinione pubblica progressista, che si era mobilitata contro le condanne a morte di antifascisti spagnoli? Una manica di utopisti, fuori dalla realtà e anzi utili agenti dell'onnipresente comunismo prodighi nel difendere nient’altro che dei "terroristi" (6). Tutto un programma anche i "consigli" impartiti ai nuovi reggitori del potere iberico:
"Coloro che cercano rapide riforme democratiche, capiscono cosa potrà accadere domani o il giorno seguente? La Spagna può avere la democrazia domani, ma poi sarà in grado di evitare che la democrazia diventi totalitarismo ? " (7).
Già, totalitarismo, parola magica che la malafede della propaganda borghese e reazionaria usa ad ogni piè sospinto per celare la realtà tirannica, oppressiva, disumanizzante del sistema capitalista, imputando quegli aspetti al socialismo.
Non soddisfatto della sua predicazione di odio e mistificazione, Solzhenitsyn tornò negli Usa nel 1978: si era accorto di aver lasciato un po’ troppo sullo sfondo la guerra del Vietnam, vinta tre anni prima dalla lotta cosciente e determinata di tutto un popolo unito contro l’imperialismo, appoggiato dalla solidarietà internazionalista in ogni angolo del pianeta. Sì, nel suo viaggio americano del 1975 aveva preannunciato stermini e ogni sorta di sciagura in seguito alla recentissima vittoria dei Vietcong, ma la ruota della storia aveva girato in senso opposto e... bisognava pur raccontare qualche frottola sulla nuova realtà indocinese! Le anime dei corrotti oppressori sud - vietnamiti scalpitavano dall'oltretomba! Davanti alla platea scelta di Harvard, il barbuto enciclopedista dell'anticomunismo attaccò i pacifisti, colpevoli di essere strumenti in mano (guarda caso!) dei comunisti .
"Il più tremendo errore – tuonò Solzhenitsyn – si è verificato con l’incapacità di comprendere la guerra del Vietnam. Alcune persone desideravano sinceramente che il conflitto cessasse il prima possibile; altre persone pensavano vi sarebbe stato spazio per l’autodeterminazione nazionale o comunista, in Vietnam oppure in Cambogia (…). Gli attivisti statunitensi del movimento contro la guerra, però, hanno finito con il rendersi complici del tradimento verso le Nazioni dell'Estremo Oriente, del genocidio e della sofferenza imposti a 30 milioni di persone. Questi convinti pacifisti sentono i lamenti che provengono da laggiù? Capiscono, oggi, le loro responsabilità? Oppure preferiscono non sentire?" (8).
Domande indisponenti, ridicole, offensive dell'intelligenza e del buonsenso, provenienti da chi se ne era strafregato di 5 milioni di vietnamiti uccisi dagli yankee e dai loro fantocci e da chi fingeva di non rendersi conto che la lotta dei Vietcong era stata la lotta della quasi totalità del popolo vietnamita, mercenari e sfruttatori esclusi.
Anche questo, e soprattutto questo, è stato Solzhenitsyn: un agente dell’imperialismo, non solo un anticomunista convinto, desideroso di riportare indietro le lancette della storia.
NOTE:
(1) Vedasi: Michael Scott Christofferson, "French Intellectuals Against the Left: The Antitotalitarian Moment of the 1970's", Bergahn Books, Oxford, 2004;
Vedasi anche Mario Spataro, "Pinochet, las incomodas verdadestraduzione in spagnolo di Mario Spataro, "Pinochet, le scomode verità", Settimo Sigillo2003;
(2) Citato in José Miguel Armendariz Azcarate, "Solzhenitsyn : el dedo en llaga", Editorial Andrés Bello;
(3Aleksandr I. Solzhenitsyn, "The Voice of Freedom", Washington, DC: Washington : American Federation of Labor and Congress of Industrial Organizations, 1975;
(4) Ivi
(5) Vedasi qui
(6) Ibidem
(7) Ibidem
(8) Si senta il discorso qui

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