lunedì 10 settembre 2012

Il massacro di Katyn di Ella Rulle

NOICOMUNISTI

REDAZIONE NOICOMUNISTI

Pubblicato in Teoria & Prassi n. 17



Questa circostanziata ricostruzione dei tragici eccidi della foresta di Katyn è stata pubblicata a Londra nel 2002 dalla «Stalin Society», associazione nata nel 1991 per difendere Stalin e la sua opera e respingere la propaganda anticomunista di borghesi, revisionisti, opportunisti e trotzkisti. La traduzione dall’inglese è della nostra redazione.

LINEA CURZON
Alla fine della Prima Guerra Mondiale, il confine tra Russia e Polonia fu stabilito lungo una linea che diventò nota come linea Curzon, dal nome di Lord Curzon, lo statista britannico che l’aveva proposta. Questa linea di demarcazione non fu gradita ai polacchi che subito entrarono in guerra con l’Unione Sovietica al fine di spingere i confini più ad est. L’Unione Sovietica contrattaccò e fu pronta non solo a difendersi ma, contro il parere di Stalin, a liberare l’intera Polonia. Stalin riteneva che un tale obiettivo fosse destinato al fallimento perché, disse, il nazionalismo polacco non aveva ancora compiuto il suo corso: i polacchi erano decisi a NON farsi liberare, e quindi non era il caso di tentare. I polacchi opposero una feroce resistenza all’avanzata sovietica. Alla fine l’Unione Sovietica fu costretta a ritirarsi e perfino a cedere alla Polonia alcuni territori ad est della linea Curzon: le aree in questione erano la Bielorussia occidentale e l’Ucraina occidentale – aree popolate in prevalenza rispettivamente da bielorussi e da ucraini più che da polacchi.

Cavalleria sovietica nella campagna contro la Polonia del 1920
L’intera vicenda non poté non esacerbare la reciproca avversione dei polacchi e dei russi. Il 1° settembre 1939 la Germania nazista invase la Polonia. Il 17 settembre l’Unione Sovietica si mosse per rioccupare quelle parti della Polonia che erano situate a est della linea Curzon. Preso il controllo di quelle aree, l’Unione Sovietica si accinse a distribuire la terra ai contadini e ad attuare quelle riforme democratiche che erano così popolari tra la popolazione e così impopolari tra gli sfruttatori. Durante la battaglia per riprendere le aree ad est della linea Curzon, l’Unione sovietica catturò circa 10.000 ufficiali polacchi, che divennero prigionieri di guerra. Questi prigionieri furono allora tenuti in alcuni campi situati nelle aree contestate, e messi al lavoro nella costruzione di strade e attività simili.



Prigionieri polacchi in marcia




Due anni dopo, il 22 giugno del 1941, la Germania nazista attaccò di sorpresa l’Unione Sovietica. L’Armata Rossa fu costretta a ritirarsi in fretta e l’Ucraina fu occupata dai tedeschi. Durante questa frettolosa ritirata non fu possibile evacuare nell’interno dell’Unione Sovietica i prigionieri di guerra polacchi. Il comandante del campo n°1, maggiore Vetoshnikov, fornì le prove che si era rivolto al capo del traffico della sezione di Smolensk delle Ferrovie Occidentali affinché gli fossero fornite delle vetture ferroviarie per l’evacuazione dei prigionieri polacchi, ma gli fu detto che questa possibilità era molto improbabile. L’ ingegnere Ivanov, che all’epoca era stato a capo del traffico nella regione, confermò che non c’erano state vetture ferroviarie disponibili. “Inoltre”, disse, “non potevamo mandare delle vetture alla linea Gussino, dove si trovava la maggioranza dei prigionieri polacchi, perché quella linea era già sotto il fuoco”. Il risultato fu che, in conseguenza del ritiro sovietico dalla zona, i prigionieri polacchi divennero prigionieri dei tedeschi.

L'attacco nazista all'URSS
Nell’aprile del 1943 gli hitleriani annunciarono che i tedeschi avevano trovato diverse fosse comuni nella foresta di Katin vicino a Smolensk, contenenti i corpi di migliaia di ufficiali polacchi uccisi, al dire dei tedeschi, dai russi. Questo annuncio mirava a indebolire ancor più gli sforzi di collaborazione dei polacchi e dei sovietici per sconfiggere i tedeschi. L’alleanza russo-polacca fu sempre difficile, perché il governo polacco in esilio, stabilitosi a Londra, era ovviamente un governo delle classi sfruttatrici, che doveva opporsi ai tedeschi perché questi - nella ricerca di quel che chiamavano il lebensraum(lo «spazio vitale») - si erano impadroniti cinicamente della Polonia. L’Unione Sovietica sosteneva che, fin quando essa poteva mantenere il territorio a est della linea Curzon, non aveva alcun problema per la ricostituzione di un governo borghese in Polonia.
La "scoperta" da parte dei nazisti del massacro
Ma l’alleanza era già in difficoltà perché il governo polacco in esilio, guidato dal generale Sikorski, con sede a Londra, non acconsentiva alla restituzione di quel territorio, nonostante il fatto che nel 1941, dopo che Hitler aveva invaso la Polonia, l’Unione Sovietica e il governo polacco in esilio avessero non solo stabilito relazioni diplomatiche, ma avessero anche stabilito di comune accordo che l’Unione Sovietica avrebbe finanziatola formazione di un esercito polacco “sotto gli ordini di un comandante nominato dal governo polacco in esilio, ma approvato dal governo sovietico: questo comandante fu, per l’occasione, un generale nettamente antisovietico, il generale Anders (prigioniero dei sovietici dal 1939).
Alla data del 25 ottobre 1941 questo esercito aveva 41.000 uomini, compresi 2630 ufficiali. Ma, alla fine, il generale Anders rifiutò di combattere sul fronte sovietico - tedesco a causa della disputa di confine tra l’Unione Sovietica e la Polonia, e l’esercito polacco dovette essere inviato a combattere altrove - cioè in Iran. Tuttavia, nonostante l’ostilità del governo polacco in esilio, c’era una parte significativa settore di polacchi residenti nell’Unione Sovietica che non erano antisovietici e accettavano la rivendicazione dei territori a est della linea Curzon da parte dell’Unione Sovietica. Molti di loro erano ebrei e fondarono l’Unione dei Patrioti Polacchi che costituì la spina dorsale di un governo polacco alternativo in esilio. La propaganda nazista a proposito dei massacri di Katyn tendeva a rendere del tutto impossibili i rapporti fra i sovietici e i polacchi. Il generale Sikorski fece propria e spinse all’estremo la propaganda nazista, dichiarando a Churchill di avere in mano una “abbondanza di prove”. Non è chiaro come avesse ottenuto queste “prove” contemporaneamente all’annuncio tedesco di quelle presunte atrocità sovietiche, anche se si parla chiaramente di una collaborazione segreta fra Sikorski e i nazisti.

Il generale Sikorski e Churchill
I tedeschi avevano reso pubblica la loro accusa senza prove il 13 aprile. Il 16 aprile il governo sovietico emise un comunicato ufficiale che negava “l’ingiuriosa falsificazione sulle presunte fucilazioni di massa da parte di organismi sovietici nell’area di Smolensk nella primavera del 1940”. E aggiunse: “La dichiarazione tedesca non lascia alcun dubbio sul tragico destino degli ex prigionieri di guerra polacchi che, nel 1941, erano impegnati in attività lavorative nelle aree ad ovest di Smolensk e che, insieme a molti sovietici, caddero nelle mani dei carnefici tedeschi dopo il ritiro delle truppe sovietiche”. Nell’architettare questa storia, i tedeschi avevano deciso di abbellirla con un tocco di antisemitismo asserendo di essere in grado di indicare i nomi degli ufficiali sovietici responsabili del massacro, i quali avevano tutti nomi ebraici. Il 19 aprile la Pravda replicò: “Sentendo l’indignazione di tutta l’umanità progressista sui loro massacri di cittadini pacifici e particolarmente di ebrei, i tedeschi stanno ora cercando di istigare l’ira dei creduloni contro gli ebrei. Per questo motivo hanno inventato un’intera collezione di ‘commissari ebrei’ che, dicono, hannopreso parte all’assassinio dei 10.000 ufficiali polacchi. Per questi patentati falsificatori non è stato difficile inventarsi alcuni nomi di persone che non sono mai esistite – Lev Rybak, Avraam Brodninsky, Chaim Fineberg. Nessuna di queste persone è mai esistita nella ‘Sezione Smolensk dell’OGPU’ o in qualsiasi altro reparto del NKVD…”  
Joseph Goebbels
L’insistenza di Sikorski nell’avallare la propaganda tedesca portò alla completa rottura delle relazioni tra il governo polacco in esilio a Londra e il governo sovietico – che Goebbels così commentò nel suo diario: “Questa rottura rappresenta una vittoria al cento per cento per la propaganda tedesca, e in particolare per me personalmente …. Siamo riusciti a trasformare i fatti di Katyn in un problema altamente politico.” All’epoca la stampa britannica condannò Sikorski per la sua intransigenza. Il «Times» del 28 aprile 1943 scrisse: “Sorpresa e rincrescimento proveranno tutti coloro che hanno avuto sufficientimotivi per comprendere la perfidia e l’abilità inventiva della macchina propagandistica di Goebbels e sono caduti essi stessi nella trappola che è stata loro tesa. I polacchi difficilmente avranno dimenticato un libro ampiamente diffuso nel primoinverno di guerra, che descriveva con ogni dettaglio di prove circostanziate, inclusa quella fotografica, le presunte atrocità dei polacchi contro i pacifici abitanti tedeschi della Polonia”. Alla base dell’insistente affermazione di Sikorski che il massacro era stato effettuato dai sovietici anziché dai tedeschi c’era la disputa sul territorio a est della linea Curzon. Sikorski cercava di utilizzare la propaganda tedesca per mobilitare l’imperialismo occidentale in appoggio alla rivendicazione di quel territorio da parte della Polonia, e costringere gli occidentali ad abbandonare quella che lui riteneva fosse una posizione di sostegno all’Unione Sovietica sulla disputa di confine. Se si leggono le odierne fonti borghesi, si constata che tutte asseriscono che l’Unione Sovietica fu responsabile del massacro di Katyn, e lo fanno con tale certezza e coerenza che chi cerca di sostenere il contrario ha l’impressione di essere un revisionista storico nazista che cerca di negare il massacro degli ebrei da parte di Hitler.
Michail Gorbaciov 
Dopo il collasso dell’Unione Sovietica, perfino Gorbaciov fu arruolato in questa campagna di disinformazione e fornì materiale, tratto presumibilmente dagli archivi sovietici, che “dimostrava” che i sovietici perpetrarono le atrocità e lo fecero, naturalmente, su ordine di Stalin. Ora, sappiamo l’interesse che i vari Gorbaciov del mondo hanno nel demonizzare Stalin. Il loro obiettivo non è tanto Stalin, quanto il socialismo. Il loro scopo, nel denigrare il socialismo, è di restaurare il capitalismo e di condurre, con i loro seguaci, una vita da parassiti a spese di grandi sofferenze dei popoli sovietici. Il loro cinismo eguaglia quello dei nazisti tedeschi, e non sorprende affatto trovarli a cantare gli stessi inni. Le fonti borghesi asseriscono avventatamente che le prove sovietiche a sostegno della responsabilità dei tedeschi per le atrocità erano o del tutto assenti o basate semplicemente su dicerie di abitanti della regione terrorizzati. Non fanno menzione di una prova che lo stesso Goebbels dovette ammettere essere disastrosa dal suo punto di vista. Egli scrisse nel suo diario l’8 maggio 1943: “Sfortunatamente, munizioni tedesche sono state trovate nelle fosse di Katyn … E’ essenziale che questa circostanza rimanga segretissima. Se dovesse venire a conoscenza del nemico, l’intero affare di Katyn dovrebbe essere lasciato cadere”.
Confronto tra i proiettili ritrovati e quelli della Tokarev TT in dotazione  al NKVD
Nel 1971 il «Times» pubblicò delle lettere le quali sostenevano che i massacri di Katyn non potevano essere stati effettuati dai tedeschi, in quanto essi usavano mitragliatrici e camere a gas anziché eliminare i prigionieri nel modo in cui le vittime di Katyn erano state uccise, cioè con un colpo alla nuca. Un ex soldato tedesco che all’epoca viveva a Godalming, nel Surrey, intervenne con una sua lettera: “Come soldato tedesco, all’epoca convinto della giustezza della nostra causa, ho preso parte amolte battaglie e azioni durante la campagna di Russia. Non sono stato a Katyn né nella vicina foresta. Ma ricordo bene il clamore che sorse quando nel 1943 fu data notizia della scoperta dell’orrenda fossa comune vicino a Katyn, la cui area era allora minacciata dall’Armata Rossa. “Josef Goebbels, come dimostrano i documenti storici, ha ingannato molte persone. Dopo tutto, questo era il suo lavoro e in pochi metterebbero indubbio la sua completa padronanza di questa attività. Ciò che sorprende, tuttavia, è che ne abbiamo la dimostrazione nelle pagine del «Times» a distanza di più di trent’anni. Scrivendo per esperienza, io non credo che - in quel momento avanzato della guerra - Goebbels sia riuscito a ingannare molti soldati tedeschi in Russia sulla questione di Katyn … I soldati tedeschi sapevano benissimo sparare alla nuca … Noi soldati tedeschi sapevamo che gli ufficiali polacchi erano stati mandati all’altro mondo da noi stessi e da nessun altro”. Inoltre, molti testimoni si fecero avanti per attestare la presenza di prigionieri polacchi nella regione dopo che i tedeschi ne avevano preso il controllo.
Fossa comune a Katyn
Maria Alexandrovna Sashneva, insegnante in una elementare del posto, rese una testimonianza a una commissione speciale insediata dall’Unione Sovietica nel settembre del 1943, subito dopo la liberazione dell’area dai tedeschi: nell’agosto del 1941, due mesi dopo il ritiro dei sovietici, essa aveva nascosto un prigioniero di guerra polacco a casa sua. Il suo nome era Juzeph Lock e le aveva parlato di maltrattamenti subiti dai prigionieri polacchi da parte dei tedeschi: “Quando arrivarono, i tedeschi si impadronirono del campo polacco e vi instaurarono un regime severo. I tedeschi non consideravano i polacchi come esseri umani, li oppressero e li maltrattarono in ogni modo. In alcuni casi i polacchi furono fucilati senza alcun motivo. Egli decise di fuggire …” Molti altri testimoni fornirono prove di aver visto nei mesi di agosto e settembre 1941 i polacchi che lavoravano sulle strade. Inoltre, testimoni parlarono di retate di prigionieri polacchi fuggiti, compiute dai tedeschi nell’autunno del 1941. Danilenko, un contadino del luogo, era uno dei testimoni che lo dichiararono. “Retate speciali furono fatte nella nostra località per catturare prigionieri di guerra polacchi che erano fuggiti. Alcune perquisizioni furono fatte a casa mia due o tre volte. Dopo una di queste perquisizioni io chiesi al capo … chi stavano cercando nel nostro villaggio. Egli disse che era stato impartito un ordine dal comando tedesco secondo il quale si dovevano fare perquisizioni in tutte le case senza eccezioni, perché prigionieri di guerra polacchi fuggiti dal campo si nascondevano nel nostro villaggio.
Esecuzione di un prigioniero polacco
Ovviamente i tedeschi non spararono ai polacchi sotto gli occhi di testimoni locali, ma esistono tuttavia testimonianze significative da parte di persone del luogo su quello che stava succedendo. Una testimone era Alexeyeva, che era stata incaricata dal capo del suo villaggio di servire il personale tedesco in una casa di campagna nel settore della foresta di Katynnoto come Kozy Gory. Questa casa, che era stata la casa di riposo dell’amministrazione del Commissariato del Popolo degli Affari Interni di Smolensk, era situata a circa 700 metri dal luogo in cui furono trovate le fosse comuni. Alexeyeva disse: “Verso la fine di agosto e durante la maggior partedel mese di settembre del 1941 parecchi autocarri arrivavano praticamente ogni giorno alla casa di campagna di Kozy Gory. All’inizio non vi feci attenzione, ma successivamente notai che ogni volta che questi autocarri arrivavano sui terreni intorno alla casa, si fermavano per mezz’ora e a volte per un’ora intera, da qualche parte sulla strada di campagna che collegava la casa alla strada maestra. Trassi questa conclusione perché a volte, e dopo che questi autocarri erano arrivati nei terreni intorno alla casa, il rumore che facevano cessava. “Simultaneamente alla cessazione del rumore si sentivano singoli colpi di arma da fuoco che si susseguivano l’uno all’altro a brevi ma approssimativamente regolari intervalli. Poi gli spari cessavano e gli autocarri si dirigevano in direzione della casa. Dagli autocarri uscivano soldati e sottufficiali tedeschi che parlando ad alta voce andavano a lavarsi nel bagno, dopo di che si abbandonavano ad orge di bevute. “Nei giorni in cui arrivavano gli autocarri arrivavano alla casa anche altri soldati provenienti da unità militari tedesche. Per loro venivano preparati letti speciali. Poco prima che gli autocarriarrivassero alla casa, dei soldati armati andarono nella foresta, evidentemente sul luogo dove gli autocarri si fermavano, perché mezz’ora dopo ritornarono in quegli autocarri insieme ai soldati che vivevano in permanenza nella casa. “ … In varie occasioni notai delle macchie di sangue fresco sui vestiti di due soldati scelti. Da tutto questo dedussi che i tedeschi portavano in autocarro delle persone alla casa e le uccidevano a colpi di arma da fuoco. ” Alexeyeva scoprì anche che le persone che venivano uccise erano prigionieri polacchi. “Una volta mi sono fermata in quella casa un po’ più del solito… Prima di aver finito il lavoro che mi impegnava lì, un soldato entrò improvvisamente e mi disse che potevo andare. Egli …mi accompagnò fino alla strada maestra. Dalla strada maestra, a 150 o 200 metri dal punto in cui c’è la deviazione verso la casa, vidi un gruppo di circa 30 prigionieri di guerra polacchi che marciavano lungo la strada maestra sotto una forte scorta tedesca … Mi fermai vicino al lato della strada per vedere dove venivano portati, e vidi che voltavano vero la nostra casa di Kozy Gory. “Poiché avevo ormai cominciato ad osservare attentamente tutto quello che succedeva nella casa, il mio interesse si acuì. Tornai a una certa distanza dalla strada maestra, mi nascosi tra i cespugli vicino al lato della strada e aspettai. Nel giro di 20 o 30 minuti udii quei singoli spari che mi erano familiari”. Le altre due cameriere che lavoravano nella casa dicampagna, Mikhailova e Konakhovshaya, hanno fornito altre testimonianze. Altri residenti nella zona hanno fornito prove analoghe.
Nazisti a Smolensk
Basilevsky, direttore dell’osservatorio di Smolensk, fu nominato vice borgomastro di Menshagin, collaborazionista nazista. Basilevsky stava cercando di far liberare un insegnante, Zhiglinsky, dalla prigione tedesca, e persuase Menshagin a parlare della cosa al comandante tedesco della regione, Von Schwetz. Menshagin lo fece, mapoi riferì che era impossibile assicurare questa liberazione perché “erano state ricevute istruzioni da Berlino che prescrivevano il mantenimento del più severo regime.” Basilevsky riferì poi la sua conversazione con Menshagin: “Involontariamente replicai ‘Ci può essere qualcosa di più severo del regime esistente nel campo?’ Menshagin mi guardò in modo strano e, avvicinandosi al mio orecchio, rispose a bassa voce: sì, ci può essere! I russi possono essere lasciati morire, ma, per quanto riguarda i prigionieri di guerra polacchi, gli ordini dicono che devono essere semplicemente sterminati.” Dopo la liberazione fu ritrovato il taccuino di Menshagin scritto a mano con calligrafia confermata da esperti grafologi. La pagina 10, datata 15 agosto 1941, contiene questa annotazione: “Tutti i prigionieri di guerra fuggiaschi devono essere detenuti e consegnati all’ufficio del comandante.” Questo di per sé dimostra che i prigionieri polacchierano ancora vivi a quell’epoca. A pagina 15, che è senza data, c’è questa annotazione: “Corrono voci tra la popolazione sull’uccisione di prigionieri di guerra polacchi a Kozy Gory (per Umnov)” (Umnov era il capo della polizia russa). 
Molti testimoni fornirono la prova di essere stati indotti dai tedeschi nel 1942-43 a fornire false testimonianze sull’uccisione dei polacchi da parte dei russi. Parferm Gavrilovich Kisselev, residente nel villaggio più vicino a Kozy Gory, testimoniò di essere stato convocato dalla Gestapo nell’autunno del 1942 e interrogato da un ufficiale tedesco: “L’ufficiale affermò che, secondo informazioni in possesso della Gestapo, nel 1940, nella zona di Kozy Gory nella foresta di Katyn, funzionari del Commissariato del Popolo per gli Affari Interni avevano ucciso ufficiali polacchi, e mi chiese quale testimonianza potevo fornire su questo fatto. Risposi che non avevo mai sentito parlare del Commissariato del Popolo per gli Affari Interni che uccideva persone a Kozy Gory, e che comunque la cosa era impossibile, spiegai all’ufficiale, in quanto Kozy Gory è un luogo del tutto aperto e molto frequentato, e se cifossero stati degli spari l’intera popolazione dei villaggi vicini lo avrebbe saputo …. “ … L’interprete tuttavia non mi ascoltava; prese un documento manoscritto dalla scrivania e me lo lesse. Diceva che io, Kisselev, residente in un piccolo villaggio nella zona di Kozy Gory, attestavo l’uccisione di ufficiali polacchi da parte di funzionari del Commissariato del Popolo per gli Affari Interninel 1940. “Letto il documento, l’interprete mi disse di firmarlo. Io rifiutai… Alla fine urlò: ‘O lo firmi subito o ti distruggeremo. Fai la tua scelta.’ “Spaventato da queste minacce, firmai il documento e pensai che la cosa sarebbe finita lì.” Ma la cosa non finì lì perché i tedeschi pretendevano che Kisselev desse testimonianza verbale di quello che aveva “visto” a gruppi di ‘delegati’ invitati dai tedeschi a venire nella zona per verificare la prova delle presunte atrocità sovietiche. Subito dopo che le autorità tedesche avevano annunciato al mondo nell’aprile del 1943 l’esistenza di fosse comuni “l’interprete della Gestapo venne a casa mia e mi portò nella foresta nella zona di Kozy Gory. “Quando eravamo usciti da casa ed eravamo soli insieme, l’interprete mi avvertì che dovevo dire alla persone presenti nella foresta esattamente tutto quello che avevo scritto nel documento che avevo firmato alla Gestapo. “Quando arrivai alla foresta vidi le fosse aperte e un gruppo di sconosciuti. L’interprete mi disse che erano delegati polacchi arrivati per ispezionare le fosse. Quando ci avvicinammo alle fosse i delegati cominciarono a farmi varie domande in russo a proposito dell’uccisione dei polacchi, ma poiché era passato più di un mese da quando ero stato convocato dalla Gestapo, avevo dimenticato tutto quello che c’era nel documento che avevo firmato, mi confusi e dissi che non sapevo niente sull’uccisione degli ufficiali polacchi. “L’ufficiale tedesco si arrabbiò molto. L’interprete mi staccò via rudemente dalla ‘delegazione’ e mi scacciò. L’indomani mattina una macchina con un ufficiale della Gestapo arrivò a casa mia. Mi trovò in giardino, mi disse che ero agli arresti, mi mise in macchina e mi portò alla prigione di Smolensk … “Dopo il mio arresto fui interrogato molte volte ma mi picchiarono più di quanto mi interrogassero. La prima volta che mi convocarono mi picchiarono pesantemente e mi insultarono, lamentandosi che li avevo traditi e poi mi rimandarono in cella. Durante le successive convocazioni mi dissero che dovevo dichiarare pubblicamente che era stato testimone dell’uccisione degli ufficiali polacchi da parte dei bolscevichi, e che fino a quando la Gestapo non fosse stata soddisfatta che lo avrei fatto in buona fede, non sarei stato liberato dalla prigione. Dissi all’ufficiale che avrei preferito restare in prigione piuttosto che raccontare menzogne alla gente. Dopo questo fui picchiato duramente. “Di questi interrogatori con percosse ce ne furono molti, e il risultato fu che perdetti tutta la mia forza, l’udito s’indebolì e non potevo muovere il braccio destro. Dopo circa un mese dal mio arresto, un ufficiale tedesco mi convocò e mi disse: ‘Vedi le conseguenze della tua ostinazione, Kisselev. Abbiamo deciso di giustiziarti. In mattinata ti porteremo nella foresta di Katyn e ti impiccheremo". Chiesi all’ufficiale di non farlo e cominciai ad implorarli dicendo che non ero adatto per la parte del ‘testimone oculare’ dell’uccisione perché non sapevo dire bugie e pertanto avrei fatto nuovamente confusione. “L’ufficiale continuò ad insistere. Parecchi minuti dopo dei soldati entrarono nella mia stanza e cominciarono a picchiarmi con dei bastoni di gomma. Non riuscendo a sopportare le botte e la tortura, accettai di apparire in pubblico e riferire falsità sull’uccisione di polacchi da parte dei bolscevichi. Dopo di che fui liberato dalla prigione a condizione che, alla prima richiesta dei tedeschi, avrei parlato davanti alle ‘delegazioni’ nella foresta di Katyn … “Ogni volta, prima di portarmi alle fosse nella foresta, l’interprete veniva a casa mia, mi portava nel giardino, mi chiamava da parte per essere sicuro che nessuno ascoltasse e per mezz’ora mi faceva imparare a memoria tutto quello che avrei dovuto dire sulla presunta uccisione di ufficiali polacchi da parte del Commissariato del Popolo per gli Affari Interni nel1940. “Ricordo che l’interprete mi disse qualcosa del genere: ‘Abito in una casetta di campagna nella zona di ‘Kozy Gory’ non lontano dalla sede del Commissariato del Popolo per gli Affari Interni. Nella primavera del 1940 ho visto, per varie notti, polacchi che venivano portati nella foresta e uccisi.’ E poi era obbligatorio che io dicessi che ‘questo era opera del Commissariato del Popolo per gli Affari Interni.’ Dopo aver memorizzato quello che lui aveva detto,l’interprete mi portava alle fosse comuni nella foresta e mi costringeva a ripetere tutto alla presenza delle‘delegazioni’ che venivano lì. “Le mie affermazioni erano rigorosamente supervisionate e dirette dall'interprete della Gestapo. Una volta che parlai davanti a una certa ‘delegazione, mi fu fatta questa domanda: ‘Hai visto questi polacchi personalmente prima che fossero uccisi dai bolscevichi?’ Non ero preparato a una tale domanda e risposi come stavano le cose di fatto e cioè che avevo visto prigionieri di guerra polacchi prima della guerra, mentre camminavano lungo le strade. Allora l’interprete mi trascinò violentemente da parte e mi portò a casa. “Vi prego di credermi quando dico che sento rimorsi di coscienza perché sapevo che in realtà gli ufficiali polacchi erano stati uccisi dai tedeschi nel 1941. Non avevo altra scelta in quanto ero costantemente minacciato con la replica dell’arresto e della tortura.” Numerose persone confermarono la testimonianza di Kisselev e un esame medico avvalorò le sue affermazioni di essere stato torturato dai tedeschi. Furono fatte pressioni anche su Ivanov, impiegato presso la locale stazione ferroviaria (Gnezdovo), perché fornisse una falsa testimonianza: “L’ufficiale chiese se ero a conoscenza che nell’aprile del 1940 grandi gruppi di ufficiali polacchi catturati erano arrivati alla stazione di Gnezdovo con parecchi treni. Dissi che lo sapevo. Allora l’ufficiale mi chiese se sapevo che nella stessa primavera del 1940, subito dopo l’arrivo degli ufficiali polacchi, i bolscevichi avevano ucciso tutti nella foresta di Katyn.
Foto aerea della zona di Katyn
Risposi che non ne sapevo niente e che non poteva essere vero, perché nel corso del 1940-41 fino all’occupazione di Smolensk da parte dei tedeschi, avevo incontrato ufficiali polacchi catturati che erano arrivati nella primavera del 1940 alla stazione di Gnezdovo e che erano impiegati nella costruzione di strade. “L’ufficiale mi disse che, se un ufficiale tedesco diceva che i polacchi erano stati uccisi dai bolscevichi, voleva dire che questo era un fatto. ‘Perciò’, l’ufficiale continuò, ‘non devi aver paura di niente e puoi firmare in piena coscienza un documento in cui si dice che gli ufficiali polacchi catturati sono stati uccisi dai bolscevichi e che tu ne sei stato testimone.’ “Replicai che ero ormai vecchio, avevo 61 anni, e non volevo fare peccato, alla mia vecchia età. Potevo solo testimoniare che i polacchi catturati arrivarono in realtà alla stazione di Gnezdovo nella primavera del 1940. L’ufficiale tedesco cominciò a convincermi a fornire la testimonianza richiesta, promettendo che, se fossi stato d’accordo, mi avrebbe promosso dalla posizione di sorvegliante di passaggio a livello a quella di capostazione della stazione di Gnezdovo, posizione che avevo sotto il governo sovietico, e avrebbe provveduto anche ai miei bisogni materiali. “L’interprete osservò che la mia testimonianza come ex impiegato della ferrovia alla stazione di Gnezdovo, la stazione più vicina alla foresta di Katyn, era estremamente importante per il Comando tedesco, e che non mi sarei pentito se avessi fatto questa testimonianza. Compresi che mi ero messo in una situazione molto difficile e che mi aspettava un triste destino. Tuttavia rifiutai nuovamente di fornire la falsa testimonianza all’ufficiale tedesco,il quale cominciò a sgridarmi, minacciò di bastonarmi e uccidermi, e disse che non capivo quello che era il mio interesse. Eppure rimasi sulle mie posizioni. Allora l’interprete compilò un breve documento di una pagina in tedesco e mi diede una libera traduzione del suo contenuto. Questo documento registrava, come mi disse l’interprete, soltanto il fatto dell’arrivo dei prigionieri di guerra polacchi alla stazione di Gnezdovo. Quando chiesi che la mia testimonianza fosse registrata non solo in tedesco ma anche in polacco, l’ufficiale alla fine andò su tutte le furie , mi bastonò con un randello di gomma e mi portò via dall’edificio…”. 
Savvateyev fu un’altra persona sulla quale i tedeschi fecero pressioni per fornire falsa testimonianza. Alla Commissione di Indagine Sovietica egli disse: 
“Alla Gestapo testimoniai che nella primavera del 1940 prigionieri di guerra polacchi arrivarono alla stazione di Gnezdovo in parecchi treni e proseguirono in autocarri, e non sapevo dove andavano. Aggiunsi anche che successivamente incontrai più volte queipolacchi sulla strada maestra Mosca-Minsk, dove lavoravano a fare riparazioni in piccoli gruppi. L’ufficiale mi disse che stavo confondendo le cose, che non avevo potuto incontrare i polacchi sulla strada maestra in quanto erano stati uccisi dai bolscevichi, e mi chiese di testimoniare questo fatto. “Rifiutai. Dopo avermi a lungo minacciato e allettato con lusinghe, l’ufficiale si consultò con l’interprete in tedesco e poi l’interprete scrisse un breve documento e me lo diede per firmarlo. Spiegò che era la registrazione della mia testimonianza. Chiesi all’interprete di farmi leggere il documento ma mi interruppe con insulti ordinandomi di firmarlo immediatamente e andar via. Esitai un minuto. L’interprete prese un bastone di gomma appeso alla parete per colpirmi. Dopo di che firmai il documento presentatomi, L’interprete mi disse di andare a casa e di non parlarne con nessuno, o altrimenti sarei stato ucciso…” Altri fornirono testimonianze simili. Furono fornite anche prove di come i tedeschi ‘curarono’ le tombe delle vittime per cercare di eliminare le prove che i massacri non avvennero nell’autunno del 1941 ma nella primavera del 1940 poco dopo che i polacchi erano arrivati nella zona. Alexandra Mikhailovna aveva lavorato durante l’occupazione tedesca nella cucina di una unità militare tedesca. Nel marzo del 1943 trovò un prigioniero di guerra russo che si nascondeva nel suo capannone: “Conversando con lui appresi che si chiamava Nikolai Yegorov, nativo di Leningrado. Dalla fine del 1941 era stato nel campo tedesco n°126 per prigionieri di guerra nella città di Smolensk. All’inizio del marzo 1943 fu mandato con una colonna di varie centinaia di prigionieri di guerra dal campo alla foresta di Katyn. Questi prigionieri, compreso Yegorov, furono costretti ad aprire le fosse contenenti corpi di ufficiali polacchi in uniforme, tirar fuori questi corpi dalle fosse e prendere dalle loro tasche documenti, lettere, fotografie e tutti glialtri oggetti. “I tedeschi diedero ordini severi affinché niente fosse lasciato nelle tasche dei cadaveri. Due prigionieri di guerra furono uccisi perché dopo aver ispezionato alcuni cadaveri, un ufficiale tedesco vi scoprì alcune carte. Gli oggetti, i documenti e le lettere estratti dagli indumenti dei cadaveri furono esaminati dagli ufficiali tedeschi, che poi costrinsero i prigionieri a rimettere parte delle carte nelle tasche dei cadaveri, mentre le altre cose furono buttate in un mucchio di oggetti e documenti che avevano estratto e poi bruciate. “Oltre a questo, i tedeschi fecero mettere dai prigionieri nelle tasche degli ufficiali polacchi alcune carte che tirarono fuori da certe borse o valigie (non ricordo) esattamente) che avevano portato con loro.
Mappa della zona di Katyn
Tutti i prigionieri di guerra vivevano nella foresta di Katyn in condizioni spaventose a cielo aperto ed erano sorvegliati molto severamente…. All’inizio dell’aprile del 1943 tutto il lavoro programmato dai tedeschi era evidentemente completato, in quanto per tre giorni nessuno dei prigionieri di guerra ebbe del lavoro da fare…. “Improvvisamente di notte tutti senza eccezione furono svegliati e portati da qualche parte. La sorveglianza fu rafforzata. Yegorov intuì che qualcosa non andava e cominciò ad osservare molto attentamente tutto quello che succedeva. Marciarono per tre o quattro ore verso una direzione sconosciuta. Si fermarono nella foresta presso una fossa in una radura. Vide che alcuni prigionieri di guerra venivano separati dal resto, portati verso la fossa euccisi. I prigionieri di guerra cominciarono ad agitarsi e a diventare inquieti e turbolenti. A poca distanza da Yegorov molti prigionieri di guerra attaccarono le guardie. Sul posto arrivarono di corsa altre guardie. Yegorov approfittò della confusione e fuggì nella foresta oscura mentre sentiva grida e spari. “Dopo aver ascoltato questa terribile storia, che rimarrà impressa nella mia memoria per il resto della mia vita, fui molto addolorato per Yegorov e gli dissi di venire nella mia stanza per riscaldarsi e nascondersi fino a che avesse recuperato le forze. Ma Yegorov rifiutò … Disse che comunque sarebbe andato via quella stessa notte, con l’intenzione di attraversare la linea del fronte verso l’Armata Rossa. La mattina, quando andai ad assicurarmi che fosse andato via, Yegorov era ancora nel capannone. Pare che durante la notte avesse tentato di avviarsi, ma,dopo aver fatto solo una cinquantina di passi, si sentì così debole che fu costretto a tornare indietro..Questo esaurimento era causato dalla lunga prigionia nel campo e dalla mancanza di cibo negli ultimi giorni. Decidemmo che doveva restare da me parecchi giorni per recuperare le forze. Dopo avergli dato da mangiare andai al lavoro. Quando la sera tornai a casa le mie vicine Branova, Mariy Ivanovna, Kabanovskaya, Yekaterina Viktorovna mi dissero che nel pomeriggio durante una perlustrazione della polizia tedesca, il prigioniero di guerra dell’ArmataRossa era stato scoperto e portato via.
Nazisti a Cracovia
Un'ulteriore conferma fu data da un ingegnere meccanico chiamato Sukhachev che aveva lavorato sotto i tedeschi in qualità di meccanico nella fabbrica della città di Smolensk: “Lavoravo nella fabbrica nella seconda metà del marzo 1943. Parlai con un autista che parlava un po’ di russo e poiché portava farina per le truppe al villaggio di Savenki e l’indomani tornava a Smolensk, gli chiesi di portarmi con lui e così avrei potuto comprare un po’ di grassi al villaggio. La mia idea era che fare il viaggio in un camion tedesco mi avrebbe evitato il rischio di essere trattenuto alle stazioni di controllo. Il tedesco acconsentì a portarmi, a pagamento. “Lo stesso giorno alle dieci di sera eravamo sulla strada Smolensk-Vitebsk, io e il mio autista tedesco nell’autocarro. La notte era chiara e solo un po’ di nebbiolina sulla strada riduceva la visibilità. A circa 22- 23 km da Smolensk presso un ponte demolito sulla strada c’è un ripido pendio sulla tangenziale. Cominciammo a scendere dalla strada quando improvvisamente dalla nebbia apparve un autocarro che veniva verso di noi. . O perché i nostri freni non funzionavano o perché l’autista non aveva esperienza, non riuscimmo a fermare il nostro autocarro e poiché lo spazio era molto stretto andammo a sbattere contro l’autocarro che veniva verso di noi. L’impatto non fu molto violento in quanto l’autista dell’altro autocarro sbandò su un lato, con il risultato che gli autocarri si urtarono e scivolarono affiancandosi. “Tuttavia, la ruota destra dell’altro autocarro finì nel fossato e l’autocarro si piegò sul pendio. Il nostro autocarro rimase eretto. Io e l’autista saltammo immediatamente dalla cabina e corremmo verso l’autocarro che era precipitato. Fummo inondati da un forte fetore di carne in putrefazione che evidentemente proveniva dall’autocarro. “Avvicinandomi vidi che l’autocarro portava un carico coperto con un telone e legato con delle funi che all’impatto si erano spezzate e parte del carico era caduto sul pendio. Era un carico orribile –corpi umani vestiti in uniformi militari. Per quanto ricordo c’erano cinque o sei uomini vicino l’autocarro: un autista tedesco, due tedeschi armati di mitra – gli altri erano prigionieri di guerra russi in quanto parlavano russo e avevano un abbigliamento corrispondente. “I tedeschi cominciarono ad insultare il mio autista e poi fecero dei tentativi di rialzare l’autocarro. Nel tempo di circa due minuti altri due autocarri si avvicinarono al luogo dell’incidente e si fermarono. Un gruppo di tedeschi e di prigionieri di guerra russi, circa dieci uomini in tutto, vennero da questi autocarri verso di noi. …Con sforzi congiunti cominciammo a sollevare l’autocarro. Approfittando di un momento opportuno, chiesi a bassa voce ne ad uno dei prigionieri di guerra russi: ‘Cosa c’è?’ Rispose molto piano: ‘Già da molte notti stiamo trasportando cadaveri nella foresta di Katyn’. “Prima che l’autocarro rovesciato fosse rialzato un sottufficiale tedesco si avvicinò a me e al mio autista e ci ordinò di procedere immediatamente. Poiché ilnostro autocarro non aveva subito danni seri l’autista lo sterzò verso un lato, si diresse verso la strada maestra e proseguimmo. Quando stavamo oltrepassando i due autocarri coperti che erano arrivati dopo, sentii di nuovo l’orribile fetore di cadaveri”. Anche molte altre persone fornirono testimonianza di aver visto gli autocarri carichi di cadaveri. Fornì una testimonianza anche un certo Zhukhov, patologo che visitò realmente le fosse nell’aprile del 1943 su invito dei tedeschi: “Gli indumenti dei cadaveri, in particolare modo cappotti, stivali e cinture erano in buono stato di conservazione. Le parti metalliche degli indumenti –fibbie delle cinture, ganci dei bottoni e chiodi sulle suole delle scarpe, etc.- non erano molto arrugginite e in alcuni casi il metallo conservava ancora la sua lucentezza. Settori della pelle dei corpi che si vedevano - facce, colli, braccia - erano principalmente di un colore verde sporco, e in alcuni casi marrone sporco, ma non c’era completa disintegrazione del tessuto e non c’era putrefazione. In alcuni casi si vedevano tendini scoperti di colore biancastro e parti di muscoli. “Mentre ero nelle fosse, delle persone erano al lavoro selezionando ed estraendo i corpi nel fondo di una grande buca. A questo scopo usavano vanghe ed altri attrezzi e prendevano i corpi anche con le mani e li trascinavano da una parte all’altra, tirandoli per le braccia,le gambe o i vestiti. Non vidi un solo caso di corpi che si disintegravano o di membra che si laceravano. “Riflettendo su tutto questo, arrivai alla conclusione che i cadaveri erano rimasti nella terra non tre anni, come affermavano i tedeschi, ma molto meno.
Sapendo che nelle fosse comuni, specialmente in assenza di bare, la putrefazione dei corpi avanza molto più rapidamente che non nelle tombe singole, arrivai alla conclusione che l’uccisione in massa dei polacchi era avvenuta un anno e mezzo prima, e poteva essere avvenuta nell’autunno del 1941 o nella primavera del 1942. In conseguenza della mia visita sul posto degli scavi mi convinsi fermamente che i tedeschi avevano commesso un crimine mostruoso. Molte altre persone che all’epoca visitarono le fosse fornirono testimonianze simili. Inoltre, i patologi che esaminarono i cadaveri nel 1943 conclusero che non potevano essere morti da più di due anni. In aggiunta, furono trovati dei documenti su alcuni cadaveri che ovviamente erano sfuggiti ai tedeschi quando falsificarono le prove. Tra questi documenti c’erano una lettera datata settembre 1940, una cartolina datata 12 novembre 1940, una ricevuta di pegno del 14 marzo 1941 e un’altra del 25 marzo 1941, ricevute datate 6 aprile 1941, 5 maggio 1941, 15 maggio 1941, e un cartolina in polacco non spedita datata 20 giugno 1941. Quantunque tutte queste date siano antecedenti al ritiro sovietico, tutte sono successive all’epoca del presunto massacro dei prigionieri da parte delle autorità sovietiche nella primavera del 1940, epoca indicata come data del presunto massacro da parte di tutti coloro che i tedeschi riuscirono a costringere a fornire false testimonianze. Se, come è asserito dalla propaganda borghese, questi documenti sono delle falsificazioni, sarebbe stato più semplice falsificare documenti con date successive alla partenza sovietica, ma questo non fu fatto – e non fu fatto perché i documenti trovati erano indubbiamente autentici.

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