mercoledì 1 novembre 2017

Paleontologia, zoologia e anticolonialismo: la storia del dodo

REDAZIONE NOICOMUNISTI

DI LUCA BALDELLI


Tra i tanti misfatti perpetrati dal colonialismo, in quanto rapina e saccheggio di risorse naturali ed ambientali, annichilimento sistematico, su vasta scala, di esseri viventi, vi è una vicenda poco nota al vasto pubblico, che solo alcuni studiosi e cultori di zoologia, paleontologia e scienze affini conoscono o perlomeno hanno sentito descrivere per sommi capi: parliamo della storia del Dodo, il volatile ormai scomparso da quattro secoli e descritto, nell’ambito della letteratura scientifica, con la denominazione di Raphus cucullatus, coniata dal grande Linneo nel 1758.

Dodo di Roelant Savary
Il Dodo apparteneva alla famiglia Columbidae, comprendente oltre trecento specie, a dilettar con variegata fenomenologia di esemplari il ventaglio della Natura. Una sorta di piccione ipertrofico, col becco adunco e potente, la testa glabra, allampanata corona trionfante su una regale livrea di piume, le zampe corte richiamanti nella loro guisa quelle del pollo. Un volatile di 75 centimetri circa di altezza per oltre 20 chilogrammi di peso (anche se l’analisi delle ossa spinge alcuni studiosi a quantificare il peso in una forbice compresa tra 9 e 18 chilogrammi). La sua presenza era particolarmente diffusa nell’Isola di Mauritius, dove, si pensa, era approdato provenendo dall'Asia meridionale. Alcuni resti fossili inducono a ritenere che il suo più vicino progenitore fosse un volatile di 35 centimetri, frugivoro (ovvero, che si cibava di frutta) e capace di volare (a differenza del suo discendente). L’insediamento nell'Isola Mauritius fu favorito dal clima mite, oltremodo accogliente, dalla quasi totale assenza di predatori, dall'abbondanza di risorse alimentari disponibili. Il Dodo si nutriva di crostacei, semi, bacche, foglie e forse frutti, che triturava sfruttando il becco acuminato.

Dodo di Ustad Mansur, museo dell'Ermitage, Leningrado
Secondo quanto si è potuto ricostruire muovendo i passi in quell’amalgama virtuoso di prove concrete, intuito e induzione che caratterizza il brodo di coltura del paleontologo, l’ampia e diversificata disponibilità di cibo a terra, provocò, negli esemplari di Dodo, l’ottundimento di ogni stimolo a ricercare fonti di nutrimento compiendo sforzi. A causa di tale pigrizia, instillata dal vantaggio di non doversi sperticare per la sopravvivenza nello strabiliante palcoscenico di foreste e macchie insulari, nel Dodo le ali, ed in modo specifico le penne timoniere, presto si atrofizzarono, come pleonastici ammennicoli adagiati su un inerte pigostilo. L’uccello, di conseguenza, acquisì quella sua andatura impacciata, quasi claudicante, che gli valse, immeritatamente, per una perversa adequatio rei a discutibilissimi schemi mentali umani, l’infamante nomignolo (Dodo, appunto) ad esso affibbiato dai colonialisti portoghesi. Dodo, infatti, è una derivazione di "doudo" o, in portoghese moderno, "doido", che sta per tonto, sempliciotto, preda facile. Ecco, in questo appellativo lusitano c’è già tutta l’arroganza, la crudeltà, la ferocia e la stupidità (essa sì reale, non come quella del Dodo!) di quei predoni votati alla razzia, armati di archibugi, cannoni e croci, che la storia ha definito "colonialisti ". Essi, e non altri, resero il Dodo una preda ambita e agevole da riporre nel carniere. I Portoghesi giunsero nell’Oceano Indiano doppiando il Capo di Buona Speranza nel 1488, grazie all’intraprendente Bartolomeo Diaz; compulsando antiche carte ingiallite, manovrando febbrilmente sestanti e bussole, astrolabi e notturlabi, essi si spinsero, nel 1507, fino alle Isole oggi chiamate, tutte comprese in una sola entità, Mauritius. E sì, perché questo era, in realtà, nel ‘600, il nome della sola isola principale dell’Arcipelago delle Isole Mascarene, traenti il loro nome dal Capitano portoghese Pedro de Mascarenhas, che per primo vi arrivò col suo stuolo di baldi e ribaldi. L’isola principale, già nota agli Arabi con il leggiadro nome di "Dina Arobi" (Amore dell’Arabia), venne ribattezzata dai Lusitani "Ilha Do Cerne" (Isola del Cigno). Un’allusione al Dodo, scambiato per l’animale il cui bel canto è un inno alla sua prossima dipartita? Questo non si sa, ma, di certo, sappiamo che essi trovarono un ambiente pressoché intonso che iniziarono a depredare e sconvolgere, danneggiando un habitat che, per millenni, aveva prosperato rigoglioso e lussureggiante come pochi altri. Mark Twain, nel suo diario di viaggio dal titolo Seguendo l’Equatore, scriverà:

"Sembra che sia stata creata prima Mauritius, poi il Paradiso, e che il Paradiso sia stato creato da Mauritius"

I Portoghesi (che mai costruirono sull'isola insediamenti stabili) furono dunque i primi a venire a contatto col Dodo e, come abbiamo visto, a battezzarlo con questo nome tutt'altro che generoso e veritiero. La mattanza del volatile cominciò allora, ma a dar via al massacro su vasta scala, senza riguardo per limiti e scrupoli, furono gli Olandesi, insediatisi nel 1598 sotto la guida del marinaio e avventuriero Wybrand van Warwjick: proprio costoro dettero all'isola più importante, considerata un corpo unico con quelle attualmente denominate Saint Brandon e Rodrigues e Agalega, il nome di Mauritius, in onore del Principe Maurizio di Nassau. Gli Olandesi, più dei Portoghesi, introdussero, in modo particolare a Mauritius, gatti, cani, maiali, ratti e roditori, decretando la fine del Dodo. Il volatile non è solo nella triste antologia delle estinzioni colpose, causate dai colonialisti nell'area delle Mauritius: accanto ad esso possiamo annoverare la Tartaruga gigante e, in ambito botanico, l’Ebano, abbattuto senza pietà per l’effimero diletto degli arredi di lusso delizianti la cupidigia dei ricchi europei.

Il dodo ritratto da Cornelis Saftleven
Il tutto, naturalmente, mentre il turpe commercio degli schiavi veniva in ogni modo praticato ed incentivato, e mentre si estendevano a perdita d’occhio le piantagioni di zucchero, introdotte dal governatore Adriaan Van Der Stel e concimate col sangue e col sudore delle popolazioni schiavizzate, sfruttate, derubate di tutto. Il Dodo, come milioni di esseri umani, fu vittima innocente ed indifesa di questi banditi, ladri e masnadieri che si facevano scudo con ricchezze immense accumulate con prepotenze e crimini, nonché con franchigie morali assurde, accampate ed imposte in virtù di protezioni in alto, altissimo loco, nei palazzi del potere di quel Vecchio Continente lanciato alla conquista del mondo per brama inestinguibile di averi.

Illustrazione allegorica della Compagnia delle Indie (1646)
Non si può dire nemmeno che fosse commestibile, il Ruphus cucullatus alias Dodo: i Portoghesi ci hanno lasciato alcune testimonianze circa il gusto non proprio sopraffino delle sue carni, mentre gli Olandesi, in maniera ancor più netta, sprezzante e drastica, lo chiamarono "Walgvogel", ovvero "uccello disgustoso". Accadde anche che i colonialisti (poverini!) si scandalizzarono per reazioni del tutto episodiche e insignificanti, quantunque perfettamente legittime e giuste, di esemplari di Dodo alle loro volontà genocide: Pieter Willemsz Verhoeff, navigatore giunto a Mauritius, ebbe a lamentarsi per la beccata di un Dodo che stava cacciando. Questo, mentre i membri del suo equipaggio si davano alla pazza gioia macellando una quantità impressionante di volatili, in un olocausto ornitologico che non avrà mai, di certo, la sua Norimberga. Un rapporto del 1602, redatto dall'equipaggio della nave Gelderland, in forza alla Compagnia delle Indie, reca scritto:

“Questi uccelli vengono catturati a Mauritius in gran numero poiché non volano e mangiano o si rinfrescano nell'acqua".

Una vigliaccheria immensa, uccidere volatili mentre adempiono alle loro funzioni vitali, approfittando della loro goffaggine e della loro natura pacifica! Una vergogna che rappresenta uno dei tanti grani avvelenati del rosario colonialista, della sua furia sterminatrice verso animali e uomini. Alla fine del ‘600, il Dodo fu estinto del tutto sì, FU ESTINTO, perché continuare a scrivere "si estinse", come va per la maggiore nelle pubblicazioni scientifiche, significa essere complici di un crimine e coprire ciò che avvenne realmente con la coltre ipocrita dell’ineluttabilità e di una presunta legge di natura ineluttabile che, se fosse stata davvero operante e giusta, avrebbe fatto olocausto dei colonialisti, non del Dodo.


Oggi questo volatile, divenuto oggetto di ornamento nei secoli passati con le sue penne e le sue piume, è un esotico richiamo presente nella bandiera delle Isole Mauritius, nonché in alcune opere letterarie, da  Il diario di Adamo e di Eva  di Mark Twain ad Alice nel Paese delle Meraviglie  di Lewis Carroll. Resta, malinconico e forse un po' cinico, il canto poetico di Hilaire Belloc:

The Dodo used to walk around,
And take the sun and air.
The sun yet warms his native ground -
The Dodo is not there!

The voice which used to squawk and squeak
Is now forever dumb
Yet may you see his bones and beak
All in the Mu-se-um.

Il Dodo era solito andare in giro,
E prendere il sole e l'aria.
Il sole brilla ancora sul suo terreno natio -
Il Dodo non c'è più!

La voce che era solita starnazzare e squittire,
È ora per sempre muta -
Ma puoi vedere ancora il suo scheletro ed il suo becco,
Tutti nel mu-se-o. 

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