sabato 14 ottobre 2017

Poema pedagogico di A. S. Makarenko

REDAZIONE NOICOMUNISTI


DI ELVIRA MENSI

Dobbiamo educare un lavoratore colto ed evoluto. Dobbiamo educare in lui il sentimento del dovere e il concetto dell’onore o, in altri termini: egli deve sentire la dignità sua e della sua classe e deve esserne orgoglioso, deve sentire gli obblighi che ha verso la sua classe. Deve essere capace di subordinarsi al compagno e di dare ordini al compagno. Deve essere un attivo organizzatore. Perseverante e temprato, egli deve saper dominare se stesso e saper influenzare gli altri. […] Deve essere lieto, cordiale, alacre, capace di lottare e di costruire, capace di vivere e amare la vita: deve essere felice e non soltanto nel futuro, ma in ogni giorno presente della sua vita”.
(A. S. Makarenko)

“Va all’attacco, sul fronte della scuola, sul fronte del libro, alla testa di tutti i suoi ragazzi”
(V. Maiakovski su A.S. Makarenko)

Introduzione alla lettura

Poema pedagogico è un romanzo-verità: il racconto della storia di una colonia penale per criminali minorenni creata e gestita dalla polizia politica comunista in Ucraina orientale negli anni venti del secolo scorso.

Se dovessi dire in poche parole ai lettori di oggi chi è il suo autore, Anton Semenovyč Makarenko, direi senza esitazione che è un pedagogo e un pedagogista sovietico, un costruttore del primo paese socialista, un costruttore del primo Stato socialista della storia, un costruttore dell’Unione Sovietica: uno Stato basato sull’alleanza di operai e contadini diretta dagli operai. Non quindi un educatore di ragazzi e di giovani, un professionista sia pure brillante del “reinserimento nella società” di ragazzi criminali, delinquenti, drogati e comunque disadattati e asociali, il sostenitore di un metodo particolare di insegnamento, di rieducazione o di “reinserimento sociale”: proprio della sinistra borghese deformarne la figura isolando un aspetto di Makarenko e valorizzarlo in questi ruoli, perché nella cultura della sinistra borghese la rivoluzione socialista non esiste e tra società borghese e società socialista la sinistra borghese non vede sostanziale differenza.


In primo luogo Makarenko è quindi un costruttore del primo paese socialista che racconta come ha diretto un gruppo di ragazzi criminali, delinquenti, spesso drogati e comunque disadattati e asociali, non a “reinserirsi nella società”, ma a trasformarsi in attori della costruzione del socialismo in un paese dove, sotto la guida del partito comunista di Lenin e di Stalin, gli operai, una piccola minoranza della popolazione, avevano preso il potere e dirigevano la massa della popolazione a costruire un paese socialista, base rossa della rivoluzione proletaria mondiale.

In secondo luogo Makarenko è stato trascinato a partecipare a questa impresa unica, o meglio la prima del suo genere, partendo dal lavoro di insegnante che stava già facendo con passione da più di dieci anni a figli di operai, in una zona relativamente industrializzata dell’Ucraina, quando la rivoluzione socialista promossa dal partito comunista di Lenin vinse l’impero zarista e instaurò il socialismo. Makarenko era già un maestro di scuola (aveva già 29 anni e aveva incominciato a insegnare in scuole per operai a 17 anni) quando nell’ottobre del 1917 Lenin e il partito comunista instaurarono a Pietrogrado il primo governo sovietico. Egli aderì entusiasticamente e sempre più consapevolmente alla rivoluzione socialista e divenne un fervente costruttore del socialismo sotto la guida del partito di Lenin e di Stalin sempre operando nel campo pedagogico. “Dopo l’Ottobre, si aprirono di fronte a me meravigliose prospettive. Noi pedagoghi eravamo talmente inebriati di queste prospettive, da essere quasi fuori di noi”, scriverà più tardi. Ma nonostante l’età non aveva fatto parte dell’avanguardia che aveva assimilato la concezione comunista del mondo e promosso la rivoluzione socialista. Questo è importante per capire le difficoltà che Makarenko incontrò come maestro di pedagogia nella società sovietica.


La Rivoluzione d’Ottobre non significò soltanto l’espropriazione dei latifondisti e dei grandi industriali, non significò soltanto “la terra ai contadini, le fabbriche agli operai”: essa fu anche, nello stesso tempo, il più grande movimento di masse verso l’istruzione (e innanzitutto verso la conquista dell’alfabeto) che ci fosse mai stato.
“In nessun luogo le masse popolari sono così interessate alla vera cultura come da noi; in nessun luogo, in nessun paese, il potere dello Stato si trova nelle mani della classe operaia che, nella sua massa, comprende perfettamente la sua mancanza, non dirò di cultura, ma di istruzione; in nessun luogo essa è pronta a fare, e fa, per migliorare la sua situazione in questo campo, sacrifizi così grandi come nel nostro paese” (Lenin, Pagine di diario, gennaio 1923, in Opere Complete vol. 33 – Editori Riuniti, 1967, pagg. 423-427).
Il maestro elementare diventò figura centrale di questo grande movimento popolare contro l’analfabetismo, verso l’istruzione.
“Il maestro elementare deve essere da noi posto ad un’altezza tale, alla quale non si è mai trovato, e non si trova, non può trovarsi nella società borghese. Noi dobbiamo avviarci verso questo stato di cose con un lavoro sistematico, fermo e tenace, per elevarne il livello spirituale, per prepararlo sotto tutti gli aspetti alla sua missione realmente nobile… e per migliorare le sue condizioni materiali. Non bisogna lesinare sull’aumento della razione di pane agli insegnanti in un anno come questo, in cui ne siamo forniti in modo relativamente sopportabile” (Lenin, ibidem).

La storia della colonia Gor’kij, il “poema pedagogico” di Makarenko, è esemplare – ma davvero non unica – per quel che riguarda lo sviluppo dell’istruzione nei primi, difficilissimi anni del potere sovietico. L’Ucraina era una delle regioni più colpite e devastate: guerra, occupazione tedesca, guardie bianche, banditismo endemico, distruzioni, carestia. Eppure, in quelle tragiche condizioni, il potere sovietico – benché qua e là ancor debole, incerto, inesperto nei suoi quadri – dà un potente impulso all’istruzione. Le case e le ville dei vecchi signorotti, le proprietà dei nobili e dei monasteri (come nei pressi di Poltava e a Kuriag, prima e seconda sede della Colonia Gor’kij) sono assegnate ad istituti di istruzione popolare. Nascono le Rabfak, le facoltà operaie, si moltiplicano le scuole professionali. Le attrezzature sono insufficienti? i locali inadatti? il vitto scarso? Sì: ma queste sono conseguenze temporanee degli anni di lotta e di sconvolgimento, non di incuria delle autorità. Al contrario: il maestro sa che la direttiva del governo sovietico è nelle parole di Lenin:
“devono essere ridotte non le spese per il Commissariato dell’Istruzione pubblica, ma le spese degli altri dicasteri, perché le somme rese disponibili siano devolute al Commissariato dell’Istruzione pubblica”.
Il freddo, la fame, la scarsezza di tutto sono la conseguenza del fallimento, del crollo del vecchio regime, del vecchio mondo. Perciò, anche se “lacero e affamato”, è con entusiasmo, è con la consapevolezza di essere sorretto e aiutato nel massimo grado possibile dal potere operaio, che il maestro “va all’attacco, sul fronte della scuola, sul fronte del libro, alla testa di tutti i suoi ragazzi” (Maiakovski).

Tuttavia Makarenko fece domanda di ammissione al partito solo molti anni dopo: la sua domanda fu accettata postuma dopo la sua morte improvvisa il 1° aprile 1939. La sua adesione alla costruzione del socialismo non venne quindi dalla assimilazione della teoria marxista, non fu un intellettuale rivoluzionario della vecchia tradizione russa, che era approdato al marxismo e poi alla pratica del movimento operaio e della rivoluzione socialista, come molte persone colte della sua generazione. Al contrario fu la sua adesione di figlio di operai, di insegnante e di pedagogista alla costruzione del socialismo promossa e guidata dal partito comunista di Lenin e di Stalin che lo fecero approdare al marxismo e infine al partito comunista. Anche nel campo pedagogico Makarenko fu prima un pratico e divenne pedagogista solo tardi, quando nel corso della costruzione del socialismo la lotta tra i vari indirizzi pedagogici divenne acuta. Dapprima Makarenko reagisce nella pratica, e quasi istintivamente, senza avere ancora alcuna chiarezza di idee e di principi, all’ondata libertaria che caratterizzava l’insegnamento nella scuola nei primi anni della società sovietica. La sua prima pubblicazione è del 1932 (La marcia dell’anno 30) e parla della Comune Dzeržinskij, il fondatore della Ceka morto nel 1926. Poema pedagogico venne pubblicato in due puntate nel 1934 e 1935 dell’almanacco letterario diretto da Gor’kij e in volume nel 1935, benché sia il frutto del lavoro redazionale fatto da Makarenko stesso su scritti stesi nel periodo 1925-1935, relativi alla vita della colonia Gor’kij (creata nel 1920 presso Poltava, in Ucraina orientale) per ragazzi criminali e comunque disadattati e asociali. Promotore di questa colonia, che in un paese borghese sarebbe stata, quindi, una colonia penale, come di tante altre analoghe colonie era stata la Ceka, la polizia politica che il governo sovietico aveva creato con il decreto del 7 dicembre 1917 per snidare e consegnare ai tribunali del popolo i cospiratori controrivoluzionari e rafforzato con il decreto del 21 febbraio 1918 (“La patria socialista è in pericolo!”) assegnandole il compito di eliminare direttamente i cospiratori controrivoluzionari colti sul fatto. Con la fine della guerra civile su larga scala, la Ceka era via via ritornata a compiti di inchiesta rimettendo i colpevoli di cospirazione controrivoluzionaria ai tribunali del popolo (per la vita del suo creatore, Feliks Dzeržinskij, vedasi l’omonima opera pubblicata da Zambon Editore) ed era passata a occuparsi anche di altri compiti: uno di essi era l’inserimento nella costruzione del socialismo dei ragazzi abbandonati, in gran parte criminali, delinquenti, spesso drogati e comunque disadattati e asociali che la guerra civile e lo sconvolgimento rivoluzionario avevano creato. Il loro numero, nel 1921, era valutato a 7.5 milioni di cui circa il 10% tossicomani.


Sia l’esistenza di un così alto numero di giovani asociali sia i contrasti di indirizzo su come fare a farli partecipare alla costruzione del nuovo mondo, erano nella natura delle cose: l’agonia del vecchio mondo e la nascita del nuovo.
“L’apparire di una nuova classe sulla scena della storia, come capo e dirigente della società, è sempre accompagnato da un periodo di violente “perturbazioni”, di scosse, di lotte e di tempeste da un lato, e dall’altro da un periodo di passi incerti, di esperimenti, di oscillazioni e di esitazioni nella scelta dei nuovi metodi rispondenti alla nuova situazione oggettiva… È ovvio che non settimane occorrono, ma lunghi mesi ed anni prima che la nuova classe sociale, e per di più una classe finora oppressa, schiacciata dalla miseria e dall’ignoranza, possa adattarsi alla nuova situazione, orientarsi, organizzare il proprio lavoro ed esprimere dal suo seno i propri organizzatori” (Lenin, I compiti immediati del potere sovietico, 28 aprile 1918, in Opere Complete vol. 27 – Editori Riuniti, 1967, pagg. 211-248).
Nello stesso tempo, però, l’affermarsi, “come capo e dirigente della società”, della classe, fino ad allora sfruttata ed oppressa, del proletariato, liberò immense forze fino ad allora compresse, animò di indomabile entusiasmo milioni di uomini, pur nelle strettezze e nelle difficoltà della vita di ogni giorno.


Quanto fin qui detto valga ad avvertenza perché i lettori traggano il massimo giovamento dalla lettura di Poema pedagogico. Essi troveranno in quest’opera spunti fecondi per riflessioni in molti campi. In questa introduzione ne voglio mettere in risalto tre.

1. Il primo campo è la costruzione del socialismo in Unione Sovietica negli anni Venti e Trenta, sotto la guida di Lenin prima e poi di Stalin.
Abbiamo già detto che non di “reinserimento sociale” racconta Makarenko, ma, raccontando le vicende di un caso concreto esemplare, della trasformazione di milioni di ragazzi sbandati in costruttori del socialismo. I metodi che egli usa sarebbero incomprensibili e i risultati che ottiene genererebbero frustrazione nei lettori e in particolare in quelli che sono oggi in Italia impegnati in sforzi educativi familiari o professionali, nelle istituzioni pubbliche o in iniziative di volontariato, se non tenessero conto che Makarenko racconta di uno sforzo educativo condotto in condizioni difficili ma nel contesto di una società che lo richiede, che ne ha bisogno, che sta tutta trasformandosi nella stessa direzione a cui l’opera educativa tende. Chi dei nostri lettori, dopo aver letto Poema pedagogico leggerà L’era di Stalin di Anne Luise Strong o I primi paesi socialisti di Marco Martinengo (entrambi disponibili presso le Edizioni Rapporti Sociali) vi troverà descritto lo stesso mondo a cui appartengono la colonia Gor’kij e la Comune Dzeržinskij, solo visto nel suo insieme, in termini di ricordi di viaggio da Strong e in termini di saggio da Martinengo. È velleitario cercare di educare all’altruismo un bambino che vive in un mondo di lupi rapaci: quello che gli serve ed è possibile fare è educarlo a diventare un rivoluzionario. Il libro di Makarenko, prima di essere un incitamento ad adottare metodi pedagogici, è quindi incitamento a fare la rivoluzione socialista nel nostro paese.

2. Il secondo campo è l’indirizzo pedagogico nell’Unione Sovietica degli anni Venti e Trenta. I lettori di Poema pedagogico si troveranno alle prese con una lotta acuta tra contrastanti indirizzi pedagogici. In particolare tra l’indirizzo promosso da Makarenko e l’indirizzo libertario prevalente nelle istituzioni scolastiche nel cui contesto opera la colonia Gor’kij. È del tutto comprensibile che nelle istituzioni educative sovietiche l’indirizzo libertario avesse preso ampie dimensioni dopo la Rivoluzione d’Ottobre. Occorre immedesimarsi nel contesto storico concreto, per comprendere le ragioni, e gli aspetti anche positivi, dello spirito libertario che animava molti maestri d’avanguardia in quegli anni. Nelle scuole zariste aveva dominato una disciplina da caserma e da seminario. I migliori maestri avevano lottato contro l’oppressione della personalità umana che le autorità imponevano. “Basta con la disciplina da caserma!”: era la parola d’ordine che, giustamente e naturalmente, risuonava nella nascente scuola sovietica. Era necessario travolgere le resistenze del vecchio mondo, far entrare nelle aule una ventata di libertà, far nascere negli allievi il senso della critica e dell’indipendenza di giudizio. Vi era in tutto ciò un aspetto positivo, un’esigenza giusta: l’esigenza di farla finita con una disciplina puramente esteriore, di liquidare ogni forma di supina sottomissione, ogni forma di avvilimento della personalità dell’allievo. Ma vi erano anche dei grossi pericoli, giacché questa giusta esigenza di disciplina cosciente e di libertà si mutava spesso in un “rivoluzionarismo” romantico e puramente negativo, conduceva al mito libertario dell’assoluto autogoverno degli allievi nella scuola, al mito naturalistico dello sviluppo spontaneo della personalità del fanciullo: in definitiva al fatalismo, ogni cosa può essere solo quello che è. Si giunse talvolta, per combattere l’autorità caporalesca e la disciplina da caserma, a negare qualsiasi autorità al maestro, a ripudiare qualsiasi forma di disciplina, a condannare qualsiasi “intervento dall’alto” da parte degli insegnanti. Proprio negli anni nei quali più teso era il contrasto tra Makarenko e l’“Olimpo pedagogico”, Antonio Gramsci, scrivendo dal carcere di Turi ai suoi figlioli che abitavano in Unione Sovietica, si preoccupava del pericolo di una sorta di “anarchia culturale” nell’insegnamento loro impartito in famiglia e a scuola. “Non si è liberi di scrivere da destra verso sinistra”, diceva scherzosamente ma anche seriamente al figlio maggiore alle prese con l’alfabeto. E alla moglie e alla cognata affettuosamente rimproverava di essere imbevute di “spirito ginevrino” (a Ginevra aveva risieduto Rousseau), di non reagire criticamente al fascino del mito dell’“educazione secondo natura” che aveva trovato nell’Emilio di Rousseau la sua espressione più completa. Il fatto che la critica di Gramsci coincidesse nella sostanza con la lotta di Makarenko contro il mito libertario, il fatto che due uomini, l’uno all’altro sconosciuti, lontani, arrivassero alla medesima conclusione partendo dalle medesime premesse di principio, è una prova importante contro coloro che vogliono far credere che la “svolta del 1936” (la risoluzione del Comitato Centrale del Partito Comunista bolscevico dell’URSS del 5 maggio 1936 riconobbe non solo gli evidenti successi della pedagogia di Makarenko, ma persino il suo essere sostanziale fondamento di un’educazione socialista di massa: la pedagogia di Makarenko, con i suoi metodi e principi educativi, divenne nuova “pedagogia ufficiale” dell’URSS), era stata una critica dall’alto, un puro e semplice e improvviso “atto d’autorità”. La critica era invece già nelle cose, nei cattivi risultati della pedologia libertaria, nei meravigliosi successi educativi degli avversari della pedagogia libertaria, di Makarenko ma non solo di Makarenko; era nella logica dello sviluppo della società e della scuola socialista; era nella coscienza degli uomini più attenti e consapevoli, degli uomini che, come Gramsci e Makarenko, avevano fatto dei principi del marxismo-leninismo una guida per la comprensione dei processi storici e culturali e per la loro direzione.

Il comunismo non è solo negazione dell’oppressione feudale e clericale. È anche superamento dell’individualismo borghese e della libertà del capitalista che si combina con l’asservimento degli schiavi salariati. L’uomo comunista è libero nel senso preciso che è cosciente dei compiti della società di cui fa parte, concorre a individuarli, definirli e a tradurli in regole di condotta collettiva e individuale e quindi si comporta in modo conforme al ruolo che svolge per il loro adempimento. Nella società borghese la libertà dello schiavo salariato è rivendicazione, protesta, rivolta e organizzazione rivoluzionaria. La libertà del costruttore del socialismo e del comunismo è scienza e coscienza, conoscenza della necessità, disciplina consapevole in conformità alle leggi oggettive e a quelle che ha partecipato a definire e che sono quindi diventate socialmente oggettive.

3. Il terzo campo è la partecipazione alla rivoluzione socialista italiana e l’inserimento nella futura società socialista italiana dei giovani di oggi, del 2017.

Molti dei futuri lettori di Poema pedagogico sono certamente coscienti e probabilmente preoccupati dell’abbrutimento morale e intellettuale che la borghesia imperialista e il suo clero fomentano a piene mani nei bambini, nei ragazzi e nei giovani. Trascuriamo qui che borghesia e clero spesso concorrono allo stesso risultato (distogliere dalla rivoluzione socialista) con ruoli diversi: la prima facendo dell’abbrutimento mercato, il secondo deplorando, esortando e promuovendo opere di carità. È possibile oggi portare tanti giovani abbrutiti a partecipare alla rivoluzione socialista? Riusciremo domani a inserirli nella costruzione del socialismo? Poema pedagogico avvalora le tesi di noi comunisti, ma dice anche che la trasgressione non è di per sé rivoluzionaria. È solo sintomo della putrefazione della vecchia società che non accetta di morire. Solo chi promuove la rivoluzione è in grado di trasformare i trasgressivi in rivoluzionari.

Elvira Mensi

Edizioni Rapporti Sociali

Autore: Anton Semenovyč Makarenko
Editore: EDIZIONI RAPPORTI SOCIALI e RED STAR PRESS
Via Tanaro, 7 – 20128 Milano – Tel/fax: 02 26305464
Email: edizionirapportisociali@gmail.com – carc@riseup.net
Sito web: http://www.carc.it – in fb: ERS – Edizioni Rapporti Sociali
Anno: 2017
Pagine: 416 pp.
Formato: 16×22,5 cucito con bandelle
Isbn: 9788867181674
Prezzo: 25,00 euro
Collana: Prima ondata della rivoluzione proletaria e i primi paesi socialisti.

Puoi acquistarlo: – Conto Corrente Bancario (CCB) intestato a Gemmi Renzo IBAN: IT79 M030 6909 5511 0000 0003 018 – Postepay intestata a Renzo Gemmi n. 5333 1710 0024 1535 – Paypal: accredito sul Conto PAYPAL del Partito dei CARC (https://www.paypal.me/PCARC) specificando la causale di versamento (via mail scrivendo a edizionirapportisociali@gmail.com) e comunicando via email o direttamente allo 02.26306454 l’indirizzo postale cui spedire il testo. La spedizione verrà effettuata non appena ricevuto il versamento effettuato.

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