venerdì 30 agosto 2013

LA CONCEZIONE DEL MONDO MARXISTA

REDAZIONE NOICOMUNISTI



In questa occasione, la redazione di NOICOMUNISTI propone un interessante saggio del compagno Fabrizio Merlo, nell'intento di stimolare un fecondo confronto sulla visione marxista del mondo che, ribadiamolo fin da subito, è autenticamente scientifica.


La concezione del mondo marxista


Introduzione

Lo scritto seguente è frutto della rielaborazione critica delle letture che mi hanno impegnato negli ultimi mesi, a partire da “Ludwig Feuerbach” di Friedrich Engels e due brevi scritti, “Sulla storia della filosofia di Alexandrov” di Andrej Zdanov, e “Del materialismo dialettico e del materialismo storico” di Iosif V. Stalin, che hanno costituito a tutti gli effetti per me le introduzioni non solo alla filosofia marxista ma anche alla filosofia in generale; oltre alla successiva lettura di altri testi più elaborati, come “Dialettica della natura” di F.Engels. In realtà lo scritto che presento è cominciato come una proposta di discussione circa una critica alla filosofia marxista trovata nell’edizione de “La città del sole” del già citato opuscolo di Friedrich Engels su Feuerbach, dove il curatore Giovanni Sgrò, facendo affidamento a un testo del filosofo Lucio Colletti (1) introduce lo scritto del filosofo tedesco soffermandosi su di una differenza interpretativa della dialettica hegeliana rispetto al suo amico e collega Karl Marx, la quale differenza avrebbe segnato profondamente, il corso del marxismo teorico mutandone “profondamente il carattere e la struttura”. 
Cito integralmente il passo:

“…A essere quindi «critica e rivoluzionaria per essenza» non è, come sostiene Engels, la dialettica hegeliana tout court, immediatamente presa, perché nella «sua forma mistificatala dialettica» può ben servire a «trasfigurare lo stato di cose esistente»; ad essere, invece, «critica e rivoluzionaria per essenza» è in realtà, la dialettica nella sua «forma razionale»,«rovesciata», bonificata e demistificata materialisticamente, le cui «forme generali del movimento» ha sì «scoperto ma nello stesso tempo mistificato».
A differenza da quanto sostiene Engels,la dialettica hegeliana è, secondo Marx, sì «la forma fondamentale di ogni dialettica, ma soltanto dopo l’eliminazione della sua forma mistica, ed è appunto questo che distingue» il «metodo di svolgimento» di Marx da quello di Hegel, perché Marx è «materialista, Hegel idealista». Mi preme osservare che se la controversia vertesse solo intorno all’interpretazione di Hegel, la cosa in fondo avrebbe scarso peso. Il fatto sostanziale e fondamentale è ,però, che da questa diversa interpretazione Engels ricava alcune deduzioni che avranno un peso decisivo sul corso ulteriore del marxismo teorico e che ne modificheranno profondamente il carattere e la struttura.
Al di là e nonostante tutti i distinguo e le precisazioni di Engels, sta di fatto, tuttavia, che già con l’Antiduhring e poi più esplicitamente col Feuerbach, « il “marxismo” incorpora a sé questa banalità liberale e piccolo-borghese secondo cui la clavis aurea per intendere Hegel sarebbe da ricercare nella contraddizione tra il metodo e il sistema, tra i princìpi rivoluzionari e le conclusioni conservatrici ».
Non solo questo. Il marxismo incorpora anche un’altra « banalità liberale e piccolo-borghese”, e cioè che «per “raddrizzare” la dialettica hegeliana» basterebbe cioè «prendere questa dialettica così com’è e “applicarla” alla materia».
L’ingenuità di questa interpretazione risulta chiara se si considera che Engels non si avvede che «il problema non è di “applicare” la dialettica di Hegel alle cose”, ma di vedere come «la materia, le cose, entrino concretamente a strutturare la nuova dialettica», come cioè quest’ultima si configuri, una volta che non sia più «dialettica di puri pensieri”, ma «dialettica materialistica o scientifica» .
In conclusione: attraverso l’interpretazione di Engels, il marxismo – che è una concezione della storia che è nata « sulla base e in funzione dell’analisi della società borghese moderna», una teoria che offre «l’analisi scientifica della formazione economico-sociale capitalistica» – subisce, per così dire, una sorta di « ritraduzione in termini speculativi » e torna ad essere, cioè, «una ”concezione generale del mondo” nel vecchio senso della parola, una filosofia che sovrasta e soverchia l’analisi scientifica concreta» .” (2)

Andando avanti con le letture e con il tentativo di controbattere a Sgrò e Colletti, il testo prendeva sempre maggior dimensione, fino a che non ho trovato interessante collegare l’argomento trattato con una critica all’esposizione dei princìpi della filosofia marxista fatta da Stalin, comparsa sul forum “ScintillaRossa”, poiché l’argomento è molto simile e certe accuse rivolte al leader bolscevico sono assolutamente identiche a quelle mosse al filosofo tedesco.
Contenuto del presente scritto è dunque un tentativo di difesa da un attacco importante al marxismo, mirante ad offendere il materialismo dialettico per colpire la rivoluzionaria concezione del mondo marxista, facendo leva su di un presunto “peccato originale” del marxismo; tale “peccato originale” viene fatto risalire a delle interpretazioni erronee della filosofia di Hegel da parte di Engels, a detta di Sgrò sostanzialmente differenti da quelle di Marx. Nel caso delle critiche di Morganti queste si sviluppano maggiormente sul campo politico, ma comunque la battaglia si svolge principalmente in filosofia, giacché il pomo della discordia è la dialettica hegeliana, in quanto a questa i nostri critici fanno risalire l’origine dei presunti mali della filosofia marxista.
Nell’esposizione della dottrina marxista e della filosofia materialistico dialettica, mi è venuto naturale rispondere alle critiche contrapponendo argomenti tratti da una delle mie ultime letture, “Scienza, marxismo, cultura” di Emilio Sereni, che già fin dalle prime pagine si è dimostrata una lettura pregna di una forza culturale, politica e scientifica capace di scardinare completamente sul piano teorico tutto l’impianto ideologico della borghesia. Molto devo a questo scritto, e credo che sia una lettura obbligata per ogni marxista degno di tale qualifica. Il titolo appena citato non è l’unico testo che ho affrontato nelle ultime settimane, ad esso infatti si affiancano “Materialismo ed empiriocriticismo” di V.I. Lenin e “Antiduhring” di F.Engels.
Sebbene tali letture mi propongano continuamente moltissimi spunti di riflessione, fin troppi, per questo e per il fatto che ho accumulato materiale in abbondanza, e che alcuni argomenti, come quello sulla scienza, non sono stati sviluppati ancora del tutto, per il momento mi limito a sperare che questo scritto, pur contenendo sicuramente ancora delle lacune o errori ideologici, possa stimolare l’interesse di tutti i compagni che lo leggeranno verso gli argomenti trattati, che a mio avviso sono di estrema importanza, e — nel caso dei rapporti tra filosofia e scienza —da alcuni anche sottovalutati. Mi scuso inoltre per lo stile forse un po’ troppo ripetitivo, che comunque ho trovato quasi naturale per esporre gli argomenti trattati, i quali necessitano del massimo della chiarezza (o perlomeno, la mia intenzione era quella di essere il più chiaro possibile).
Dunque, buona lettura, compagni.

Fabrizio Merlo 


I

Le critiche a Engels e Stalin
Differenza interpretativa di Hegel tra Marx ed Engels

Occorre innanzitutto tenere a mente una premessa, una chiave per comprendere il giudizio su Engels di Sgrò e Colletti, i quali notano di sfuggita il carattere dilettantesco, e “volgarizzante” nella diffusione delle idee elaborate insieme a Marx. Chiaramente questa è una pulce messaci nell’orecchio da Sgrò e Colletti che dovrebbe dirci di non fidarci troppo del collaboratore di Marx in genere, e da ciò partirebbe quindi la separazione tra Marx e tutto il marxismo.
Dal confronto tra il poscritto alla seconda edizione de Il Capitale e il Feuerbach di Engels non credo che si possano ricavare deduzioni così differenti e tali da trasformare la filosofia marxista in una scienza delle scienze, poiché Marx poneva l’accento sulla forma razionale della dialettica, spogliata del rivestimento mistico, ”perché considera ogni forma divenuta nel fluire del movimento, perciò anche dal suo lato transitorio (…) ed essa è critica e rivoluzionaria nel suo intimo”; mentre Engels parlava di carattere conservatore e carattere rivoluzionario, il primo relativo, e il secondo assoluto (il solo assoluto ch’essa ammetta). Ma quindi Engels non sostiene che la dialettica di Hegel sia critica e rivoluzionaria “tout court”. Inoltre sia Marx che Engels hanno usato l’espressione “rovesciare, capovolgere la dialettica di Hegel”. Non è chiaro quindi da dove Sgrò ricavi un’affermazione di questo tipo, almeno io non l’ho trovata nel testo, mentre un’estrapolazione di alcuni pensieri presi da Engels sulla dialettica hegeliana e ricombinati seppur grossolanamente difficilmente può condurre alla conclusione che Engels abbia preso la dialettica hegeliana così com’era e l’abbia applicata “alle cose”, come dice Colletti.
Engels affermava inoltre la contraddizione tra metodo e sistema e tra princìpi rivoluzionari e conclusioni conservatrici. Secondo Engels, Hegel vede nella monarchia per ceti promessa da Federico Guglielmo II la realizzazione dell’Idea assoluta come compimento della Storia, poiché il genere umano giunge alla conoscenza di tale Idea assoluta, conoscenza raggiunta nella filosofia hegeliana. Dato che questo è in contraddizione con il metodo dialettico che non ammette nulla di definitivo, assoluto, sacro, ma di ogni cosa ne dimostra la caducità, e giustifica determinate tappe della conoscenza e della società solo per il loro tempo e le loro circostanze, Engels giustamente sottolinea come “le esigenze interne del sistema filosofico bastano quindi da sole a spiegare come si giunga, con un metodo di pensiero essenzialmente rivoluzionario, a una conclusione politica molto modesta”. Hegel quindi era costretto a trovare una conclusione, un compimento della sua filosofia poiché potesse proclamarsi definitiva. A questo Engels aggiunge un’accusa di parziale filisteismo ad Hegel. Questa interpretazione di Engels, che trova la ”clavis aurea” per intendere Hegel nella contraddizione tra metodo e sistema sarebbe, secondo Colletti, una banalità liberale e piccolo-borghese.

Analogie tra due diverse critiche al materialismo dialettico

Vorrei però fare ora un confronto tra le critiche di Sgrò-Colletti al metodo dialettico nelle mani di Engels e le posizioni di un ultrasinistro, tale Matteo Morganti; leggendo un suo intervento sul forum “Scintilla Rossa”(3), ho trovato nel tentativo di confutare l’interpretazione di Stalin della filosofia marxista, un indizio su di una critica di fondo comune, diciamo un tasto che viene toccato spesso dai critici “di sinistra” del marxismo, a prescindere dall’autore criticato, che sia esso Engels o Lenin piuttosto che Stalin. Alcune citazioni di Lucio Colletti sembrano essere l’origine di molte interpretazioni critiche dei diversi autori “di sinistra”, tra i quali anche Costanzo Preve. Questo tratto comune tra le varie critiche “da sinistra” consiste nello speculare sugli errori di interpretazione filosofici, presunti errori di metodo e di comprensione dei sistemi. Nel caso di Sgrò-Colletti il bersaglio è Engels ed oggetto di critica sono, da una parte, la tesi della contraddizione tra metodo e sistema in Hegel, e dall’altra l’applicazione della dialettica hegeliana alla materia, e sia ben chiaro, la dialettica presa così com’è, operando una semplice inversione meccanica. Come ho detto prima, ciò non mi pare verificato filologicamente, anche perché Marx ed Engels usarono termini molto simili riguardo a che cosa si doveva fare con la dialettica di Hegel. Per Colletti il marxismo è solo una “concezione della storia nata sulla base e in funzione dell’analisi della società borghese”, che analizza scientificamente la “formazione economica-sociale capitalistica”; quindi, implicitamente, egli vuole separare il materialismo dialettico dal marxismo e gettarlo via, poiché il primo sarebbe un puro sistema filosofico di vecchio tipo, che sottopone a sé i risultati della ricerca scientifica — dunque il materialismo dialettico sarebbe antiscientifico —.
In Morganti invece, abbiamo per prima cosa una critica alla correttezza scientifica del termine “materialismo dialettico”, cosa sicuramente interessante e su cui ritorneremo più avanti, ma quello che più ci interessa adesso è il fatto che sia nelle critiche di Morganti a Stalin, sia in quelle di Sgrò-Colletti a Engels troviamo un punto comune, e cioè che la dialettica nelle mani di Engels in un caso e di Stalin nell’altro sarebbe stata mal recepita o comunque applicata “direttamente” dalla dialettica di Hegel. Differenza tra le due critiche è quindi la riconduzione della natura di “scienza delle scienze” del marxismo al peccato originale di Engels filosofo dilettante, da parte di Colletti, mentre Morganti non nomina affatto un presunto errore interpretativo di Engels, anzi dice che Marx ed Engels “trasformano” entrambi la dialettica hegeliana, e si concentra quindi esclusivamente su Stalin accusandolo di aver strumentalizzato la dialettica per proteggere il suo potere personale. Notiamo di sfuggita e ribadiamo come i critici di sinistra tendano in diversi modi di difendere un marxismo originario da presunte speculazioni, revisionismi, reinterpretazioni, attaccando questo autore e salvandone il o i predecessori, autoelevandosi al rango di marxisti puri e ortodossi . Ma tornando nel merito delle critiche, c’è da sottolineare un altro punto in comune di Morganti con Colletti. Egli infatti dice della frase iniziale dello scritto di Stalin che “già dice tutto del tentativo di tarpare le ali alla ricerca scientifica”; Colletti accusa il marxismo dopo Engels di essere tornato una “scienza delle scienze”, una “filosofia che sovrasta e soverchia l’analisi scientifica concreta”.

II

Uno sguardo alla concezione del mondo della filosofia marxista

Vediamo allora cosa dice Stalin ne “Il materialismo dialettico e il materialismo storico”; lo scritto comincia così:
«Il materialismo dialettico è la concezione del mondo del partito marxista-leninista »
La “concezione del mondo” o “Weltanschauung” è, nelle filosofie premarxiste, un sistema chiuso e compiuto a cui la ricerca filosofica deve attenersi. Più precisamente, il sistema conduce alla definizione di una “verità assoluta” che tutto spiega e tutto conosce, anche la filosofia hegeliana fa parte di queste filosofie, e lo fa notare Engels nel suo commento ad Hegel sulla contraddizione tra metodo e sistema, commento poi bollato da Colletti come banalità liberale e piccolo-borghese. Sebbene preparato da Hegel e dedotto poi da Marx ed Engels quando fecero i conti con la loro vecchia coscienza filosofica, cioè quando si occuparono di compiere una critica alla filosofia tedesca, qui troviamo il primo contenuto rivoluzionario della filosofia marxista: la vecchia filosofia in quanto dottrina che pretende di raggiungere la “verità assoluta” è finita.

«…non appena abbiamo scorto... che il compito posto in questo modo alla filosofia non vuol dire altro se non che un singolo filosofo deve realizzare ciò che può essere realizzato soltanto dall’intero genere umano nel suo sviluppo progressivo — ha detto Engels — non appena scorgiamo questo, la filosofia intera, nel senso che finora si è dato a questa parola, è finita. Si lascia correre la ”verità assoluta”, che per questa via e da ogni singolo isolatamente non può essere raggiunta, e si dà la caccia, invece, alle verità relative accessibili per la via delle scienze positive e della sintesi dei loro risultati a mezzo del pensiero dialettico» (Engels, Ludwig Feuerbach)

Engels, Marx e le figlie di quest'utimo
Con il marxismo la concezione del mondo cessa di essere un sistema di conoscenze della natura e dell’uomo che in una determinata epoca e nella testa di un singolo filosofo riassuma tutto l’infinito progresso nella conoscenza da parte dell’intero genere umano. E’ assurdo infatti poter dare un’immagine esaustiva del mondo nell’interezza dei suoi innumerevoli intrecci, nessi, sviluppi, se il mondo continua a vivere la sua storia infinita, per non dire nulla del fatto che un singolo filosofo non può certo realizzare ciò che spetta all’intero genere umano. Per Engels, la contraddizione tra il desiderio di una conoscenza compiuta, definitiva del mondo nelle sue molteplicità, e l’impossibilità di giungere ad una tale conoscenza è il motore dello sviluppo intellettuale dell’uomo, che non giungerà mai a termine (4). Ma se per le filosofie premarxiste e anche per i nostri critici, la concezione del mondo è un sistema da costruire fino alla chiusura dello stesso con una verità assoluta conclusiva che tutto spieghi, e che quindi dia un’immagine definitiva di un processo non concluso, per il marxismo invece la concezione del mondo viene a costituirsi dai progressi scientifici, senza però negare in toto l’elaborazione filosofica dei problemi della conoscenza del mondo, dando quindi la giusta importanza alle geniali intuizioni dei creatori dei sistemi filosofici del passato spesso addirittura in anticipo sulla concreta ricerca scientifica, in particolar modo ai materialisti (Feuerbach) e ai dialettici (Eraclito, Aristotele, ma soprattutto Hegel), senza i quali non avremmo la moderna filosofia marxista, il materialismo dialettico. Questi progressi scientifici e filosofici hanno delineato quella che a onor del vero pare essere ed è effettivamente l’unica “verità assoluta” del materialismo dialettico: la materia, ovvero la natura, l’uomo, la società, tutto ciò che è oggettivo, indipendente dal nostro pensiero, vive e si sviluppa incessantemente, e tale sviluppo è eterno ed è frutto delle contraddizioni, delle reciproche azioni delle cose e dei fenomeni della natura, contraddizioni anche interne alle stesse cose e fenomeni; tale sviluppo segue delle leggi obbiettive, che non possono essere né create né distrutte dall’uomo, in quanto indipendenti da esso, ma possono tuttavia esser conosciute. Dunque, in estrema sintesi, lo sviluppo, o per utilizzare la terminologia marxista, il “movimento” infinito della materia. Tale “verità assoluta” non è cosa confutabile: poiché è infinito ciò che non ha fine ma che non ha neanche inizio, è illogico pensare che prima del Big Bang ci fosse un nulla da cui all’improvviso siano comparse le particelle elementari dell’universo. Ciò riporterebbe alla tesi dell’atto creativo di una divinità, con tutte le assurdità che ciò comporta; di conseguenza è illogico anche concepire la distruttibilità della materia e del movimento ad essa connaturato; è più logico concepire un’eterna trasformazione del movimento della materia che segua delle leggi determinate. Ciò è quel che ci dice, per esempio, anche il primo principio della termodinamica.
HEGEL
Tale, in breve, la “verità assoluta” su cui si basa la concezione del mondo del materialismo dialettico. Una “verità assoluta” basata principalmente sui risultati delle scienze naturali, cosa quindi ben diversa dalla verità assoluta delle filosofie premarxiste, dato che questa verità nel materialismo dialettico non proviene da un bisogno di eliminare le tutte contraddizioni filosofiche, ma è semplicemente l’affermazione scientifica di una certezza incontestabile e che non dipende affatto dalle fantasie dei filosofi marxisti, è quindi oggettiva. Se i nostri critici vogliono contestare quest’affermazione come verità assoluta nel vecchio senso datogli dalle filosofie premarxiste, come gabbia per la ricerca scientifica, allora o sono in aperta malafede, oppure contestano la possibilità di una conoscenza oggettiva del mondo. Tale “verità assoluta” non è dunque un sistema, ma il nucleo della filosofia materialistico dialettica, il principio fondamentale del mondo da cui derivano tutte le conoscenze di dettaglio che sono ricercate e sistemate dalle scienze positive, alle quali il marxismo chiede di prendere coscienza del carattere dialettico della natura che esse stesse hanno provato, e di scoprire le leggi di questo movimento in ogni singola parte (5), rendendo così superflua una scienza particolare (6) che cerchi di dimostrare il nesso complessivo, la qual ricerca come abbiamo detto porta le scienze, secondo Engels, a compiere un sistema conoscitivo che dia un’immagine esatta, conclusiva del mondo, mondo che è in infinito sviluppo, e abbiamo quindi quella contraddizione che spinge il nostro sviluppo intellettuale.

Quindi riassumendo: 

Esiste una “verità assoluta” nella filosofia marxista? Sì, sebbene non nel senso che gli davano le vecchie filosofie, ed è l’affermazione del carattere dialettico della materia, il principio fondamentale, dunque, della “weltanschauung” marxista. E’ la filosofia marxista un sistema filosofico chiuso? No, poiché un sistema filosofico chiuso è quel sistema che pretende di dare un’immagine definitiva di un processo infinito. La concezione del mondo marxista soverchia e sovrasta l’analisi scientifica concreta? No, perché una volta scoperto scientificamente il principio fondamentale del mondo, cioè il movimento incessante della materia ad esso connaturato, non vi è nessuna necessità di ingabbiare la ricerca scientifica in un sistema definitivo. “Ad ogni scoperta che faccia epoca nelle scienze naturali il materialismo deve cambiare la sua forma” (Engels, Ludwig Feuerbach): il contenuto della filosofia materialistico-dialettica pone infatti come fondamento il cambiamento, tutto il resto delle conoscenze scientifiche, che viene dopo questo fondamento, costituisce la forma di questa filosofia.

Il materialismo dialettico come filosofia di partito

Veniamo alla seconda parte della frase di Stalin citata, dove si parla di filosofia di partito. Per i nostri critici è inammissibile anche solo accostare i termini “partito” e “concezione del mondo”, come avviene appunto nelle prime righe dello scritto di Stalin. Chiaro è che un partito politico dotatosi di una concezione universale chiusa e assoluta, proclamata verità e quindi inappellabile non può portare nulla di buono, e sicuramente ogni buon filisteo borghese alla lettura congiunta delle parole “Stalin”,”concezione del mondo”,”del partito” farà una smorfia di raccapriccio. 
Ma per il marxismo una filosofia “di partito” non solo è ammissibile, è anzi doverosa in quanto schierarsi e intraprendere una lotta costante contro le filosofie reazionarie, contro le concezioni universali è necessario per l’abbattimento delle classi dominanti e la realizzazione del comunismo. Il marxismo stesso, per dirla con Zdanov, “è sorto, si è sviluppato e ha vinto in una lotta spietata contro tutti i rappresentanti della corrente idealistica”(7). Dato che ai filosofi marxisti si chiede di trasformare il mondo e non semplicemente di intenderlo o descriverlo, la filosofia si fa partitica in senso compiuto. Non più lotta tra materialismo e idealismo per così dire solo in sede accademica, ma si porta la lotta sul terreno pratico, il materialismo diventa una filosofia della prassi, e con i filosofi che devono trasformare il mondo abbiamo il secondo contenuto rivoluzionario della filosofia marxista .
Tuttavia dalle parole di Stalin non possiamo derivarne che un singolo partito debba avere il controllo della filosofia, anche perché si parla di partito marxista-leninista in genere, non del partito comunista bolscevico dell’URSS o di un altro partito comunista in particolare. Può sembrare una sottigliezza, ma è comunque opportuno constatarlo, poiché parlando del partito marxista-leninista ci si riferisce implicitamente ad un’organizzazione internazionale, la quale ha interessi certamente più ampi del singolo partito nazionale o locale, oltre ad abbracciare un numero di individui enormemente maggiore e provenienti da diversi paesi e quindi culture, il che rende più difficile la sottomissione della ricerca filosofica ad esigenze particolari di gruppo. Oltretutto, da quel che si è scritto sopra, è chiaro che nella concezione marxista il partito è qualcosa di diverso dal classico partito di massa che partecipa alle elezioni nei sistemi borghesi, qui il partito si fa prototipo della società futura, ed è chiaro che debba avere la propria concezione del mondo.

La filosofia marxista come “scienza delle scienze” 

La filosofia marxista parte dunque da un principio fondamentale scientifico, poiché verità obbiettiva scoperta grazie al progresso delle scienze positive. Il processo conoscitivo che ci ha portati a tale principio fondamentale dimostra come l’attività pratica sia essenza della conoscenza, questa non vi può essere senza attività pratica. La filosofia comprende quindi la necessità dell’attività pratica-trasformatrice non solo come verifica di una teoria, ma come “momento intrinseco al processo stesso della conoscenza”(Engels), poiché una teoria non può sporgere spontaneamente nella nostra testa senza attività pratiche, senza sperimentazione. Comprendendo quindi l’essenza del processo della conoscenza, la filosofia si fa scienza in senso completo, cioè conoscenza obbiettiva del mondo, strumento d’intervento sul mondo per conoscerlo; la vecchia filosofia, non avendo compreso ciò, si limitava a descrivere ed interpretare il mondo fornendo conclusioni non oggettive per quel bisogno istintivo di eliminare le contraddizioni che porta l’uomo ad inventare il concetto di perfezione. Ma per la dialettica, le contraddizioni non solo vanno accolte, ma sono esse stesse fonte di sviluppo, il motore nascosto del movimento della materia, che nella terminologia marxista prende un significato diverso da quel che ne danno le varie scienze positive, più ampio. Ciò che è perfetto infatti non si sviluppa, non avendone bisogno proprio in quanto perfetto. Pertanto la vecchia filosofia non era ancora “scienza”, dato che la sua spinta propulsiva era data dalla volontà di costruire un sistema, una verità assoluta che tutto spiegasse. La filosofia, dunque, imprigionava la ricerca scientifica, invece che stimolarla, in uno schema di conoscenze finito per un processo infinito, il processo della conoscenza, con una oggettiva rinuncia alla conoscenza effettiva. Era un settore particolare della conoscenza che non aveva come scopo la trasformazione positiva del mondo, poiché il suo scopo, abbiamo detto, era invece solo eliminare le contraddizioni in un processo, quello della conoscenza, per sua natura contraddittorio: non un processo continuativo, graduale, caratterizzato da un pacifico perfezionamento nozionistico, dal semplice al complesso, come la costruzione di una torre poggiando sempre più mattoni l’uno dopo l’altro; ma costituito da momentanei regressi, salti improvvisi, difficoltà insormontabili, lotte ideologiche.
Si poneva dunque, la filosofia, al di sopra delle scienze positive, sebbene come campo indipendente della conoscenza, la vecchia filosofia si sforzava di pensare con il proprio cervello, e pervenne a notevoli conclusioni poi confermate dalla pratica scientifica, spesso molti anni dopo. Solo con il passaggio al carattere scientifico la filosofia smise di confezionare sistemi definitivi per un processo infinito. Ma a tal punto, e con lo sviluppo delle scienze positive e delle loro scoperte, il processo conoscitivo doveva poter proseguire attraverso un’unione “ideologica” delle scienze positive e della filosofia divenuta scienza, le prime avendo assorbito il pensiero dialettico, cui esse stesse hanno contribuito a definire con le loro scoperte, e con la seconda che rinunciava ad un ruolo passivo e di semplice interpretazione, in cui le ricerche scientifiche concrete dovevano entrare nel sistema filosofico nei nessi che gli dava il filosofo, oppure starne fuori. Le scienze positive si dovevano elevare al livello della filosofia, e la filosofia al livello di scienza. Quest’ultima si doveva restringere alla dottrina del pensiero ovvero allo sviluppo della logica dialettica, dialettica come studio dei concetti in opposizione alle categorie rigidamente fissate della metafisica (in senso marxista), e allo stesso modo affermare e consolidare le tesi materialistiche nella lotta contro tutte le varie forme di concezioni idealistiche, che si schieravano dalla parte della reazione in filosofia.

…attraverso l’interpretazione di Engels, il marxismo (…) torna ad essere, cioè, «una ”concezione generale del mondo” nel vecchio senso della parola..” (citazione di Colletti riportata da Sgrò)

La “weltanschauung” materialistico dialettica non è quindi una concezione del mondo nel vecchio senso datogli dalle filosofie premarxiste. Come già abbiamo detto, è impossibile avere una “weltanschauung” definita dell’infinito processo quale è il nostro mondo. Difatti Stalin dice che il materialismo dialettico è la concezione del mondo del partito, e il materialismo dialettico non è una dottrina o un sistema finito, un’immagine di tutti i nessi della natura conclusa da una verità che spieghi tutto, ma è in estrema sintesi l’affermazione del movimento dialettico della materia. La questione ovviamente non si riduce a questo, qui abbiamo solo il punto di partenza ( a sua volta punto di arrivo di tutta la filosofia che abbiamo avuto finora) per la costruzione di un complesso coerente, un sistema valido per un determinato grado dello sviluppo della conoscenza, che ricordiamo essere un processo dialettico. Il materialismo dialettico è la definizione della filosofia nuova ed essa non si riduce semplicemente al principio fondamentale, ovvero l’affermazione del movimento dialettico della materia, ma studia lo sviluppo del pensiero dialettico e afferma la validità delle tesi materialistiche in aperto scontro con le varie forme della filosofia idealistica. L’affermazione del movimento dialettico della materia costituisce dunque il nucleo di tutta la nuova conoscenza, di tutta la nuova “weltanschauung” comprese quindi anche le scienze positive. Tale nuova concezione del mondo è propria della società comunista, in quanto nella società delle contraddizioni antagonistiche la concezione del mondo, di riflesso, è un sistema incoerente e limitato di conoscenze ideologiche e scientifiche che frenano e rinchiudono il processo conoscitivo nella gabbia della multiforme sovrastruttura borghese.
Alcune parole sulle tesi del materialismo ci permetteranno di dare l’ultimo affondo alle accuse sulla filosofia marxista, il materialismo dialettico, di essere una “scienza delle scienze”. La filosofia materialista consiste di due aspetti, il primo è l’affermazione della materia, quindi la natura, il fisico, come dato primo e il pensiero, lo spirito, la coscienza, ecc, come derivato; il secondo aspetto è la gnoseologia, la sua teoria della conoscenza, ovvero le affermazioni della teoria materialistica sulla possibilità di una conoscenza valida del mondo reale. I due aspetti sono strettamente collegati tra loro: se noi infatti affermiamo che il pensiero è un prodotto della materia, o della natura, dell’evoluzione dell’uomo, e non al contrario una metafisica entità cosciente che esiste da sempre e capace di creare, secondo un atto di pura volontà indipendente, la materia, la natura e le sue leggi, ecc, ammettiamo implicitamente che non esistono “barriere” nella conoscenza del mondo esterno a noi. Il pensiero è il più sviluppato prodotto della materia, di ciò che è oggettivo ed esiste indipendentemente da noi, e non un prodotto di se stesso. Il pensiero senza basi materiali non esiste e non può esistere. Senza l’osservazione e l’azione sulla natura noi non potremmo avere i concetti, anche i più semplici ed astratti come positivo/negativo, uguale/contrario, identico/diverso ecc, che vengono dunque ricavati per astrazione dalla natura e dall’intervento dell’uomo su di essa. Quindi la natura viene “riflessa” nella mente per mezzo dei nostri sensi, sebbene questo termine usato spesso da Lenin in alcuni casi potrebbe sembrare troppo legato alla passività della conoscenza della natura, mentre noi sappiamo che è necessario anche un intervento attivo del soggetto nel processo conoscitivo. Comunque, il termine descrive molto efficacemente la derivazione del pensiero dal mondo materiale e la possibilità di una valida ed obbiettiva conoscenza dello stesso. Ciò che ha reso possibile l’illusione che sia effettivamente il pensiero il demiurgo della realtà, è l’elevata complessità della rielaborazione di questo “riflesso” nel pensiero, e la limitatezza fisiologica del cervello umano – nel senso che il cervello di un solo individuo ha un limite ovviamente troppo ristretto per concepire gli infiniti nessi della natura – e il suo antropocentrismo come naturale riflessione della realtà più immediata attorno a sé, hanno fatto sì che sorgesse l’idea della limitatezza assoluta della conoscenza, che non ci sia più nulla da conoscere oltre l’immediata esperienza quotidiana, cosa che come sappiamo oggi – e come afferma il materialismo dialettico – è falsa, poiché la limitatezza della conoscenza è una limitatezza storica, relativa ad una determinata epoca e ai suoi sviluppi nella pratica e nella tecnica. 
Dunque, se noi siamo d’accordo con la teoria materialista per la quale la materia, il fisico, la natura è il dato primo ed è qualcosa che esiste anche senza di noi, e non è un prodotto del pensiero, ci rendiamo chiaramente conto della possibilità di scoprire qualcosa che ancora non conosciamo; nel caso in cui invece affermiamo che il pensiero è il dato primo e la materia, la natura sono prodotti del pensiero, esistono solo nelle nostre sensazioni, ecc, cosa potremmo mai scoprire di nuovo che non sia già frutto del pensiero, del cervello umano?
Se ci aggiungiamo che il mondo, la natura, la materia vive un processo di sviluppo continuo, ne consegue che un “riflesso” esatto del mondo e del suo infinito processo è possibile solo in un infinito processo conoscitivo, e ciò è in aperta contraddizione con il tentativo di chiudere la conoscenza in un sistema finito. Può esserci una vera conoscenza scientifica solo se ammettiamo il principio gnoseologico materialistico dialettico, la possibilità cioè di una conoscenza obbiettiva del mondo materiale. E’ chiaro quindi che con queste premesse, la filosofia come scienza e proprio in quanto scienza cessa di sovrastare l’analisi scientifica concreta, non può essere definita come una scienza generale che abbia come obiettivo la spiegazione universale e definitiva del mondo in quanto compito impossibile da realizzarsi; per questo non parliamo di “scienza delle scienze”, in quanto il risultato a cui è giunta la filosofia con il marxismo, è una conoscenza di tipo fondamentale a cui si è giunti con e parallelamente alle scoperte delle scienze positive, e tale conoscenza viene assorbita dalle scienze positive stesse.
In quanto appena esposto troviamo una nuova rivoluzione nel processo della conoscenza , rivoluzione ancora ben lungi dal completamento. Se infatti con il marxismo la filosofia si restringe ulteriormente (nell’antica Grecia, per esempio, non esisteva una differenziazione dei vari settori particolari del sapere, politica, filosofia, matematica e scienze naturali facevano parte di un unico campo) e diventa scienza particolare, avente per oggetto lo studio del pensiero dialettico e materialista, la momentanea sconfitta della rivoluzione proletaria porta con sé nuove grandi difficoltà nella lotta proletaria del pensiero marxista contro tutta la sovrastruttura ideologica delle vecchie classi. La filosofia marxista in quanto studio del pensiero materialista e dialettico non è certo la corrente filosofica attualmente dominante, e la situazione di decadenza e agonia in cui versa il capitalismo borghese rigenera continuamente vecchie concezioni filosofiche e “scientifiche” già sconfitte dal marxismo, magari sotto nuove forme o spesso senza neanche troppi sforzi di mascheramento. Tutto il coerente complesso di idee sviluppate e affermate dal marxismo, la sua dottrina rispondente al nuovo grado di sviluppo storico della società, viene ridicolizzata, falsificata, o coperta dal silenzio a seconda delle circostanze. Ma tale dottrina – che necessita come l’aria di un continuo sviluppo di forma e di dettaglio, checché ne dicano coloro che accusano il marxismo di anacronismo e dogmatismo – dovrà finalmente soppiantare l’attuale ideologia dominante, ideologia certamente multiforme e multicolore, ma che si caratterizza per un contenuto ben determinato, e che funge oramai da più di un secolo da freno allo sviluppo in tutti i sensi della società. Tale ideologia, come vedremo nel paragrafo seguente, influenza la stessa ricerca scientifica concreta, sebbene riesca efficacemente ad occultarlo.

La scienza nella concezione del mondo marxista

E’ inevitabile fare qui un raffronto tra la filosofia marxista e il suo atteggiamento verso le scienze positive e lo stato attuale in cui versa la scienza, ossia nell’epoca del capitalismo monopolistico.
Se innanzitutto l’idea di una “scienza di partito” può sembrare un assurdo scandaloso per i borghesi filistei, la “libera” scienza borghese certamente non può sottrarsi dal venir criticata sia per i mezzi limitati, sia per questioni che riguardano la coscienza scientifica. Nel primo caso, basta vedere in un paese come il nostro quale parte del reddito viene impiegata per la ricerca (1,1 % del pil – 2,2 % per l’Europa e 2,8 % per gli USA) (8), e l’Italia è uno dei paesi più industrializzati al mondo, o la scarsissima attenzione che viene rivolta alla divulgazione scientifica, da parte delle istituzioni, che preferiscono tagliare sulle spese per l’istruzione, oppure i mezzi di informazione che cercano di imbonire il grande pubblico con racconti di fede e fornendo briciole di nozioni scientifiche relegate al ruolo di semplice curiosità. 
EMILIO SERENI
A ben vedere, la scienza, come diceva Emilio Sereni, si presenta nella sua concreta realtà storica sotto due aspetti: quello di forza produttiva – in quanto insieme di uomini, mezzi, strumenti che hanno un ruolo attivo pratico nella “creazione delle condizioni di vita materiali e morali della società” (9) – e come “forma particolare di coscienza di una determinata società o di un determinato gruppo sociale” (10). I due aspetti sono in rapporto dialettico tra loro, si condizionano reciprocamente, in quanto lo sviluppo della scienza come forma di coscienza particolare avviene sulla base dello sviluppo della scienza come forza produttiva e viceversa il suo sviluppo come forza produttiva è condizionato dal suo sviluppo come forma di coscienza e dal suo grado di coerenza ed obbiettività. 
Generalmente si ammette che gli scienziati sono influenzati dal pensiero, dall’ideologia della società in cui vivono, ma si insiste spesso sul fatto che nell’ambito strettamente professionale gli scienziati di ogni epoca sono guidati da una comune mentalità scientifica, che pone come obbiettivo la conoscenza della verità, dichiarandola velata, nascosta, ma comunque accessibile con il metodo della ricerca, dell’osservazione e della discussione. Innanzitutto notiamo che ciò è perfettamente in linea con il pensiero materialistico dialettico, e non potrebbe essere altrimenti, dato che quest’ultimo è un pensiero coerentemente scientifico che si basa sullo sviluppo storico del pensiero scientifico stesso, da cui trae le sue origini.
Ma, ritornando a quel che abbiamo detto prima, sulla scienza come forma particolare di coscienza sociale, è sbagliato additare a questa mentalità scientifica un valore astorico e sempre valido per ogni scienza particolare. La scienza, nel suo sviluppo storico, è rimasta spesso imprigionata dallo stesso grado di sviluppo delle sue conoscenze: per esempio finché era possibile osservare solo una realtà immediata come il movimento dei gravi o dei corpi celesti, tutta la scienza si basava sulla meccanica terrestre e celeste, sulle sue leggi, sui suoi metodi. Dal “De revolutionibus” di Copernico fino a Newton passando per Galileo e Keplero, questo periodo è caratterizzato da una mentalità scientifica propria, empirista, che mette al centro l’osservazione e la sperimentazione invitando a non cercare spiegazioni che non siano direttamente verificabili con la sperimentazione appunto, e attraverso procedimenti matematici. Engels stigmatizzava tale mentalità scientifica rivolgendosi spesso proprio a Newton (11). Nel caso degli scienziati del ‘700 troviamo un certo agnosticismo nel pensiero scientifico dovuto al limitato sviluppo della scienza come forza produttiva e come forma di coscienza, nonché una “weltanschauung” che concepiva la natura come un insieme immutabile di oggetti indipendenti gli uni dagli altri, senza uno sviluppo nel tempo, un’evoluzione quindi. Nell’800 le cose cambiano in quanto industria e scienza vanno di pari passo verso un grande periodo di sviluppo quantitativo e qualitativo, fino ad unirsi in una scienza particolare dedicata all’applicazione dei risultati delle scienze naturali alle tecniche produttive, la tecnologia. La scienza diviene in maniera orami più che evidente a tutti forza produttiva, e dato il carattere intrinsecamente rivoluzionario della base tecnica della produzione capitalistica, la scienza pratica, applicata, viene spinta sempre più dal modo di produzione capitalistico, il quale peraltro si evidenzia per la contraddizione tra l’impiego del macchinario e dell’automazione come mezzo per diminuire e semplificare il lavoro umano, e le sue dirette conseguenze sull’intensificazione di tale lavoro umano o della sua eliminazione a seconda delle circostanze; in una parola, l’applicazione della scienza alla tecnica produttiva si ritorce contro l’uomo; la divisione del lavoro si intensifica. Nel ‘900 la ricerca scientifica compie ulteriori passi in avanti, arrivando a risultati che fanno epoca poiché rimettono in discussione tutto il sistema del sapere scientifico che si era consolidato all’epoca, come la relatività generale einsteiniana e la meccanica quantistica che lasciano tutt’oggi molti problemi aperti poiché nono sono state inquadrate in un sistema comprensivo come quello newtoniano o quello di Maxwell. Tale periodo si caratterizza anch’esso per la presenza problemi ideologici nel mondo scientifico, soprattutto per quanto concerne le questioni gnoseologiche, che hanno visto casi di affermatissimi scienziati come Ernst Mach e altri cadere nell’idealismo soggettivo, oppure praticare un coerente e naturale materialismo in cattedra o in laboratorio per poi filosofare sull’impossibilità di una conoscenza obiettiva del mondo, assumendo quindi posizioni agnostiche.
La scienza, nel suo sviluppo storico, ha cambiato spesso metodi e mentalità, ma anche lo stesso oggetto di studio in seguito a rivoluzioni nell’interpretazione della realtà. Mezzi, strumenti, conoscenze a disposizione, e forme di coscienza esterne come la teologia o concezioni del mondo basate sulla limitazione dello sviluppo della scienza stessa, ne hanno determinato il corso storico. L’amore degli uomini per la conoscenza è un’importante spinta allo sviluppo della scienza, ma non è esattamente la sua “legge fondamentale”, per così dire, altrimenti tale sviluppo sarebbe stato lineare, e noi sappiamo invece che questo sviluppo ha avuto un inizio in Egitto e in Mesopotamia dal 3000 a.C. con la matematica e l’astronomia come strumento pratico, per i costruttori, gli agrimensori, per regolare la semina e le feste religiose, le previsioni del futuro, ecc, insomma come forza produttiva; mentre in Grecia divenne strumento di speculazione sulla natura del mondo, che portò ad una netta separazione tra l’osservazione empirica e il pensiero astratto protrattosi fino ai giorni nostri. Spesso nel processo storico della conoscenza scientifica, non si riusciva ad andar oltre, con i mezzi e le conoscenze a disposizione, in un particolare campo scientifico, allora si dichiarava raggiunto il limite alla conoscenza in quel determinato campo; e la divisione del lavoro, la specializzazione degli scienziati nelle varie scienze positive, evitava la visione del quadro d’insieme agli stessi scienziati. In quanto rimanevano sconosciuti i nessi reali del processo della conoscenza, la scienza rimaneva una forma particolare di coscienza sociale, dunque un tipo di coscienza ideologico, nel senso del termine che gli davano Marx ed Engels (12); di conseguenza la scienza non ha sempre sostenuto chiaramente la possibilità di una conoscenza che formasse una concezione del mondo coerente ed obbiettiva, concezione del mondo che invece nella filosofia greca era presente come obbiettivo della ricerca conoscitiva, sebbene la filosofia greca, pur interpretando l’universo come un tutto, sfuggiva alla definizione moderna di scienza per diversi motivi; già abbiamo detto che era un’indagine totale della natura e dell’uomo e non vi erano differenze tra scienze particolari, ma oltre a ciò non si può parlare nel caso della filosofia greca come scienza in quanto forza produttiva, come è avvenuto in tempi moderni e in maniera chiara con l’ascesa della classe borghese e la sua produzione industriale e capitalistica; classe che, con il suo dominio sulla vita materiale e culturale della società, nel momento storico in cui perde il suo slancio rivoluzionario e inizia la sua involuzione imperialista, rinuncia alla trasformazione positiva del mondo da parte dell’uomo, frenando lo sviluppo della scienza o declassandola a mero strumento degli interessi del capitale invece che dell’uomo.
La nuova rivoluzione scientifica consiste dunque in una nuova riorganizzazione dell’effettiva conoscenza del mondo: dopo l’indagine totale dell’epoca greca, dopo lo sviluppo delle scienze positive, ci sia avvia ad una conoscenza scientifica del mondo in senso effettivo, in cui la storicamente necessaria e progressiva divisione del lavoro nelle scienze avuta dal Rinascimento fino ad oggi, si risolva in una mentalità comune, di metodo, che affermi la necessità di un collegamento tra le varie scienze, di una discussione comune sui problemi comuni delle singole discipline; ma occorre soprattutto che ogni singola scienza si inserisca “consapevolmente” nel processo sociale e storico della conoscenza, poiché un nuovo salto di qualità in questo processo è possibile solo superando la ristrettezza dell’esperimento individuale o puramente motivato da logiche industriali, di mercato o di solo interesse pratico di breve periodo. La necessità di specializzazione che ha portato alla divisione del lavoro nelle scienze dal Rinascimento in poi, va ulteriormente crescendo con il progresso del processo conoscitivo. Dunque ad un singolo scienziato si chiede un periodo sempre più lungo di formazione in cui egli prende visione di tutto il progresso storico che lo ha preceduto nel settore in cui intende specializzarsi. Rimangono allora poco tempo e risorse fisiche e mentali per occuparsi dello studio generale degli altri settori, e ciò vale per lo scienziato così come per gli altri lavoratori. Si prospetta allora uno sviluppo quantitativo nel numero di individui che si occupino di ricerca scientifica concreta; per questo è necessario un nuovo corso politico, una nuova riorganizzazione dei rapporti di produzione per un nuovo sviluppo delle forze produttive. In particolare occorre elevare il livello culturale di tutta la popolazione, cosa impossibile con l’attuale divisione del lavoro della società in generale – mentre finora abbiamo menzionato la divisione del lavoro nella fattispecie della ricerca scientifica – che inchioda gli individui ad una specifica professione per tutta la vita, con orari di lavoro che incidono pesantemente sull’attività quotidiana e che scoraggiano spesso anche le più semplici attività intellettuali; così come è necessario uno stimolo all’attività culturale e scientifica fin dall’infanzia, cosa che manca nella società di tipo capitalistico.
La scienza deve quindi divenire attività pratica sociale, questo nella futura società comunista, quando la nuova rivoluzione scientifica sarà completata in una comune “weltanschauung” e una comune coscienza “obbiettiva” del processo di conoscenza, non più quindi coscienza di tipo ideologico, ovvero parziale, classista e supposta come coscienza indipendente dallo sviluppo materiale della società. Ciò non comporterà benefici meramente pratici, ma come dice Sereni, significherà una vera e propria conquista gnoseologica, in quanto la scienza diverrà pratica umana associata e cosciente, ove l’attività di tutti gli individui sia riunita in una concezione del mondo finalmente unitaria e coerente che ponga come base “l’infinita capacità di conoscenza obbiettiva dell’umanità associata” (13).
Per cui, in definitiva, per il marxismo la scienza deve: prender coscienza del carattere dialettico del processo conoscitivo e dell’indissolubilità della teoria dalla pratica; prender coscienza del suo carattere sociale; dunque prender coscienza della possibilità di una conoscenza valida del mondo, trasformandolo; prender coscienza anche del fatto che i limiti imposti alla conoscenza sono solamente limiti storici dettati dai mezzi, dalle conoscenze e dal modo di pensare; quindi assumere una chiara coscienza materialista in contrasto con l’idealismo e l’agnosticismo che impediscono o rallentano una conoscenza obbiettiva del mondo; quindi, in breve, il processo della conoscenza da processo ideologico deve diventare processo cosciente ed obbiettivo, scientifico nel senso proprio della parola.

III

Il metodo dialettico marxista e la sua origine hegeliana
L’origine del metodo dialettico

Sgrò-Colletti e Morganti centralizzano le loro accuse a Engels e Stalin sull’origine della dialettica marxista. La critica comune afferma che il marxismo avrebbe dovuto accorgersi del pericolo di contagio del contenuto della dialettica hegeliana da parte della forma idealistica datagli da Hegel.
Non avendo letto Hegel non posso dire con certezza quale sia stato il processo che lo portò alla definizione del suo sistema filosofico, tuttavia penso di poter escludere che sia partito da un metodo dialettico già razionale per poi avvolgerlo in un sistema forzatamente idealistico. In quest’ultimo caso avrebbero ragione Colletti e Morganti, soprattutto in merito alla diatriba forma/contenuto, poiché il sistema idealistico avrebbe effettivamente contagiato i princìpi su cui si basa il metodo dialettico contenuto in esso, ma a mio parere porre la questione in questi termini è fuorviante, come dire che il feto viene “contagiato” dal patrimonio genetico della madre. Di solito Il nuovo nasce dal vecchio, non vi viene inserito. E’ a mio avviso più probabile che questo contenuto dialettico rivoluzionario si sia man mano sviluppato in seno al suo sistema filosofico idealistico come risultato dell’osservazione dello svolgimento della Storia - ma anche della natura, p.es. Hegel vide nella chimica la trasformazione della quantità in qualità e viceversa - e che abbia compiuto delle involontarie e non ben comprese scoperte soffocate dall’idealismo del sistema, il quale doveva pur giungere a un compimento, ad una verità assoluta nascondendo il vero significato del metodo dialettico, critico e rivoluzionario per essenza, secondo Marx; tuttavia Engels astrae le leggi della dialettica tanto dalla storia della società umana che da quella della natura, pur senza nascondere che le tre leggi fondamentali sono state sviluppate da Hegel come pure leggi del pensiero – ma, “chi del resto conosce, anche solo un poco, il suo Hegel, sa pure che Hegel, in centinaia di passi, trae le prove più convincenti per le leggi dialettiche dalla natura e dalla storia” (Engels, Dialettica della natura) – eppure si dedica tra il 1872 e il 1882 a scrivere una dialettica della natura nella quale esporre tutte le leggi dialettiche rintracciabili nello sviluppo di essa, e che siano dimostrate valide anche per la ricerca scientifica teorica. Tale opera non verrà purtroppo mai completata da Engels, e i relativi manoscritti preparatori verranno pubblicati dall’istituto Marx-Engels-Lenin di Mosca solo nel 1927 dopo esser stati occultati da Bernstein, il teorico del revisionismo, per ben 30 anni. In questo suo scritto oltre a sferrare continui attacchi alle concezioni metafisiche degli scienziati della sua epoca (ma il discorso vale purtroppo anche per la nostra) pur giustificate dalle circostanze storiche, e a lodare la filosofia per il suo costante impegno a pensare da sé, lasciando le giustificazioni di dettaglio alla scienza, Engels segue un’esposizione fedelmente materialista, dando quindi grande priorità alla ricerca scientifica dei fatti che forniscano i princìpi generali per la dialettica, piuttosto che seguire a ruota libera il puro pensiero teoretico, a dispetto di quel che ne dice Colletti; tale pensiero dialettico già nell’antica Grecia e nella modernità, soprattutto nella persona di Hegel raggiunge una grande quantità di geniali intuizioni, che Engels non manca certo di sottolineare anche per contrapporle alle concezioni metafisiche della scienza sebbene portasse regolarmente a conclusioni assurde e forzate; il pensiero di Hegel porta già in sé quel metodo dialettico che porta a concepire la natura, la storia non come un ammasso casuale di fenomeni, bensì come insieme di processi correlati e interdipendenti, e serve a mostrare di ogni cosa il suo lato caduco e il suo divenire, ed è precisamente questo che interessa Marx ed Engels.(14) Ma anche in altri scritti Engels sottolinea l’origine scientifica della moderna dialettica (materialista), per esempio nell’introduzione dell’Antiduhring, dove si rileva che i marxisti non devono costruire le leggi dialettiche introducendole nella natura, ma di rintracciare le leggi della dialettica nella natura e svilupparle da essa; e nello stesso Ludwig Feuerbach non manca di elencare le scoperte che hanno fatto la storia della scienza poiché hanno permesso di scoprire i nessi esistenti fra le varie materie, che tramutarono l’intera scienza della natura da scienza empirica a scienza teorica, e che quindi potevano fornire un quadro complessivo della natura come insieme di processi, e dunque una natura vivente una propria storia, il che era per esempio negato da Hegel, il quale concedeva alla natura uno svolgimento solo nello spazio ma non nel tempo.
Ma alla fine del discorso, ovviamente si dirà che un conto è proclamare il metodo, altra cosa è saperlo applicare coerentemente. Engels era ben conscio di questo e nel “Ludwig Feuerbach” affermò:

…Ma riconoscerla (la dialettica, nda) a parole e applicarla concretamente, nella realtà, in ogni campo che è oggetto di indagine, sono due cose diverse. Se però nelle ricerche si parte continuamente da questo modo di vedere, allora finisce una volta per sempre l’esigenza di soluzioni definitive e di verità eterne; si è sempre coscienti che ogni conoscenza acquisita è necessariamente limitata, è condizionata dalle circostanza in cui la si è acquisita(…)”

E mi pare che tutto ciò dica più di mille parole, sul metodo, sulla sua validità, su quelle che poi furono le accuse alla scienza sovietica, mi pare che risponda perfettamente alle critiche di Colletti e ci faccia ben capire come siano traballanti le argomentazioni costruite contro Engels per farlo sembrare uno scienziato dilettante e incompetente al punto di corrompere il pensiero marxista con le sue ingenuità filosofiche e scientifiche.

Il metodo dialettico marxista

Supponendo comunque che il sistema (forma) abbia contagiato il metodo (contenuto), esso presenta i seguenti tratti caratteristici:
  • Esso indaga le cose nella loro essenza, senza fermarsi all’apparenza del fenomeno e cercandone la contestualizzazione nel complesso dei rapporti con gli altri fenomeni che lo circondano, poiché il fenomeno avulso dalle condizioni che lo circondano può diventare incomprensibile nella sua essenza. 
  • Per tale metodo dunque è importante trovare i nessi reali nello svolgimento delle cose piuttosto che affibbiargli dei nessi ideali. 
  • Per tale metodo è importante trovare la legge che governi i fenomeni e soprattutto la legge del loro svolgimento, della loro mutazione, poiché concepisce le cose del mondo come dei processi invece che supporle come entità compiute ed immutabili. 
  • Per tale metodo anche le categorie di pensiero rigide e schematiche sono insufficienti alla comprensione reale dei fatti. In opposizione al principio di non contraddittorietà esso permette di vedere in ogni cosa che noi intendiamo come vero il suo lato falso, così come in ciò che affermiamo essere necessario la sua casualità, oppure ci dice che la quantità può trasformarsi in qualità e viceversa o che un corpo in equilibrio possa essere allo stesso tempo in movimento, o ancora che ciò che è causa può divenire effetto e viceversa. Tale metodo ammette quindi la contraddizione e ricava da essa la forza motrice dello sviluppo.
  • Il metodo dialettico è un metodo storico: concepisce un’idea come adeguata o meno al suo tempo piuttosto che dichiararla idealisticamente “giusta” o “sbagliata” secondo dei supposti princìpi di giustizia eterna o divina. Ricerca nelle cose il “nuovo” che si sviluppa dal “vecchio”. 
Questo è dunque il metodo dialettico che si presume sia stato contagiato dalla forma idealistica del sistema hegeliano. Vedremo nel prossimo capitolo di confutare questa tesi applicando lo stesso metodo criticato da Sgrò-Colletti e Morganti.

IV
Critiche di Morganti

Proseguiamo dunque la nostra trattazione con l’analisi della critica di Morganti allo scritto di Stalin, poiché è interessante vedere come i critici speculino su questioni filosofiche per attaccare il socialismo sovietico. Cogliamo quindi l’occasione per mettere in pratica il metodo dialettico esposto nei precedenti capitoli e difendere la “weltanschauung” materialistico-dialettica. 
Cito dall’intervento di Morganti sul forum “Scintillarossa”:

“«Infatti, Marx ed Engels hanno preso dalla dialettica di Hegel solo il suo «nucleo razionale», gettando via la corteccia idealistica hegeliana e sviluppando la dialettica per imprimerle un carattere scientifico moderno » (STALIN). Qui c’è qualcosa che non quadra con il metodo dialettico ma STALIN sembra non accorgersene come dimostra in particolare l’uso del verbo “sviluppando”. Cosa vuol dire estrarre dalla dialettica hegeliana il nocciolo razionale per gettare alle ortiche la ganga mistica (il sistema speculativo hegeliano)? E’ corretto affermare che Marx-Engels sviluppano il nocciolo razionale? È meglio dire che trasformano il nocciolo razionale…

Morganti si concentra sulle parole usate da Stalin, in maniera molto pedante, poiché appare molto forzato sostenere che con l’utilizzo della parola “sviluppo” al posto di “trasformazione” si sia dato il via ad un occultamento dell’origine reale della dialettica marxista, tanto da assopire e ingannare i comunisti sovietici:
Pensiamo a cosa ha significato nella storia del pensiero il concetto di “sviluppo”: non serve essere particolarmente ferrati per comprendere che l’idea di sviluppo nasconde surrettiziamente il progresso inteso come “processo lineare di movimento da un inizio ad una fine”; esattamente il contrario del processo dialettico, anzi è proprio un concetto pre-dialettico quello di sviluppo-progresso, perché non prevede rotture-salti qualitativi (cambiamenti di terreno) e anche quando li introduce, sono posizionati in linea di continuità con i momenti precedenti, le opposizioni inconciliabili qui si conciliano benissimo, tutto procede linearmente e al diavolo le contraddizioni insanabili che – una volta risolte – daranno luogo ad un “oggetto” superiore. Attenzione perché qui siamo posizionati in uno dei terreni più scivolosi del marxismo, presentarlo come sviluppo-evoluzione significa renderlo “neutro” rispetto a tutto quello che lo precede(…); non è un caso che un critico del marxismo come teoria dell’evoluzione (questa volta a vantaggio del proletariato) come Walter Benjamin abbia fatto notare come questo genere di marxismo sia stato un tentativo (vano per definizione) di far assumere alle masse proletarie l’idea di progresso, idea (anzi ideologia!) tanto cara ai padroni, che sono ben felici di navigare sicuri nel verso della corrente; mentre Lenin ci ha sempre ammonito sul nostro compito principale: remare contro-corrente.”

a) Per prima cosa, dobbiamo dire che se il pensiero pre-dialettico non ammette salti improvvisi, la dialettica invece non esclude affatto il concetto di sviluppo graduale, ammette sia l’evoluzione che la rivoluzione e il loro rapporto dialettico, come passaggio dalla quantità alla qualità, il che significa che una lenta evoluzione può improvvisamente portare a un punto di rottura, quindi un salto qualitativo.

b) La parola “sviluppo” viene spesso usata da Marx e da Engels, perlomeno nelle traduzioni italiane di diverse loro opere.

c) Il concetto di “sviluppo” può si far pensare a un progresso lineare da un inizio ad una fine, ma non credo sia giusto affermare che escluda in ogni caso il cambiamento improvviso. Applicare la parola “sviluppo” all’operazione effettuata dai filosofi padri del comunismo scientifico, per di più in un’opera divulgativa, prende un significato diverso da quello del concetto di movimento materiale – ovvero il movimento della natura, della società, del pensiero. Sostituire la parola “trasformazione” a “sviluppo” non cambia di molto le cose, visto che trasformare significa “cambiare forma”; “sviluppare” significa disfare, sciogliere un viluppo, svolgere, districare ciò che è avviluppato; 

d) La rivoluzione non risolve ogni tipo di contraddizione, e sicuramente una rivoluzione politica non basta per passare alla società comunista. Pensiamo solamente al necessario sviluppo delle forze produttive tale da garantire la distribuzione dei prodotti secondo i bisogni. Avrebbe forse senso parlare di “rivoluzione delle forze produttive”? Per costruire una società comunista non c’è forse bisogno di un grande aumento della produttività nell’industria e nell’agricoltura tale da poter assicurare la riproduzione allargata, quindi il soddisfacimento dei sempre crescenti bisogni della società? C’è bisogno quindi di uno sviluppo quantitativo per arrivare ad un salto qualitativo nelle condizioni di vita delle persone. Pensiamo anche alla funzione dello stato. Non dice forse Engels che lo stato non si abbatte ma si estingue perché perde sempre più le funzioni per le quali si è sviluppato? Questo gradualismo è forse antidialettico? Il ragionamento del Morganti portato sul piano pratico ci porta a pensare che secondo lui il passaggio dal socialismo al comunismo deve avvenire necessariamente attraverso nuove rivoluzioni, per essere considerato dialettico, o come sarebbe più corretto dire, perché lo vuole la dialettica stessa. Non solo. Per Morganti evidentemente il comunismo si dovrebbe “imporre” con un atto di rottura, sebbene egli non lo caratterizzi, non dicendo quindi se si tratti di un processo puramente politico o economico o le due cose allo stesso tempo.
Di quali contraddizioni inconciliabili parla poi Morganti? Forse di quelle tra proletariato e borghesia? Ma una volta concentrati i principali mezzi di produzione (in epoca staliniana rimaneva la proprietà colcosiana in agricoltura, che ancora non era di tutto il popolo), la contraddizione economica principale del capitalismo tra il carattere sociale della produzione e la proprietà privata dei mezzi di produzione era tolta di mezzo. Forse contraddizioni inconciliabili tra operai e contadini? Tale contraddizione fu superata già in sede teorica e anche pratica da Lenin, poiché a differenza di quel che sostenevano trotzkisti, menscevichi ecc. non erano contraddizioni inconciliabili. Egli lascia intendere che Stalin abbia “neutralizzato” (stessa espressione usata da Costanzo Preve) il marxismo come scienza della rivoluzione, quindi interrompendo o escludendo una rivoluzione che portasse direttamente al comunismo. Perché solo due possibilità ci sono, a rigor di logica, o un graduale passaggio al comunismo, o una sua imposizione per mezzo di un nuovo movimento rivoluzionario.

“…come se il marxismo non fosse invece la scienza della rivoluzione (e le rivoluzioni non si fanno certo in continuità, sviluppando il passato, si portano a termine distruggendo il passato casomai)”

E’ molto riduttivo definire il marxismo come scienza della rivoluzione, come se suo oggetto di studio non fossero anche i periodi di sviluppo armonioso, come se la rivoluzione non fosse un momento particolare del progresso dove l’accumulazione di tensioni sfocia nella rottura, dove la quantità si traduce in qualità…e viceversa, non dimentichiamolo, poiché vuol dire che dopo la rottura, il salto, la rivoluzione quindi, essa darà corso a uno sviluppo quantitativo, graduale, così come per fare un esempio concreto, dopo l’Ottobre la rivoluzione ha dato spazio ad una grande crescita economica (nonché culturale) prima preclusa ai popoli dell’impero zarista. Questo passo è paradigmatico della concezione ideologica di Morganti, estremista e soggettivista. (15)
L’applicazione meccanica della legge dialettica del salto qualitativo per mezzo di rotture od esplosioni porta, come estrema conseguenza, alla negazione della stessa società comunista; precisamente, Morganti non dice affatto questo, mi si obietterà, ma sapendo egli che nella società comunista viene a mancare l’azione di tale legge poiché non esistono più classi ostili, Morganti può quindi certamente comprendere come non si possa pretendere che tale legge in ambito sociale sia eterna e applicabile arbitrariamente anche al periodo di transizione socialista, mentre ovviamente essa si presenta nel periodo capitalista. 

…forse molti avranno sentito parlare della dialettica forma/contenuto (….), ebbene, STALIN non la coglie e si affida al senso letterale delle parole di Marx, che però ha usato quella metafora proprio per farci saltare sulla sedia in modo da dovergli prestare attenzione...”.

Perché giocare con le metafore mi chiedo io. Se la questione è di vitale importanza Marx avrebbe dovuto parlare chiaramente e non lasciare indovinelli o piccole trappole intellettuali correttamente interpretabili solo da Morganti.

“…STALIN quindi è ben felice di operare nel senso della corrente, navigare contro-corrente sarebbe stato offrire alle masse la conoscenza per sovvertire la propria cricca.”

Da un piccola questione filologica come quella dello “sviluppo” invece che della “trasformazione” della dialettica hegeliana, che tra l’altro si sarebbe dovuta porre nel 1938 anno di pubblicazione del testo incriminato, quindi ben dopo la formazione della cricca staliniana, il Morganti crea una possente arma di distrazione di massa che ha cambiato la storia, o meglio, ha impedito di cambiare la storia. Ridicolo. 

“…La dialettica forma/contenuto appunto. Il sistema speculativo (idealistico) hegeliano (l’involucro) ha contagiato-plasmato il nocciolo (contenuto razionale, la dialettica) ed ora questa è inservibile così com’è, è piena di vizi-capricci mistici-dialettici-teologici; abbiamo il nuovo involucro materialista (anguria) ma ci troviamo in mano il vecchio nocciolo (la dialettica hegeliana) della pesca; forma e contenuto non si incontrano, il solo modo è trasformare anche la dialettica per avere in mano una dialettica quasi totalmente nuova(…)”.

Tale accusa si basa sulla stessa tesi di Lucio Colletti circa l’applicazione meccanica della dialettica hegeliana da parte di Engels, e come Colletti (sempre stando alle citazioni riportate da Sgrò) non ci dice in che modo e quanto la forma “mistificata” abbia contagiato le tre leggi fondamentali della dialettica, che sono spiegate in forma divulgativa da Stalin, ma che sono state enunciate prima da Engels, pertanto a quest’ultimo andrebbe fatta risalire il presunto errore interpretativo, come più seriamente cerca di fare Colletti. Per intenderci, se non l’ha capito Stalin, che la dialettica hegeliana non andava presa così com’era tolta dall’involucro idealista, non l’ha capito neanche Engels molti anni prima.
Si è detto già prima che la parola usata da Morganti non cambia di molto la questione, dato che abbiamo in esame un’opera divulgativa, sebbene scientifica nella forma e nei contenuti; se tuttavia vogliamo entrare in questo gioco con Morganti, dobbiamo dire che “trasformare” significa proprio cambiare forma, e se al contenuto noi cambiamo solamente forma facciamo esattamente quello di cui si lamenta. Oppure possiamo cambiare forma/involucro una seconda volta al contenuto, dopo aver gettato via già una volta il rivestimento? Ma il problema, a ben vedere, è un altro. Non è nella correttezza della terminologia utilizzata. Se infatti Marx avesse avuto bisogno di una nuova dialettica, ne avrebbe costruita una lui, o meglio, essendo materialista ne avrebbe rintracciato i princìpi dallo studio della natura, della società e del pensiero, senza minimamente interessarsi di citare Hegel sulla questione. Ma a quanto pare, la dialettica hegeliana presa così com’era poteva andare bene, a patto di ristabilire il primato della materia sul pensiero, operando così un capovolgimento. Evidentemente, se Marx diceva che Hegel aveva distesamente e consapevolmente esposto per primo le forme generali di movimento della dialettica, egli non vedeva un inquinamento tale da dover riscrivere la dialettica anche solamente “quasi” da capo. Pertanto quello a cui mirano Colletti e Morganti non è tanto una legittima critica sull’origine del metodo dialettico marxista, è proprio il metodo di Marx che a loro non va giù, dato che per loro il rivestimento aveva ormai irrimediabilmente compromesso il contenuto.

V
Correttezza scientifica della definizione 
“Materialismo dialettico”

Come ultima questione, finiamo con Morganti, dato che avevo promesso di ritornare su di una sua critica alla definizione della filosofia marxista, il materialismo dialettico.
Citiamo Morganti, sempre dalla stessa discussione su “Scintillarossa” (16):

...in STALIN si dice che il materialismo è dialettico, come se la materia potesse svilupparsi in altro modo che non dialetticamente, è una tautologia intesa in questo la locuzione “ materialismo dialettico”, perché la materia è già dall’inizio dialettica.” 

Presa nota dell’insistenza di Morganti sul povero Stalin – ma Morganti sa benissimo che già Lenin parlava di materialismo dialettico, e anche Engels – vediamo di controbattere agli ingenui attacchi morgantiani. Affermare che il materialismo sia dialettico non significa incorrere in una tautologia, come sostiene Morganti, poiché innanzitutto noi sappiamo che il movimento della materia è dialettico da Marx ed Engels in poi, mentre il materialismo meccanicista del XVIII secolo non aveva ancora sviluppato una concezione dialettica dello sviluppo materiale, e credo che questo valga anche oggi per molti di coloro che affermano la priorità della natura sullo spirito. Poiché il materialismo è semplicemente questo, affermare l’esistenza oggettiva dell’ambiente esterno a noi, indipendentemente da noi, affermare la natura, l’essere, ciò che è fisico come dato primo e la coscienza, la sensazione, lo psichico come dato secondario. Affermare questo vuol dire essere materialisti, ma ancora non si è detto nulla su come si concepisce il movimento, lo sviluppo della realtà intorno a noi, su quale metodo si adotti per la ricerca conoscitiva. Il materialismo dialettico si distingue da quello “classico”, meccanicista, perché ammette anche il ruolo del soggetto, dell’attività pratica dell’uomo sulla natura, mentre quello meccanicista si limitava a riflettere nel pensiero la realtà obbiettiva come un oggetto su cui l’uomo non ha nessuna influenza. Se per esempio noi diciamo che la coscienza dell’uomo si spiega con il suo essere, allora siamo materialisti; ma se diciamo che la sua coscienza, sorta dalle sue condizioni di vita, a un certo grado di sviluppo può cambiare il suo essere, allora siamo materialisti dialettici. 

Engels pone l’accento sul fatto che questa dialettica è materialistica, che l’essere dialettico è attributo-predicato essenziale della materia stessa...

L’attributo-predicato non è contenuto già nel soggetto, poiché la materia e l’esser dialettico sono due concetti diversi; sia ben chiaro che non voglio qui separare la materia dall’esser dialettico, non ha ovviamente senso interrogarci se la materia avrebbe potuto non essere dialettica, possiamo concepire la materia solo nel suo movimento nello spazio e nel tempo, e all’infuori di ciò sconfiniamo nella metafisica. Tuttavia noi definiamo materia (il nostro soggetto) semplicemente tutto ciò che è oggettivo, indipendente da noi e dalla nostra coscienza, e di questo oggettivo noi diciamo che è dialettico (predicato attributo). Pertanto non vi è nessuna tautologia nel dire che la materia è dialettica; così come a maggior ragione non vi è tautologia nell’affermare che il materialismo è dialettico, poiché il materialismo è una teoria filosofica indipendente nel suo sviluppo storico dalla dialettica, ed Hegel ne è una prova, così come i materialisti meccanicisti che osservavano le cose, i fenomeni così come si presentavano all’apparenza, in forma statica poiché nella maggioranza delle scienze naturali l’oggetto di studio era inconcepibile in apparenza come processo. Come potevamo sapere noi a priori che la natura fosse dialettica, e non per mezzo di un lungo processo conoscitivo durante secoli e secoli? Lo stesso processo conoscitivo è dialettico per sua natura, quindi non si può concepire la conoscenza come data già pronta e definitiva. 

Il termine “materialismo dialettico” è di dubbia correttezza teorica. (…) In sostanza la giusta accusa teorica rivolta alla locuzione si rifà alla terminologia engelsiana (dialettica materialistica) dove al centro del concetto stanno le tesi materialistiche, e dove il metodo dialettico è secondo-derivato...

La nuova filosofia, per far contento Morganti, avrebbe potuto chiamarsi dialettica materialistica, ma dato che egli cita Engels, ricordiamo che il filosofo tedesco, nel Ludwig Feuerbach, indicava l’idealismo e il materialismo come le due correnti fondamentali della filosofia. Coerentemente a ciò, la nuova filosofia, che rientrava nel campo del materialismo, doveva per forza di cose chiamarsi “materialismo dialettico” essendo appunto un tipo particolare di filosofia materialista, che si distingueva per il suo attributo dialettico. Richiamare la materia nella sua definizione, se siamo d’accordo che la sua definizione è l’estrema sintesi del suo contenuto, era obbligatorio, e infatti nessuno si rifiuta di parlare di “dialettica materialista” – lo fa anche Stalin per la gioia di Morganti – poiché tale formula è corretta tanto quanto quella invisa a Morganti. Ma la dialettica non è un campo fondamentale della filosofia.
Ma osserviamo bene ciò che dice Morganti. Egli dice prima che “l’essere dialettico è attributo-predicato essenziale della materia stessa” (e implicitamente vuole che si parli di dialettica materialistica), e poi che “il metodo dialettico è secondo-derivato” mentre “al centro del concetto stanno le tesi materialistiche”….nel primo caso, l’abbiamo già visto, la materia è il soggetto, e l’essere dialettico l’attributo-predicato. Quindi logica vuole che si parli di materia dialettica!! Ma no, risponde Morganti, perché “materia dialettica” è una tautologia – cosa falsa come abbiamo visto sopra – invece se noi sosteniamo tesi materialistiche il metodo dialettico è secondo-derivato da queste, non ripetiamo nel predicato niente che sia contenuto nel soggetto. Per forza, dico io, se mi parli di tesi e di metodo derivato…ma come hai ricavato il metodo dalle tesi materialistiche puoi anche scoprire la dialettica nella materia. No, prosegue Morganti, perché la materia è già dall’inizio dialettica, è attributo-predicato essenziale, mentre le tesi non suppongono fin dall’inizio il metodo dialettico. Dunque, dice Morganti: la dialettica può essere materialista oppure no, la materia può solo essere dialettica. E chi gli da torto su questo. Ma come egli giustamente distingue tra i concetti di tesi e metodo, il secondo derivato dalle prime, e i concetti di materia e dialettica, la seconda indissolubile dalla prima, potrebbe benissimo farla anche tra i concetti di materia e dialettica e i concetti di materialismo e dialettico, dato che il materialismo può essere dialettico oppure no, e viceversa. Insomma dicendo che “al centro del concetto stanno le tesi materialistiche, e dove il metodo dialettico è secondo-derivato..” Morganti ci fornisce involontariamente egli stesso una prova della correttezza della definizione da lui messa in dubbio.

Interessante sarebbe ritornare alla tesi di Lenin secondo cui il termine “materialismo dialettico” è il sinonimo di “materialismo scientifico”, allora in questo caso il movimento dialettico della materia impone che la scienza che lo studia sia anch’essa dialettica.”

Non conosco l’affermazione di Lenin riportata da Morganti, ma credo che il termine “materialismo scientifico” sia effettivamente sinonimo di “materialismo dialettico”, poiché quest’ultimo è certamente scientifico, in contrapposizione al materialismo meccanicista limitato ad un’analisi superficiale ed antropomorfa della realtà, in quanto non poteva concepire quei nessi dialettici che costituiscono il complessivo della materia, applicando al pensiero la rigidità schematica propria di quella scienza che indagava i fenomeni meglio analizzabili direttamente, la meccanica classica; materialismo meccanicista che applicava le sue concezioni anche alle altre scienze particolari, le quali necessitano di un modo diverso di concepire i fenomeni, poiché retti da leggi qualitativamente diverse. Un materialismo sostanzialmente descrittivo e non esplicativo, non dialettico, che non concepiva la realtà delle cose nel loro movimento, come processi, e che non poteva intendere l’importanza del soggetto e della sua attività pratica nel processo della conoscenza, non poteva esser definito scientifico, come nel caso del materialismo di tipo dialettico.
Engels definiva la dialettica “la scienza dei rapporti in opposizione alla metafisica”. Una scienza del movimento dialettico della materia dunque. Non occorre qui ripetere quello che abbiamo già detto sull’assorbimento del pensiero dialettico da parte di tutte le scienze, ricordiamo solo che è uno dei princìpi del materialismo dialettico. Morganti non ci dice nulla che non sappiamo già e che non sia stato contraddetto dai filosofi sovietici come Zdanov, staliniano. 
Dialettica come scienza generale dell’evoluzione della natura, della società e del pensiero, dialettica come metodo di indagine da affiancare al metodo scientifico tradizionale, materialismo come una delle due tendenze fondamentali del pensiero filosofico (Engels) da cui derivano le diverse sfumature e correnti; per questo, per il fatto che, almeno seguendo Engels , esistono due “famiglie” fondamentali di tendenze filosofiche, quelle del materialismo e dell’idealismo, ha più senso parlare di materialismo dialettico che non di dialettica materialista, dovendo dare un nome proprio alla filosofia marxista, ciò non ostante il fatto che anche il termine “dialettica materialista” venga utilizzato in alcuni scritti da Stalin, quindi come prima necessità della nuova filosofia vi è il bisogno di potersi distinguere dalle precedenti teorie appartenenti allo stesso campo filosofico;
Detto ciò è probabilmente un problema di poco conto chiedersi se sia più corretto chiamare il materialismo dialettico o chiamare la dialettica materialistica, come se guardando la questione da due lati diversi portasse a risultati incoerenti. Se può interessare a Morganti, i sovietici hanno ingegnosamente liquidato la questione coniando la parola “diamat”, abbreviazione di “dialektičeskij materializm” rendendo indissolubili i due termini come è giusto che sia.

Conclusioni

In chiusura riassumiamo brevemente gli argomenti trattati:
  1. Secondo il parere di Sgrò-Colletti, Engels, filosofo dilettante, avrebbe preso la dialettica di puri pensieri di Hegel, e l’avrebbe applicata, senza risanarla, alla realtà delle cose. Ma un’attenta lettura dei suoi scritti dimostra che non è affatto così. La moderna dialettica, per Engels, viene fuori dal processo storico della conoscenza dell’uomo sulla realtà circostante, sia per quanto riguarda l’evoluzione della natura e della società umana che per lo stesso pensiero. 
  2. Il tema dell’applicazione meccanica della dialettica hegeliana viene ripreso da Matteo Morganti spostando l’attenzione da Engels su Stalin. In questo caso la polemica è anche più tendenziosa, Morganti vorrebbe dimostrare con l’analisi pedante di una piccola questione filologica le sue grottesche teorie anti staliniane (ma quindi anche antileniniste, antimarxiste) su di una fantomatica rivoluzione tradita per interesse di “casta”. Anche nel caso di Sgrò-Colletti certamente si tenta di colpire il marxismo intero, facendo leva sulla sua espressione filosofica dopo Marx, ma questo appare un tentativo più raffinato, poiché è coperto dall’intenzione di effettuare una pura critica filosofica all’interpretazione della dialettica di Hegel che ne ha dato Engels, evitando di cadere in ridicole contraddizioni come Morganti, che nel tentativo persecutorio di confutare lo “stalinismo”, il suo chiodo fisso, si dimentica anche (o forse non sa) che le sue stesse identiche accuse mosse a Stalin riguardo al come si doveva trattare la dialettica hegeliana, vennero mosse precedentemente da Colletti a Engels, quest’ultimo non citato da Morganti. 
  3. La concezione del mondo marxista viene bollata come antiscientifica poiché non sono stati ben compresi i contenuti rivoluzionari della filosofia marxista come filosofia dialettica che nega la possibilità di qualsiasi immagine o descrizione definitiva di un mondo che per sua natura non è finito, e come filosofia che comprende il ruolo dell’azione, dell’attività pratica dell’uomo sulla natura come processo della conoscenza stessa. 
  4. Per Sgrò quindi, ma anche per Costanzo Preve, i quali si basano sulle critiche al marxismo di Lucio Colletti, il marxismo avrebbe dovuto limitarsi ad offrire un’analisi scientifica del modo di produzione capitalistico e una concezione della storia in base all’analisi della moderna società borghese, evitando l’elaborazione una concezione generale del mondo, che potesse quindi rimettere la filosofia al di sopra delle scienze. Ma è chiaro che senza il metodo dialettico tutta la teoria marxista e non solo le presunte risistemazioni e revisionismi vari di Engels e Lenin, non sarebbe mai sorta. Marx non avrebbe nemmeno mai scritto la sua opera magna, Il Capitale, senza un metodo di analisi e ricerca scientifica che potesse andare oltre l’apparenza, ma nell’intimo dei fenomeni, il metodo dialettico che già aveva sviluppato Georg Hegel, una volta liberatolo dalla sua corteccia idealistica che lo ingabbiava e portava a misere conclusioni politiche conservatrici. 
«Far derivare lo sviluppo della società da una contraddizione ad essa immanente significava aver applicato il metodo dialettico hegeliano nella sua “forma razionale” e non “mistificata” di Hegel» (Eugenio Sbardella, Introduzione a “Il Capitale di K.Marx)

In conclusione, credo di essere nel giusto se affermo che i tentativi, presi qui in esame, di confutazione del marxismo come dottrina scientifica, nel senso più conseguente del termine, sono fallaci, basati su falsa coscienza o su di una conoscenza incompleta dell’oggetto di critica, e destinati a esser a loro volta confutati, e questo per le ragioni che abbiamo visto precedentemente. Gli autori che abbiamo trattato si collocano su piani temporali nonché politici diversi; Colletti, un tempo militante del PCI, completa il suo passaggio, la sua involuzione ideologica fino all’anticomunismo craxiano – massonico di Silvio Berlusconi, e scompare dieci anni dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Le citazioni riportate da Colletti provengono da un libro pubblicato nel 1969, pochi anni dopo l’uscita dal PCI, ma ancora molti anni prima della totale abiura del comunismo. Morganti è un ultrasinistro senza un grande contesto politico, ma le sue critiche, provenendo “da sinistra”, possono comunque generare confusione senza per questo avere dietro di sé una storia politica o un partito importante, soprattutto in un momento come questo in cui il capitalismo vive una crisi di proporzioni gigantesche, la cui risoluzione potrebbe essere similare alle prime grandi crisi dell’epoca imperialista, che come sappiamo hanno purtroppo portato a due guerre mondiali, ma anche alla Rivoluzione d’Ottobre e all’edificazione vittoriosa del socialismo in Asia e in Europa e addirittura al largo della Florida.
Colletti neutralizza il marxismo con un paio di parole (qualcuno lo dica a Preve che il neutralizzatore del marxismo non è Stalin, ma colui che probabilmente gli ha messo in testa quest’idea malsana), facendo passare il marxismo di Marx per un’analisi del modo di produzione capitalistico che porta ad una concezione della storia che egli ammette essere scientifica, ma che viene mutilata, sterilizzata se non porta affettivamente ad una trasformazione cosciente della società, poiché il cambiamento del modo di produzione secondo il marxismo ha effetti su tutta la società nelle sue condizioni di vita materiali, sociali e culturali, e per questo il marxismo ha fatto epoca nella storia dell’umanità, mentre dalle poche parole di Colletti citate da Sgrò sembrerebbe proprio che il marxismo “originario” di Marx non porti quei cambiamenti nella storia propri di una nuova e rivoluzionaria concezione del mondo.
Morganti invece fissa il confine tra ciò che è marxismo e ciò che non lo è un po’ più in là, fino a Lenin compreso, evidentemente con l’intenzione apparente di elevare il marxismo ad una dottrina rivoluzionaria e non più semplicemente un tentativo di dare un senso più o meno plausibile al corso della storia. Ma tolto questo, e tolti anche i risvolti politici che certamente accomunano i due (o forse i tre, se ci mettiamo anche Sgrò) nella critica malevola della prima esperienza socialista della storia, l’attacco alla filosofia materialistico-dialettica è un’arma sempre efficace nella lotta al marxismo per la difesa dell’ordinamento capitalistico borghese, in quanto ciò che è di primaria importanza per i comunisti, e in tutto questo scritto ho cercato di sottolinearlo, è il possesso di una comune concezione del mondo coerente e unitaria; ciò significa che i comunisti devono tassativamente prender posizione in qualsiasi campo della conoscenza, su tutte le forme della coscienza sociale, e in tutte le attività sociali: quindi nella teoria non solo occuparsi di politica e di storia, ma di economia politica (lo studio della quale è più importante di tutto per i marxisti, ma viene spesso sottovalutato o dato per acquisito),e nella teoria-pratica di scienza, arte, cultura, tecnica, filosofia. Questo sarà cosa ovvia, normale e acquisita nella società comunista dove l’Uomo nuovo sarà un individuo completo, sebbene sussisteranno ovviamente le differenze naturali che porteranno sempre un tal individuo ad eccellere in un dato campo dell’attività teorico-pratica piuttosto che in altri – ma nella sostanza non ci saranno più conoscenze ed esperienze precluse dalla divisione del lavoro e dalla lontananza “del pensiero e del libro dalla vita” (per usare il termine con cui si esprimeva Emilio Sereni) . Ma nel nostro momento storico, invece, una concezione del mondo unitaria e coerente è indispensabile per resistere agli attacchi ideologici della classe morente, le cui idee sopravvivranno ancora per molto nelle menti degli uomini anche dopo la rivoluzione socialista.




NOTE:

(1) Lucio Colletti, filosofo e politico (1924-2001) militante nel PCI fino al 1964, revisionò la propria ideologia fino ad approdare nel centrodestra di Silvio Berlusconi negli anni ‘90.

(2) Giovanni Sgrò, Introduzione a Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca pagg.28,29,30. Le parole virgolettate sono citazioni estratte da Sgrò da “Il marxismo e Hegel”(edizioni Laterza, 1969) di Lucio Colletti. 


(4) Friedrich Engels, Antiduhring edizioni Rinascita, pag. 46

(5) Andrej Zdanov, “Sulla storia della filosofia di Alexandrov”, intervento contenuto in Politica e ideologia, edizioni Rinascita

(6) «Dal momento in cui si esige da ciascuna scienza particolare che essa si renda conto della sua posizione nel nesso complessivo delle cose e della conoscenza delle cose, ogni scienza particolare che abbia per oggetto il nesso complessivo diventa superflua. Ciò che quindi resta ancora in piedi, autonomamente, di tutta quanta la filosofia che si è avuta sino a ora è la dottrina del pensiero e delle sue leggi, cioè la logica formale e la dialettica. Tutto il resto si risolve nella scienza positiva della natura e della storia.» (F.Engels, Antiduhring edizioni Rinascita 1950)

(7) Andrej Zdanov, intervento citato


(9) Emilio Sereni, Scienza marxismo cultura Le edizioni sociali, 1949 , pag. 96

(10) ibidem.

(11) Friedrich Engels, Dialettica della natura edizioni Rinascita, pag. 19-145

(12) Per ideologia Marx ed Engels intendevano un complesso di idee (filosofiche, morali, sociali, giuridiche, politiche, ecc.) indipendente in apparenza da ogni condizionamento esterno al puro pensiero, pertanto per il pensatore le sue stesse condizioni di vita materiali non hanno alcun influenza sul suo pensiero e le forze che realmente muovono il processo del pensiero gli restano sconosciute. In tale complesso di idee gli elementi di verità venivano comunque interpretati a seconda degli interessi di classe.

(13) Emilio Sereni, op.cit. pag. 103

(14) «… nel sistema hegeliano, nel quale, per la prima volta, e questo è il suo grande merito, tutto quanto il mondo naturale, storico e spirituale venne presentato come un processo, cioè in un movimento, in un cambiamento, in una trasformazione, in uno sviluppo che mai hanno tregua, e fu fatto il tentativo di dimostrare il nesso intimo esistente in questo movimento e in questo sviluppo. Mettendosi da questo punto di vista, la storia dell’umanità appariva non più come un groviglio confuso di violenze insensate che sono tutte ugualmente condannabili davanti al tribunale della ragione filosofica, ora diventata matura, e che è meglio dimenticare al più presto possibile, ma come il processo di sviluppo della umanità stessa. E ora il compito del pensiero consisteva nel seguire, attraverso tutte le deviazioni, la marcia graduale di tale processo che si compie a poco a poco e dimostrarne, attraverso tutte le accidentalità apparenti, l’intima regolarità.
Che Hegel non abbia assolto questo compito, qui non ha importanza. Il suo merito, che fa epoca, è quello di averlo posto, tanto più che questo è un compito che nessun individuo da solo potrà mai assolvere.»
«Hegel era un idealista, cioè per lui i pensieri della sua testa non erano i riflessi, più o meno astratti, delle cose e dei fenomeni reali, ma invece le cose e il loro sviluppo erano i riflessi realizzati della «Idea» preesistente, non si sa come, al mondo medesimo. Conseguentemente tutto veniva poggiato sulla testa, e il nesso reale del mondo veniva completamente rovesciato. E per quanto anche così alcuni nessi singoli venissero concepiti da Hegel in modo giusto e geniale, pure, per le ragioni che sono state addotte, molto, anche nei dettagli, doveva riuscire rabberciato, artificioso, architettato di sana pianta, in breve, sovvertito. Il sistema di Hegel fu come tale un colossale aborto, ma fu anche l’ultimo nel suo genere.» (F.Engels, Antiduhring edizioni Rinascita 1950)

Quando dico che di Hegel a Marx ed Engels interessava il metodo dialettico, precisamente a questo mi riferisco: trovare il nesso intimo esistente in questo movimento e in questo sviluppo.

(15) Qualche citazione dei maestri che dimostra il loro pensiero poco dialettico:

«Il proletariato si servirà della sua supremazia politica per strappare alla borghesia, a poco a poco ,tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, vale a dire del proletariato stesso organizzato come classe dominante, e per aumentare, con la massima rapidità possibile la massa delle forze produttive. » (K.Marx-F.Engels, Manifesto del partito comunista)

«In una fase più elevata della società comunista, dopo che è scomparsa la subordinazione asservitrice degli individui alla divisione del lavoro, e quindi anche il contrasto tra lavoro intellettuale e fisico; dopo che il lavoro non è divenuto soltanto mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita; dopo che con lo sviluppo onnilaterale degli individui sono cresciute anche le forze produttive…. Solo allora l’angusto orizzonte giuridico borghese può essere superato, e la società può scrivere sulle sue bandiere: “Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni”» (Critica al programma di Gotha, K.Marx) 

(16) Citazione integrale del passo che ci interessa:

Il termine “materialismo dialettico” è di dubbia correttezza teorica. Ci sono stati pochissimi marxisti che hanno tentato di ribellarsi (anche all’estero) a questo termine (cfr. H. Lefebvre – Il materialismo dialettico). In sostanza la giusta accusa teorica rivolta alla locuzione si rifà alla terminologia engelsiana (dialettica materialistica) dove al centro del concetto stanno le tesi materialistiche, e dove il metodo dialettico è secondo-derivato. Lana caprina? No. In Engels si pone l’accento sul fatto che questa dialettica è materialistica, che l’essere dialettico è attributo-predicato essenziale della materia stessa, per differenziarsi chiaramente dall’idealismo di Hegel in quanto si pretende dialettico (perché si può benissimo costruire un idealismo dialettico, anzi è naturale, perché l’idealismo oggettivo di Hegel è proprio un’accettazione acritica dei fenomeni che appaiono alla superficie della realtà, come alla realtà superficiale appare il fatto che il denaro autovalorizza se stesso rinnovando da solo il ciclo D-M-D’, e non è mica una fantasia di qualche stralunato pazzoide, appare proprio così alla superficie, ed è per questo che gli agenti della produzione capitalistica si comportano in quel modo, si comportano così perché devono adeguarsi alle apparenze necessarie per il funzionamento del modo di produzione e non – viceversa – il denaro sembra che crei se stesso perché i capitalisti ed i lavoratori si comportano in quella maniera irrazionale); in STALIN si dice che il materialismo è dialettico, come se la materia potesse svilupparsi in altro modo che non dialetticamente, è una tautologia intesa in questo la locuzione “materialismo dialettico”, perché la materia è già dall’inizio dialettica.
Interessante sarebbe ritornare alla tesi di Lenin secondo cui il termine “materialismo dialettico” è il sinonimo di “materialismo scientifico”, allora in questo caso il movimento dialettico della materia impone che la scienza che lo studia sia anch’essa dialettica.”

















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