DI LUCA BALDELLI
Tra le tante patacche confezionate negli ultimi anni da certi blog e dai media che vanno per la maggiore, e subito bevute da creduloni puerili e ingenui, tanto adusi a credere alle più assurde fantasie, quanto pronti a fare le pulci a tutte le fonti serie ed attendibili, la palma d’oro spetta senza dubbio alla diceria secondo la quale, in Corea del Nord, le droghe leggere sarebbero perfettamente legali e anzi incentivate, nel loro uso, dallo Stato.
Ibrido di cannabis in fioritura |
In un articolo del gennaio 2013, il sito www.vice.com, che si vanta di ritrarre la vita reale di tutti i giorni, lontano da bufale e invenzioni propagandistiche, dipingeva la Repubblica Democratica Popolare di Corea come un paradiso per l’erba, chiamata (udite udite !!!) “ip tambae”, ovvero “tabacco in foglie“. La fonte di “Vice“? Ce la riferiscono gli stessi redattori, con sgrammaticata chiarezza: “conoscenti che lavorano in Corea del Nord e fanno regolarmente dentro e fuori dal Paese“.
Complimenti! Che rigore giornalistico! Questa droga leggera, ci informano tali ineffabili “Pulitzer“, sarebbe “particolarmente diffusa tra i giovani soldati“ che, invece di fumare catrame e nicotina come i loro omologhi occidentali, delizierebbero i loro palati e le loro sinapsi“ accendendo una canna extra large durante le pause tra le ronde“ (sic!). Il tutto, per sfuggire alla qualità delle sigarette locali, che, da parte di tale Ben Young, autore dell’articolo, si asserisce esser pessima. L’erba sarebbe molto popolare e a buon mercato, in quanto largamente usata dai lavoratori per trovare il relax adeguato e “distendere i muscoli infiammati e doloranti“ alla fine di una giornata di lavoro.
Operai coreani all'uscita dal lavoro: sorridono perché sono già sotto l'effetto della marijuana? |
Il “Rodong Sinmun“, organo ufficiale del Comitato Centrale del Partito dei Lavoratori di Corea, sarebbe (incredibile!) largamente utilizzato come cartina, “tagliato a quadratini e poi rollato in piccole canne coniche“. Sarebbe da morire dal ridere, se non fosse che certa gente, che si fregia del titolo di “giornalista“ o “blogger“, ha la pretesa di fare opinione, dettando convinzioni e tendenze. Young si duole, infine, del fatto che certe virtuose e benefiche pratiche siano concesse nella oscura e dittatoriale Corea del Nord, nello stesso tempo in cui vengono vietate nei democraticissimi Paesi del suo emisfero, che si ostinano (in larga parte) a non rendere legale l’erba. Le cose stanno davvero così? Andiamo per ordine e vediamo.
In seguito alla pubblicazione dell’articolo di “Vice“, altri organi di informazione hanno ripreso l’argomento e lo hanno trattato in vari modi. Una testata al di sopra di ogni sospetto, il “The Guardian“, non certo imputabile di simpatie verso il governo comunista e antimperialista di Pyongyang, ha pubblicato un articolo dal titolo “Mythbusters: uncovering the truth about North Korea“. In esso, si mette in chiaro, inequivocabilmente, che l’ “Ip tambae“ non è affatto cannabis né altro di simile, ma solo e soltanto un’innocua, tradizionale miscela di erbe locali, utilizzate in sostituzione del tabacco. Definire drogato chi fuma tale mix, equivale a dare del tossicodipendente a un nostro avo di campagna che, nell’800, era magari aduso a fumare vitalbe (piante assai utilizzate, allora, in sostituzione delle ancora costose sigarette).
Clematis vitalba, un tempo usata anche come succedaneo del tabacco |
A differenza di “Vice“, poi, il “The Guardian“ cita la fonte (reale, stavolta, in carne ed ossa) che demolisce la bufala a 24 carati del “Narcostato psichedelico nordcoreano“: si tratta di Matthew Reichel, Direttore del “ Progetto Pyongyang “, impresa sociale incentrata sulle promozione di attività edili. Egli ha viaggiato trenta e più volte in Corea del Nord e conosce quasi tutto ciò che c’è da sapere sul microcosmo della Repubblica Democratica Popolare; la bufala, si dimostra, ha le zampe corte, ma ecco allora che altri blogger in crisi di astinenza da bugia si aggrappano disperatamente alle corna di questo buffo “animale mediatico“, sorreggendosi l’uno all’altro come ubriachi in preda ai fumi dell’alcool: tale “Seshata“, con un articolo pubblicato su https://sensiseeds.com, vaneggia di test di laboratorio che il “The Guardian“ avrebbe dovuto far effettuare. Il colmo! L’onere della prova richiesto a chi smonta una palese bugia facendo nomi e cognomi da parte di chi, di prove, non ne ha portata e non ne porta nemmeno mezza, preferendo le illazioni! La signorina “Seshata“ cita, con la stessa attinenza dei cavoli rispetto al desinare pomeridiano, episodi di intossicazioni di operai polacchi… nelle piantagioni inglesi di canapa del dopoguerra (!!!). Con la stessa esuberanza ed effervescenza argomentativa, discetta di latitudini e longitudini per dimostrare che la Corea del Nord, trovandosi attorno al 40° parallelo, potrebbe benissimo ospitare una produzione rilevante di “cannabinoidi“. Incredibile! Qui siamo all’invenzione del reato di collocazione geografica, come se il regime comunista fosse responsabile anche del posizionamento del Paese sul planisfero! Come se quel posizionamento, di per sé, rappresentasse una condizione obbligatoriamente e inevitabilmente foriera di produzione di droghe! Eh sì, perché la Corea del Nord sarebbe un immenso, lussureggiante giardino pieno di “paradisi artificiali” a portata di mano, una sorta di foresta di baudelairiana memoria…. Ce lo attestano, sostiene “Seshata“, certi “rapporti“ disponibili alla consultazione. Bene bene, chi ne sarebbe l’autore? Tale Sokeel Park, capo dell’ONG “Liberty in North Korea“, fondata nel 2004 all’ombra dell’Università di Yale e con base negli Usa, specificamente in California. Non c’è che dire, una fonte al di sopra di ogni sospetto!
La stessa “Seshata“ cade poi in mille contraddizioni, ricordando come la Corea del Nord abbia ratificato tutti i trattati e le intese stipulati a livello mondiale sui narcotici e sottolineando come la legge antidroga in Corea del Nord sia “estremamente rigorosa“ . E, in sintesi, nessuna prova se non “indiretta“, nelle narrazioni di qualche anonimo compiacente o scherano dell’imperialismo. Un procedere “bipolare“, dal punto di vista linguistico ed argomentativo, che la dice lunga sulla fondatezza di certe tesi e di certe argomentazioni, non certo commendevoli per un giornalista!
Ci si accorge però che “Seshata“, nel suo sforzo argomentativo e dimostrativo, surrettiziamente apologetico di sé stessa e del suo “ruolo“, si è in larga parte basata su un’altra fonte, senza neanche un minimo di originalità e “marchio“ proprio: le sue argomentazioni, paro paro, le ritroviamo nell’articolo “When It Comes to Marijuana, North Korea Appears To Have Liberal Policy Of Tollerance“, scritto da Hunter Stuart nel dicembre 2013 per l’ “Huffington Post “, organo specializzato nella conduzione della guerra a bassa intensità contro Siria, Russia, Corea del Nord e altri teatri dell’antimperialismo.
Questo articolo (udite udite !!!) riprende pedissequamente… molte delle argomentazioni e persino delle espressioni utilizzate (si veda il passaggio sull’erba che scioglie e rilassa i muscoli dei lavoratori) nel primo articolo da noi preso in esame, quello di “Vice“. Insomma, una girandola, un cerchio magico della disinformazione e della cortina fumogena, sapientemente orchestrato e condotto da menti non già raffinate (sarebbe conceder loro troppo!), ma sicuramente nate per gemmazione dal poltergeist goebbelsiano. Nessuno di questi sapienti alchimisti della carta stampata si è degnato di fare una cosa semplicissima: chiedere lumi alle rappresentanze diplomatiche della Corea del Nord o alle associazioni di amicizia e solidarietà con la RPDK, che non solo non mordono, non gettano gas sarin o polonio addosso a chi vuol sapere, ma anzi sono ben liete di poter offrire spiegazioni a chi le chiede con sincera volontà di conoscere, informarsi, sapere, oltre la montagna di spazzatura dei media filo - capitalisti.
Lo hanno fatto, e non finiremo mai di ringraziarli, gli amici e compagni di “Italiacoreapopolare”, i quali, con onestà intellettuale e volontà di andare davvero “alla fonte“, hanno interpellato, nel novembre del 2013, dopo la profusione di articoli disinformativi comparsi, il diplomatico Paek Song Chol, Segretario dell’Ambasciata della Corea del Nord in Italia. Costui, meravigliato e turbato, ma anche pienamente disponibile a fornire chiarimenti, ha escluso categoricamente l’esistenza del commercio di marijuana e altro nel Paese; ce n’è voluto anche solo per fargli capire cosa fosse “l’erba verde che si fuma“, a riprova della “grande conoscenza“ di certe piante in quel Paese…. Il diplomatico ha affermato che, in Corea del Nord, esistono certamente piantagioni di oppiacei, ma esse servono solo e soltanto alla preparazione di farmaci e sono rigidamente controllate dallo Stato. Prima delle parole chiarificatrici di Paek Song Chol, l’agenzia di stampa nordcoreana KCNA e i media nordcoreani, nella primavera del 2013, lungi dallo stendere la cortina del silenzio sulla campagna infamante a danno del potere popolare, avevano smontato pezzo per pezzo le illazioni sulla politica degli stupefacenti in Corea del Nord, in tutta una serie di articoli e servizi, a cominciare da quello intitolato “Commentary Blasts Story of ‘Drug Trufficking’ By DPRK“ (“Una serie di prove distrugge la storia del ‘traffico di droga’ ad opera della Repubblica Democratica Popolare di Corea“). Insomma, abbiamo mostrato una delle tante storie di ordinaria disinformazione e intossicazione informativa.
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