giovedì 2 marzo 2017

Knickerbocker: un anticomunista amico dell'evidenza

REDAZIONE NOICOMUNISTI

DI LUCA BALDELLI

Manifesto antisocialista del Partito Conservatore britannico, 1909

L’anticomunismo e, in misura ancor maggiore, l’antisovietismo, sono due patologie particolarmente gravi, in quanto negano non tanto i principi, i valori e i riferimenti (ognuno ha, legittimamente, in base al pensiero che professa, i propri!), bensì anche e soprattutto l’evidenza smaccata, quella che solo l’asino col paraocchi può non vedere e non notare. Accade così di leggere tutta una teoria di opere stereotipate, stucchevoli, trasudanti infima propaganda da ogni rigo, nelle quali l’Urss viene descritta, in diverse epoche e differenti passaggi della sua storia, come un universo invariabilmente connotato da miseria, oppressione, sfruttamento, arretratezza.

Copertina di una pubblicazione antibolscevica francese del 1935
Si sa: gli araldi dell’antisovietismo, per poter maldestramente mascherare la triste realtà del sistema capitalista a loro caro, quello che li ha sempre cullati e foraggiati, senza soluzione di continuità, han sempre dovuto dipingere il socialismo con colori tetri e fosche tinte, trasferendo su di esso le tonalità proprie del sistema capitalistico borghese, addossando all’Urss e ai Paesi socialisti i difetti, le storture, le bestialità che si incontrano, regolarmente e strutturalmente, nelle Nazioni dove al potere stava e sta la borghesia, con i suoi monopoli e oligopoli, col suo sistema di sfruttamento, speculazione, svalorizzazione e sprezzo della dignità umana. Così, sul fronte anticomunista ed antisovietico incontriamo pamphlet orrendamente faziosi, a volte apertamente ridicoli, raffiguranti trinariciuti mostri pronti a balzare sulla povera ed indifesa Europa, cosacchi ansiosi solo di bagnarsi gli stivali nella fontana Piazza San Pietro a Roma, contadini affamati e sfruttati, operai allo stremo delle forze, costretti a lavorare per lo “Stato padrone” (i servi non ce la fanno a concepire un mondo senza il “padrone”, debbono sempre evocarlo!).

Propaganda anticomunista russa del 1918

In questo orizzonte tragicomico di falsità, bugie acclarate, manipolazioni rocambolesche, patacche spacciate per documenti autentici ed indiscutibili, testimonianze attinte da personaggi inesistenti, si distingue un anticomunista di ferro: Mr. Hubert Renfro Knickerbocker, [una biografia più accurata di quella reperibile su Wikipedia si trova qui], giornalista del “New York Evening Post” di New York, nato nel 1898 e prematuramente deceduto nel 1949, a causa di una sciagura aerea nei cieli di Bombay. Figlio di un reverendo, Knickerbocker vide la luce a Yoakum, nel Texas, studiò psichiatria presso la Columbia University e, successivamente, iniziò a coltivare la passione per il giornalismo d’inchiesta e per i reportages, scrivendo pezzi di valore per il sopramenzionato “New York Evening Post” e per il “Philadelphia Public Ledger”. Il sacro furore per il giornalismo, corroborato da talento nell’individuazione dei temi e nella prosa scorrevole, “currenti calamo”, varrà a Knickerbocker il Premio Pulitzer nel 1931. Alla base della decisione della giuria, incaricata di stabilire i vincitori del prestigioso riconoscimento, stava una serie di articoli di Knickerbocker sul Piano quinquennale sovietico.

Hubert Knickerbocker al lavoro
Il giornalista fu infatti testimone, obiettivo e disincantato, di quella gigantesca opera di modernizzazione, ingegneria sociale ed economica, trasformazione di un contesto arretrato e dipendente dall’estero in un panorama all’avanguardia nel mondo, chiamato “Primo Piano Quinquennale”. Dal 1928 al 1932, l’Urss vide dispiegarsi energie umane, intellettuali e materiali, mai mobilitatesi in forma cosciente e partecipe per tutto l’arco della storia dell’umanità: basti pensare che, nel quinquennio preso in considerazione, la produzione di energia elettrica crebbe di 7 volte rispetto al 1913, con 10 nuove grandi centrali di potenza superiore a 100.000 kW, mentre, nello stesso periodo, l’Urss passò dal 6° al 2° posto nel mondo per la produzione di ghisa e di acciaio fusi, ponendosi al 1° posto in Europa per le stesse voci. La disoccupazione sparì e la classe operaia crebbe da 11.600.000 unità a 22.900.000. Un cammino compiuto dai Paesi capitalisti in 100 anni!

Senza commenti
La stampa fascista europea e quella filo – fascista statunitense, basti pensare ai giornali in mano al magnate William Randolph Hearst, fervente ammiratore di Mussolini e Hitler, cercava in ogni modo di diffamare l’Urss con la diffusione di notizie false e calunniose, inventando, con l’ausilio di testimonianze false e veline disinformanti preparate nei laboratori dei servizi segreti imperialisti, storie di carestie e di crisi irreversibili nel Paese dei Soviet [per approfondimenti vedasi qui, qui, qui e qui].

La gran combinata della propaganda: comunismo+complotto ebraico...
Bisognava, ad ogni costo, e in ogni modo, distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dal disastro dell’economia capitalista entrata, essa sì, in una tremenda crisi a partire dal 1929; bisognava, prima di tutto, impedire che milioni di uomini e donne sfruttati dal grande capitale aprissero gli occhi sulla nuova, prospera e feconda realtà sovietica, sul nuovo orizzonte socialista che, con energia e potenza inauditi, stava additando al mondo l’alba di un mondo diverso, senza sfruttamento, senza parassiti, senza guerre. Un mondo verso il quale, tra l’altro, cominciavano ad emigrare diversi proletari europei ed americani, messi completamente sul lastrico dalla chiusura di aziende e siti produttivi.


H.R. Knickerbocker, pur anticomunista per formazione e credo, come abbiamo accennato, si pose sempre al di sopra della bassa propaganda anticomunista ed antisovietica: egli, pur mantenendo intatti i suoi giudizi di valore e le sue idee circa il marxismo – leninismo, descrisse con obiettività e completezza la realtà della gigantesca trasformazione in atto nelle terre dell’ex Impero russo, trasmettendoci, attraverso le pagine dei suoi articoli e delle sue opere, l’immagine di un poderoso progresso e di un impetuoso sviluppo. Il tutto con una professionalità, un acume e una preveggenza che non poterono lasciare insensibili ed indifferenti settori significativi del giornalismo e dell’editoria anche nell’Italia fascista, lanciata nella sua crociata contro il sempre asserito “pericolo bolscevico”: tra il 1931 ed il 1932, infatti, in ben quattro edizioni, Valentino Bompiani pubblicò, nella collana “Libri scelti”, la traduzione dell’opera di H.R. Knickerbocker “The Soviet Five Year Plan and Its Effect on World Trends”, sotto il titolo “Il Piano quinquennale sovietico”. Il lavoro del sapiente giornalista era destinato a compiere il giro del mondo e già precedentemente era stato diffuso in tedesco, svedese, danese. In esso Knickerbocker, con dovizia di dati e riferimenti, aveva raccontato il suo viaggio nella terra dei Soviet, mettendo in luce come lì si stesse compiendo, con chiaroscuri e molteplici difficoltà, ma complessivamente con innegabile successo, il più grande esperimento di radicale trasformazione sociale mai tentato prima, volto a costruire l’uomo nuovo e a gettare alle ortiche, per sempre, il modello capitalista segnato da profonde, ricorrenti crisi derivanti dal proliferare dell’anarchia produttiva.

“La differenza veramente importante fra il capitalismo di Stato sovietico ed il capitalismo privato – nota Knickerbocker nell’introduzione all’opera – sta nell’elemento della preorganizzazione, che è uno dei principi base della economia marxista. Nel mondo del capitalismo privato la concorrenza sfrenata porta inevitabilmente, secondo Marx, a periodi di sovrapproduzione, di disoccupazione e di crisi del genere di quella attraverso a cui passa ora il mondo. Il prevenire la sovraproduzione è il vantaggio fondamentale che si è voluto attribuire in teoria ad una economia preorganizzata (….). L’ormai famoso Piano Quinquennale è il più ambizioso tentativo che sia mai stato fatto di mettere in pratica il principio della preorganizzazione. E’ il tentativo di divisare in anticipo, per cinque anni, il corso di vita di un’intera nazione di 150 milioni di anime”.

Dinanzi a queste riflessioni, messe nero su bianco da un lucido anticomunista, suscitano davvero ironia e rabbia i deliri pseudo – utopistici di trockisti e “comunisti libertari”, alla perenne ricerca del pelo dell’uovo nel “socialismo reale”, in continua tenzone con la realtà dei rapporti sociali e di produzione per affermare, dando la scalata a tutti gli specchi del mondo, un improbabile modello di socialismo tanto simile, nella sua ubicazione spazio temporale, nel suo stesso ubi consistam, all’Araba fenice del Metastasio. Un modello sempre al di là del raggiungibile, sistematicamente accompagnato da un’azione politica completamente impotente nel raggiungimento del seppur minimo obiettivo marxista – leninista, ma regolarmente esigente e ipercritica verso le realizzazioni concrete delle esperienze del socialismo reale avanzato [per approfondire vedasi per considerazioni generali qui e per l'agricoltura qui].


Knickerbocker, nella sua introduzione, individua con lucidità i timori ed anzi il terrore della borghesia capitalista, consapevole, a differenza dei trockisti, dei traguardi raggiunti via via dalla pianificazione quinquennale, rispetto ai quali i piani moquettati delle direzioni aziendali e i salotti buoni trapunti di cuoio e velluti delle ville dei magnati ricevevano a ritmo serrato aggiornamenti statistici riservati su base quasi quotidiana:
“Mentre la stampa borghese dell’Europa – scrive il brillante giornalista – continua ad annunziare, a beneficio dei comunisti locali, che il Piano Quinquennale è un insuccesso, gli uomini d’affari, e specialmente i maggiori industriali e banchieri, sono individualmente convinti del suo probabile successo. Essi, certo, temono la concorrenza delle esportazioni sovietiche di materie prime, specialmente di legname, di grano e di petrolio, e temono la probabile concorrenza, fra alcuni anni, dei prodotti industriali, che probabilmente usciranno dalla gigantesca macchina economica che si sta ora costruendo laggiù.”.


Knickerbocker vede con chiarezza, nell’Urss, un Paese permanentemente mobilitato per superare la storica arretratezza ereditata da secoli di dominio aristocratico, con poche isole, pur in alcuni casi importanti ed avanzate, di sviluppo capitalistico – borghese:
“Mosca, Nishni Novgorod, Cheliabinsk, Ufa, Samara, Stalingrad, Gigant, Verblud, Rostof, Baku, Tiflis, Chiaturi, Batum, Yalta, Sebastopoli, Dnieprostroy, Stalina e il bacino del Don, tutti questi sono salienti nella guerra per l’industrializzazione che tiene oggi la Russia in uno stato febbrile. In tutte queste città, in grado diverso , ma sempre impressionante, io ho trovato una atmosfera di lotta, una nazione in armi che vive figuratamente, ma effettivamente, sotto la legge marziale e a razioni come in uno Stato assediato”.

Negozio sovietico di caviale
A parte il parossismo, l’iperbole della raffigurazione di un terra simile quasi all’antica Sparta (la realtà era molto più ridente e complessa, si pensi alle gioiose iniziative della gioventù comunista in tutto il Paese), Knickerbocker coglie però un dato fondamentale: la forza, l’efficacia della mobilitazione di tutto un popolo oltre i confini etnico – repubblicani, nella scalata al cielo verso le mete dell’uguaglianza, del benessere, dell’autentica libertà. Accanto a questo, crollano palesemente, nella narrazione, alcuni luoghi comuni e mistificazioni di certa stampa: in particolare, l’insistente ritornello per il quale, in Urss, solo pochissime città erano visitabili dagli stranieri. Knickerbocker gira il Paese in lungo e in largo e non deve fronteggiare ostacoli, inciampi, barriere burocratiche oltre a quelle normali, pienamente legittime, che ogni Stato degno di questo nome deve necessariamente annoverare nei propri ordinamenti. L’Urss gli si presenta come un libro aperto, in cui nessuno ha alcunché da nascondere e in cui, anzi, dominano la fierezza e l’entusiasmo proprio nel mostrare i successi, le conquiste ottenute e anche le inevitabili difficoltà, i ritardi, le carenze. Il giornalista percepisce il clima di sobrietà e austerità regnante, ma nega che nel Paese vi sia la fame o, peggio, la carestia che i disinformatori professionali tentano di accreditare per deviare l’attenzione dalla vera carestia, quella che negli Usa sta facendo morire di fame milioni di persone, lavoratori e piccoli borghesi (ci vorrà uno studio del 2008 compiuto da uno storico e demografo russo, Boris Borisov, per scoperchiare questa fetida pentola…):
“La mia prima esperienza, entrando nella Russia sovietica, non si può dire tipica di un paese in cui la mancanza di cibo forma il principale argomento di conversazione. Io mi rallegravo dentro di me per essere passato attraverso la dogana con un sacco contenente 50 chili di carne tedesca in scatola, quando ricevetti un invito a pranzo. Il mio primo pasto sul suolo russo fu singolare. Sul menù figuravano: caviali della migliore qualità, varie specie di pesce di fiume affumicato (di quello che soleva trarre in passato a Mosca i ghiottoni di tutto il mondo), una saporosa zuppa di crema, dei pasticci ripieni di carne affettata, polli novelli, fagiani, un uccello raro, chiamato tsesarka, che somigliava a un piccione, formaggio, cocomeri, pere, lamponi e altre frutta”.
Il tutto cucinato, si badi bene, dallo stesso chef che, a suo tempo, aveva preparato pranzi e cene per il Granduca Nicola, alla faccia di asserite epurazioni “selvagge” nell’entourage imperiale, cavalli di battaglia, questi, di certa propaganda menzognera quanto grottesca.

Estrazione del caviale in URSS
Knickerbocker viaggiava sì in un vagone speciale, ospite di un ingegnere statunitense esperto in progetti idroelettrici e benvoluto da Stalin, ma, anche quando tenta di dare, come si suol dire, un colpo al cerchio e uno alla botte, ci mostra come anche nei vagoni – ristorante affollati dal popolo il vitto non sia poi da buttare, per un Paese in regime di austerità: qui, infatti, la colazione consiste di “due uova, un piccolo provino di burro, del zwieback (fette biscottate, ndr) e del tè”. Un menù dinanzi al quale un operaio italiano, francese o statunitense, che avesse avuto la ventura di viaggiare in un convoglio in terza classe, avrebbe senz’altro strabuzzato gli occhi dalla meraviglia! Nella capitale, Mosca, l’abbondanza di cibo e l’assenza di qualsivoglia penuria è palese [alle stessa conclusione, giunsero anche Anne L. Strong e Lion Feuchtwanger]:
“C’è abbondanza di pane. Per le vie di Mosca passano carri carichi di pane. I ragazzi corrono a casa con la razione del giorno, chini sotto il peso di 3 o 4 pani voluminosi. Il pane ha più importanza per l’Europa che per l’America. Per la Russia poi ha più importanza che per l’Europa occidentale (…). Col Piano Quinquennale la Russia aspira ad arrivare alla classe della carne. Sarà una salita difficile perché per il Piano Quinquennale la Russia è discesa sulla scala dietetica di parecchi pioli dalla posizione che occupava tre anni fa.”.
L’anticomunismo di Knickerbocker lo spinge a tirare conclusioni affrettate, in questo caso, ma pretendere una trattazione all’unisono esaltante o entusiastica della realtà sovietica sarebbe troppo, vista la considerevole obiettività della quale il giornalista dà comunque prova nei passaggi decisivi. Non criticheremo, quindi, il suo racconto per non aver considerato, ad esempio, delle pingui mense dei contadini ricchi e in parte medi, i quali macellavano in massa animali utili al lavoro e se li mangiavano in quantità industriali, come mai era avvenuto prima nella storia del contado russo, a spese di contadini poveri e di una consistente parte di quelli medi e, soprattutto, a spese (fino al 1933/34) della classe operaia urbana, quantunque soccorsa da mense a prezzi assai convenienti, prima inesistenti. Lo stesso Knickerbocker ammette che, nonostante il deficitario approvvigionamento in latte, grassi, uova, carne (la situazione in realtà è più rosea, come vedremo), “si può avere, in Mosca, regolarmente, lo zucchero”. Se le patate sono “limitate” (in realtà, il consumo di questo alimento in Urss era tra i più alti al mondo), il giornalista nota che “c’è abbondanza di caviale”, ovvero è largamente diffuso e a buon mercato quello che, in occidente, a quel tempo, è rara avis, preziosità disponibile soltanto per i palati dei ricconi. La tessera di un lavoratore manuale, poi, dimostra come anche di grassi non vi sia assolutamente scarsità: infatti, accanto a 1 kg di pane al giorno (in Italia il consumo medio era di molto inferiore), ½ kg di maccheroni, 2 kg di cereali e 10 uova al mese, gli sono garantiti 300 grammi di burro su base mensile, farina tre volte al mese in discreta quantità, 300 grammi di carne per tre volte ogni 10 giorni. In più, nei magazzini sono disponibili, senza razionamento, cavoli, cetrioli, cipolle, pomodori, fave e altro ancora e, per integrare il paniere acquistato con o senza tessera presso i magazzini statali e cooperativi, vi sono ovunque i mercati kolkhosiani, nei quali i prezzi sono determinati dal libero gioco della domanda e dell’offerta. Tra i mercati liberi, spiccano il “Sukharevsky”, perennemente affollato, e lo “Smolensky”. Non è però tutto; i lavoratori sovietici coltivano una passione che, per i loro colleghi del mondo capitalista, può abitare solo nel mondo dei sogni: essi vanno in massa al ristorante [vedasi qui come la situazione fosse ulteriormente migliorata negli anni '50 nonostante la spaventosa ecatombe della Grande Guerra Patriottica].
“Tutti i restaurant di Mosca sono di proprietà del Governo o cooperativi. Se uno non ha abbastanza da mangiare a casa può mangiare al restaurant”.
Ad Azbest, città industriale in crescita continua, vera e propria creatura del Piano Quinquennale, il benessere marcia spedito assieme al progresso industriale, tecnologico, delle condizioni di lavoro:
“quando i lavoratori ritornano a casa, dopo il loro turno di sette ore, trovano un alloggio decente negli edifici costruiti per loro e che si distendono in forma di ventaglio dal lago nel centro della città. Ogni famiglia ha almeno una camera. (…) Sulle prime gli operai dovevano fare il viaggio fino a Sverdlovsk (70 km a sud – ovest, ndr) per farsi visitare da un medico. Ora, invece, c’è un ospedale con 120 letti, un policlinico con 60 letti ed un certo numero di medici. Il loro ‘Istituto di Cultura' è stato di recente completato al costo di 1.200.000 rubli. In Azbest non ci sono, naturalmente, preoccupazioni per il combustibile; ce n’è abbastanza per gli inverni di un secolo, sebbene in Mosca il freddo sia tale da agghiacciare”.
L’avventura di Azbest è emblematica dello sviluppo del Primo Piano Quinquennale: fiorita con il lavoro ed il sacrificio di migliaia di persone da un piccolo centro di nemmeno 8000 abitanti, la città arriverà a comprendere, nel 1939, ben 30.000 abitanti, sempre meglio riforniti di alimentari, alloggiati e approvvigionati con servizi costantemente potenziati e rinnovati. In quel 1930/31 che vede la visita di Knickerbocker, il tenore di vita è già abbastanza elevato, nel suo seguire il passo dell’imponente processo di accumulazione e investimento per la creazione di nuove industrie ed infrastrutture:
“Noi visitammo la cooperativa. Si vendevano – riferisce il giornalista – scarpe, stivali e soprascarpe di gomma, abiti e soprabiti, utensili domestici. Carne di manzo, agnello, montone e porco era in vendita (…). La produzione, paragonata a quella che si aveva antecedentemente, è raddoppiata: paragonata con quella del Piano è indietro del nove per cento, ma, tutto sommato, il Piano Quinquennale sembra che abbia in Azbest un eccellente inizio”.
La penuria notata dal giornalista, in alcuni passaggi, presso i mercati privati, ovvero presso i canali commerciali utilizzati dai contadini per vendere le loro eccedenze, dipendeva proprio da quanto è contenuto nel brano sopra riportato: il costante rafforzamento del commercio socialista (statale e cooperativo), sempre più presente, assortito e con volume d’affari crescente. Al crescere dell’incidenza di quest’ultima forma di vendita alla popolazione, calava, inevitabilmente, il peso specifico dei mercati kolkhosiani e consimili. Il poderoso sviluppo della collettivizzazione agricola, condotto lungo i binari della mobilitazione dal basso dei contadini poveri e medi, su basi volontarie e non coattive (salvo pochi episodi di deviazioni, prontamente sconfessati e corretti dal Partito e dal Governo, si pensi all’articolo di Stalin dal titolo “Vertigine dei successi”, pubblicato nella “Pravda “ del 2 marzo 1930), era il primo elemento che garantiva una produzione di derrate sempre più considerevole, da parte dei kolkhos e dei sovkhoz, con conseguente rifornimento dei canali del commercio socialista in misura crescente.


Knickerbocker esamina e descrive, in maniera vivace e pittoresca, anche lo sviluppo del trasporto ferroviario ed il vertiginoso aumento dei suoi utenti, conseguenze naturali del ritmo accelerato di crescita economica impresso al Paese dalla pianificazione:
“Immaginate Times Square alle 5 del pomeriggio, ed ognuna delle decine di migliaia di persone che vi si affollano con una pentola per il tè o con altro simile oggetto legato dietro le spalle ed avrete una idea della sala d’aspetto ferroviaria di Sverdlovsk. Essa poco mancò che costasse la vita ad un corrispondente americano (…). La massa addormentata si risveglia, si contorce e si eccita. Ecco che cinquecento uomini, donne e ragazzi balzano in piedi e prendendo su i loro materassi, i loro cuscini, i loro sacchi, le loro corde e tutti gli altri oggetti più vari dei quali si carica ogni viaggiatore russo, si preparano a dare l’assalto al treno. (…) Nessuno che non vi sia stato può avere una idea della densità del movimento sulle odierne ferrovie russe. (…) Ottenere i biglietti è una occupazione che porta via una settimana”.

In un contesto simile, con pochi paragoni possibili con il resto del mondo, come stupirsi di incidenti, disservizi, aritmie nel servizio? Tuttavia, nonostante questi inconvenienti, puntualmente riferiti senza alcuna censura dalla stampa e dagli organi di governo sovietici, nonché riportati fedelmente da Knickerbocker nella sua opera,
“è un fatto che durante l’anno (1930, ndr) le ferrovie sovietiche hanno caricato in media 9500 vagoni al giorno in più che non nel 1928 – 1929, ossia 3.500.000 vagoni in più all’anno. Il sistema ferroviario non è peggiorato: malgrado i suoi difetti è anzi migliorato in confronto degli anni passati, ma si è dimostrato inadeguato per le necessità del Piano Quinquennale.”.

Locomotiva sovietica ad alta velocità degli anni '30
I limiti, le deficienze, le carenze strutturali della rete ferroviaria verranno efficacemente affrontati, colmati e risolti negli anni a venire, con un insieme di misure improntate alla valorizzazione del patrimonio esistente, a più tempestive e complete manutenzioni, a investimenti mirati alla modernizzazione delle infrastrutture, alla lotta contro fenomeni persistenti di sabotaggio e diversione. Questi provvedimenti, attuati sotto l’egida ferma e autorevole di Kaganovic, condurranno ad un eccezionale miglioramento qualitativo del trasporto ferroviario sovietico, innalzandolo ai più alti livelli mondiali fin dal 1935.

La costruzione della colossale diga sul Dniepr

Potente, nel suo plastico realismo, la descrizione dell’imponente cantiere di Magnitogorsk, dove gli operai stanno per costruire la più imponente impresa del Piano Quinquennale: il kombinat metallurgico, noto con la sigla MMK, destinato a diventare il più grande dell’Urss e uno dei maggiori a livello planetario.
“L’investimento, da parte del governo – sottolinea Knickerbocker – di 800 milioni di rubli nella costruzione dell’acciaieria, ne fa l’impresa più formidabile del Piano, quattro volte maggiore, in realtà, di quella che era fin qui la più grande impresa del Piano, cioè la stazione idroelettrica ‘Dnieprestroy‘ “.

Il giornalista paragona la realtà nascente di Magnitogorsk a quella di Gary, famoso centro statunitense dello Stato dell’Indiana, caratterizzato dalla presenza di un’imponente acciaieria costruita, sottolinea Knickerbocker, in ben 12 anni, con una produzione di 3.400.000 ton. su base annua. Egli rileva poi come, nella Capitale, in tanti sottovalutino il progetto e i progressi conseguiti a Magnitogorsk:
“In Mosca quelli che pretendono di sapere ogni cosa riguardo al Piano dicono che una visita a Magnitogorsk non è interessante. Aggiungono che il progetto esiste solo sulla carta. Noi siamo invece passati attraverso uno dei baraccamenti che ospitano 35.000 persone. Sobbalzando su delle strade che mettevano a dura prova le molle della Ford dell’agente della compagnia, noi passiamo davanti a moltissime tende e baracche. Si vedevano delle luci (…)”.

1929: impianto siderurgico a Magnitogorsk
Vi erano dei detrattori pronti a sminuire certe imprese e a diffondere, attorno ad esse, l’ombra della sfiducia? Oppure si trattava di riservatezza e prudenza per non esporre troppo il processo di costruzione del socialismo, in alcuni suoi gangli strategici, ad occhi indiscreti e maliziosi, scoprendo carte che era bene non venissero messe in tavola in quel momento? Non lo sappiamo, ma negli anni a venire saranno scoperti e puniti diversi sabotatori, propagatori di notizie false e autori di atti criminali volti a minare il potenziale produttivo e a compromettere la realizzazione degli obiettivi della pianificazione.

La costruzione di Magnitogorsk
Knickerbocker, ad ogni buon conto, passa sopra tutti gli ostacoli e, anche in questo caso, va a vedere di persona come stanno le cose, tocca con mano la realtà, non se la fa raccontare in base a stereotipi e a notizie di terza mano. Egli incontra anche gli ingegneri ed i tecnici statunitensi, presenti a Magnitogorsk per prestare assistenza e scambiare esperienze con i loro omologhi sovietici, nel processo di costruzione del gigantesco kombinat:
“Grandi aperture nel suolo, foreste di impalcature, mucchi di rotaie ferroviarie, qua e là muri in mattoni si vedevano nei punti dove devono sorgere gli alti forni, le acciaierie, una centrale elettrica, una fabbrica di prodotti chimici, destinati a fare di Magnetogorsk la capitale dell’acciaio del mondo rosso. Gli ingegneri della Compagnia A.G. Mc Kee di Cleveland dicono che è letteralmente il più grande accampamento per costruzioni che sia mai sorto “.
Operai in pausa durante la costruzione di Magnitogorsk
Da queste righe emerge chiaramente come l’Urss, lungi dall’essere il Paese isolato, chiuso ad ogni influenza esterna, morbosamente geloso dei suoi confini e della sua “riservatezza”, nei termini in cui lo descriveva e continua ancor oggi a descriverlo la propaganda imperialista, era in realtà una terra ospitale, pronta a confrontarsi con il mondo economico e politico esterno, pienamente disponibile a fornire il suo contributo in programmi di cooperazione su un piede di parità con tutte le Nazioni, specie quelle più avanzate dal punto di vista dello sviluppo di determinate tecnologie produttive. Mai l’Urss chiuse le sue porte a tecnici, ingegneri, imprenditori ben intenzionati a collaborare per la suprema causa dello sviluppo economico, per l’implementazione dei rapporti bilaterali sul piano della cultura, del turismo, del commercio, per il rafforzamento della cooperazione scientifica. Rappresentanti commerciali e tecnici della Ford e di altre importantissime aziende del panorama industriale occidentale, furono presenti in terra sovietica per tutta la prima metà degli anni ’30. Le frontiere venivano piuttosto serrate, con barriere sacrosantamente impenetrabili, dinanzi a terroristi, spie, sabotatori, denigratori, seminatori di zizzania ideologica e politica. Per tutto ciò non possiamo biasimare, bensì lodare i dirigenti sovietici, specie quelli degli anni ’30/’40. Ritornando alla realtà in prodigiosa trasformazione a Magnitogorsk, vediamo come Knickerbocker compia alcune illuminanti considerazioni sui ritmi di lavoro, sul regime delle retribuzioni degli operai, sull’andamento dei prezzi dei generi di consumo:
“l’attività costruttrice – scrive il giornalista – è stata sorprendente durante i pochi mesi che sono passati dal luglio 1930, quando i lavori sono cominciati. La prima opera ad essere completata ha raggiunto il record della velocità. In poco più di quattro mesi il fiume Ural ha visto costruire una diga, lunga tre quarti di miglio e contenente 40.000 metri cubi di cemento armato: 1500 operai, lavorando in tre turni di otto ore l’uno, per 24 ore al giorno, stimolati dal sistema di cottimo, dai premi e da tutte le arti della propaganda, hanno costruito questa diga così rapidamente e così bene come non avrebbe potuto essere costruita in alcuna altra parte del mondo. Tale è l’opinione di Jack Clark, l’ingegnere americano che soprasiedette ai lavori (…) Il salario medio degli operai impiegati nella diga di Magnetogorsk, secondo l’ingegnere sovietico in carica, è di 5 rubli al giorno, ma egli disse che la eccezionale laboriosità di alcuni di essi ha permesso loro di guadagnare perfino 12 rubli al giorno (…). La carne si vendeva a 160 copechi il chilo (1,60 rubli, ndr), il burro, che a Mosca costa 20 rubli al chilo, qui ne costava 8. Le uova due rubli per decina. Grande quantità di koumis, il latte fermentato di cavalla, che è una specialità kirghisa, si poteva avere in fiaschi, o in bicchieri o in tazze”.
Veduta di Magnitogorsk

Un’agiatezza tale da far invidia a qualsiasi lavoratore occidentale, nel periodo preso in considerazione! C’è da rilevare poi che Knickerbocker non potette assistere, negli anni a venire, al gigantesco progresso che si registrò, a Magnitogorsk, relativamente allo sviluppo dell’edilizia abitativa [ad esempio si veda come si risolse il problema a Leningrado]: alla fine degli anni ’30, in quel centro nevralgico dell’apparato produttivo sovietico, non era rimasta più nemmeno una baracca, in quanto tutti gli operai e gli impiegati avevano ricevuto assieme alle loro famiglie, al pari di altre figure professionali, alloggi salubri e confortevoli, in nuovi quartieri dalle vie ampie e squadrate. Tuttavia le stesse baracche viste da Knickerbocker, e da lui descritte in alcuni passaggi, erano infinitamente più confortevoli e funzionali di quelle ben note ai minatori e agli operai italiani emigrati nel BENELUX: tutte costruite in legno di pino, con parti in cemento, esse erano ottimamente isolate dagli agenti atmosferici esterni ed il loro livello di pulizia era sempre ottimo, sovente impeccabile.

Operai intenti a impiantare un giardino dinanzi alle baracche provvisorie di Magnitogorsk
Per quanto concerne la città di Stalingrado, anch’essa trincea fondamentale nella lotta per il compimento del Primo Piano Quinquennale, Knickerbocker vi rileva segnali inequivocabili di benessere e sviluppo:
“I salari degli operai russi e delle operaie a Stalingrad vanno da 2 a 5 rubli al giorno (…) e i meccanici esperti guadagnano fino a 10 rubli al giorno. (…) 22.000 operai lavorano alla costruzione della fabbrica e degli alloggi, 7.000 alla produzione di trattrici. Essi vivono in condizioni che sarebbero considerate lussuose in Mosca. 7.000 sono alloggiati in nuovi caseggiati divisi per appartamenti, di cui ce ne sono 100. Ogni caseggiato contiene 40 appartamenti di 3 camere l’uno. Gli altri (gli addetti alla costruzione di impianti industriali ed edifici abitativi, ndr) vivono in baracche. Mangiano meglio che non in qualsiasi ristorante russo, per i russi, in Mosca. Ho visitato uno dei ‘stolovayas’ (trattorie tipiche russe, ndr). Il suo menù, cotto abbastanza bene, servito con sufficiente pulizia, consisteva di una zuppa di maccheroni per 25 kopeck, di manzo per 50, di pesce e pomidoro per 25, di caffè per 15, di maccheroni al latte per 25, di cervello per 50, di polpette di manzo in cavoli per 50, di dolce per 45, di tè per 5 kopeck.”.
Niente male davvero, per un ristorante popolare utilizzato principalmente come mensa dagli operai! Quale operaio americano, nello stesso periodo, poteva gustare, a prezzi accessibili, simili leccornie? Nelle mense delle fabbriche occidentali, nonché nelle osterie e trattorie accessibili al ceto proletario, non si andava oltre una minestra e qualche aringa!

Knickerbocker non sorvola certo sull’esistenza del “lavoro forzato” [per un'informazione corretta sulla materia si veda qui, qui e qui] sul quale tante speculazioni sono state imbastite dai falsari della storiografia borghese, ma, ancora una volta, nel suo racconto risaltano obiettività e rispetto dei fatti reali. Egli, infatti, riporta letteralmente le parole di Ivan Jakovlevich Bergis, Presidente della “Compagnia Volga – Caspiana”, uno dei più fiorenti trust attivi nel taglio, nella lavorazione e nel trasporto di legname:
“Nella industria del legname (…) i kulak sono impiegati solo nel tagliare e trasportare gli alberi. E’ vero che sono usati nelle segherie a Sverdlovsk, nella regione degli Urali, ma non crediate che si tratti di lavoro non pagato come si fa coi prigionieri (…). La nostra legge è chiara. Chi non lavora non mangia, e i kulak non vogliono lavorare. Così ora noi insegniamo loro a lavorare”.
Sull’incidenza complessiva del “lavoro forzato”, Knickerbocker, in poche battute, fa strame di tutte le grottesche speculazioni anticomuniste che vanno per la maggiore ancora oggi, tendenti ad accreditare un universo sovietico simile all’Egitto del tempo dei Faraoni, con masse di schiavi orrendamente oppressi, giacenti sotto al giogo di un pugno di tiranni:
“Quanto al lavoro dei prigionieri di cui ha fatto cenno il presidente, non ce n’è molto che salti agli occhi di chi viaggia attraverso quelle regioni dell’Unione dei Soviet che si possono visitare. In tutto il mio viaggio io ho notato un solo gruppo di prigionieri, una banda di uomini sul genere di quelli che si vedono frequentemente nel Texas o in altri Stati del Sud che impiegano ancora oggidì i prigionieri per i lavori stradali. Questa banda l’ho vista in Cheliabinsk e ritornava da una zona dove aveva lavorato a gettare le fondamenta di case per operai”.
Sulle accuse all’Urss di praticare il dumping, ovvero forme di esportazione aggressive ed agguerrite, tutte condotte sulla base della rincorsa al prezzo più basso, tale da mettere in difficoltà i produttori delle stesse tipologie di merci e prodotti esportate nei loro rispettivi Paesi, Knickerbocker non giunge a conclusioni nitide e precise, supportate da dati inequivocabili, ma di certo non si accoda al baccano propagandistico, agli strali e agli anatemi lanciati, con insistente martellamento, dalle centrali della propaganda capitalistico – borghese. Con particolare riferimento all’antracite, materia prima presente in posizione preminente nelle accuse rivolte all’Urss, egli evidenzia alcuni fatti:
“I fatti sono che nel 1928 l’Unione dei Soviet vendette in America 113.000 ton. di antracite; nei primi sette mesi del 1930, 129.332 tonnellate. Nel 1928 la produzione totale dell’antracite d’America fu di ton. 74.552.312 e non molto meno nel 1929. Le vendite sovietiche ammontarono a meno che a una settecentesima parte della totale produzione americana dell’anno scorso. Se l’esportazione di antracite sovietica in America raddoppierà nel 1930, allora, questa percentuale ammonterebbe a una trecentocinquantesima parte.”.
Del resto, solo una propaganda bugiarda e mistificatrice poteva incolpare di concorrenza sleale un Paese le cui esportazioni erano regolate, come quelle di ogni altra Nazione, da accordi e parametri messi neri su bianco al momento della sottoscrizione delle intese e dei trattati commerciali: nel caso in cui, per assurdo, vi fosse stato un minimo fondamento di verità nelle accuse, sarebbe bastato che gli Usa e l’Europa avessero chiuso i loro confini alle esportazioni sovietiche ed elevato dazi, per risolvere il problema nella maniera più logica ed efficace! Invece, il mondo capitalista, in crisi nera, desiderava le materie prime ed i prodotti sovietici, disponibili ad ottimo prezzo sul mercato, riservandosi però, allo stesso tempo, con l’ atteggiamento schizofrenico e irriconoscente suo tipico, la licenza di lanciare attacchi contro l’Urss per una concorrenza sleale che era, invece, puro e semplice rispetto di termini stabiliti consensualmente in forma pattizia.

Nel tirare le somme circa i successi e gli insuccessi del Piano Quinquennale, Knickerbocker enuncia un giudizio assolutamente limpido, privo di ambiguità e fumosità:
“Quando si consideri il pro ed il contro del Piano Quinquennale alla fine del secondo anno, si vede che l’attivo sorpassa il passivo, di tanto da far rettificare il giudizio che sulle prime se ne poteva dare considerando solo l’aspetto della popolazione.”.
Le cifre riportate dal giornalista, sono di per se stesse eloquenti:
“L’industria primaria è aumentata del 37,7%, l’industria degli articoli di consumo è aumentata solo dell’11,1%. La produzione totale fu doppia che nel 1913. Nessun ramo dell’industria mancò di aumentare la sua produzione ed anche l’industria del carbone, che è tra le più criticate, ha avuto un aumento del 17,6%. Grave, in rubli carta, fu il fatto che i costi di produzione invece di diminuire dell’11,8% , come voleva il Piano, furono ridotti solo del 7,1%, mentre la produttività del lavoro aumentò solamente del 13% contro il 25,2 propostosi dal Piano. La qualità delle produzione è assai povera, poiché in alcune industrie vi è una percentuale del 30% di scarto. Tuttavia l’aumento annuale nella produzione quantitativa è così grande che una larga percentuale della produzione totale si può anche scartare per la cattiva qualità e resterebbe sempre un volume di produzione quale la Russia non ha mai raggiunto prima.”.
Al netto di certe considerazioni, dettate dalla scarsa capacità di distinguere tra obiettivi eccessivamente ottimistici della pianificazione, riveduti e corretti in corso d’opera, e risultati concreti prodigiosamente conseguiti tenuto conto di condizioni interne ed internazionali sommamente difficoltose, Knickerbocker ci consegna un panorama di eccezionale sviluppo, di progresso imponente, reale, percepibile ad un primo sguardo. Egli, giornalista borghese ed anticomunista, per formazione convinto delle magnifiche sorti e progressive del capitalismo, si bagna i piedi nell’acqua dell’umiltà e, con caparbia volontà di comprendere, oltre le cortine fumogene dei cliché, indaga la realtà della pianificazione economica sovietica, ricavandone spunti di eccezionale valore, cogliendo il gigantesco, pionieristico sforzo di superamento di un contesto di secolare arretratezza compiuto con volontarismo unito alla più rigorosa programmazione, alla più certosina ricognizione delle forze disponibili, alla più esigente razionalità economica e sapienza tecnico – organizzativa. I risultati finali del Primo Piano Quinquennale vedranno un Paese interamente trasformato, pronto ad affrontare l’onda d’urto dell’imperialismo bellicista nazifascista, avendo consolidato ed ampliato la propria base industriale, agricola, tecnica e scientifica. Knickerbocker non aveva preso lucciole per lanterne… Questo suo approccio scientifico, oggettivo, disincantato e spassionato, gli fa indubbiamente onore, specie nel momento in cui rende ancora più evidenti la faziosità, la bugia elevata a sistema, la capziosità inconcludente nelle analisi, tipiche della pubblicistica capitalistico – borghese, imperialista ed anticomunista, nel suo eterno quanto vano tentativo di deprezzare, infangare, distruggere, le conquiste storiche del socialismo reale, della più gloriosa esperienza sociale, politica e civile che ha sollevato dalla miseria e dallo sfruttamento milioni di uomini e donne in Urss, nell’Est europeo tutto, rendendo possibile, al contempo, la liberazione dal giogo colonialista e imperialista di vaste masse in Africa, Asia, America Latina.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:

H.R. Knickerbocker, “Il piano quinquennale sovietico”(Bompiani, 1931 e 1932).

Ludo Martens, “Stalin, un altro punto di vista” (Zambon editore, 2005).

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