REDAZIONE NOICOMUNISTI
Traduzione di Guido Fontana Ros
La Cina di fronte al jihadismo
di Augusto Sotopubblicato il 3/12/2005 su www.strategic-culture.org
Fonte
Pechino ha promesso di agire in seguito alla decapitazione di un cittadino cinese e all'uccisione di tre impiegati di una compagnia cinese di costruzioni in Mali, rivendicata dal gruppo jihadista contiguo ad Al Qaida, Al Mourabitoun. Queste notizie hanno scioccato i cinesi che sono regolarmente colpiti dai radicali uiguri dello Xinjiang che, per anni, hanno portato avanti una sanguinosa insurrezione di bassa intensità contro il dominio di Pechino.
I mussulmani uiguri tipicamente sunniti che parlano un linguaggio della famiglia linguistica turcofona hanno stretti legami con gli altri gruppi uiguri dell'Asia Centrale e godono del sostegno da parte della Turchia che li considera membri di una comunità disseminata fra il Mediterraneo orientale e la Cina.
I recenti sviluppi
Nel corso degli ultimi anni lo stato islamico (IS) andava reclutando centinaia di uighuri mentre diffondeva propaganda contenente minacce verso la Cina e chiamava alla costituzione di un califfato nella regione autonoma cinese dello Xinjiang. Prima di ciò Al Qaeda aveva menzionato più di una volta le proprie mire espansionistiche nella regione.
Un attacco mortale nella piazza Tienanmen che nel 2013 uccise cinque persone e l'uccisione di 29 nella città del sud ovest di Kunming più un attacco dinamitardo e suicida a Urumqui che fece 31 morti, dimostrano come il paese debba fronteggiare continue minacce. Del resto la storia è molto vecchia. Nel 1990, insurrezioni con armi da fuoco e con il lancio di bombe fecero appello alla jihad per l'espulsione dei cinesi etnici dallo Xinjiang ai fini di instaurare uno stato del Turkestan orientale. Nel 1997 un'altra insurrezione portò a centinaia di vittime nella città cinese di Yining in Asia Centrale e l'insurrezione del 2009, la più sanguinosa nelle ultime decadi, lasciò quasi 200 morti e più di un migliaio di feriti
Agire, ma in quale modo?
A seguito dei recenti attacchi terroristici su larga scala, Pechino promise di intensificare la propria cooperazione nell'antiterrorismo con la comunità internazionale. Ma quanto si può andare lontani?
Primo, fra parecchi fattori, noi dobbiamo prendere in considerazione che, già di suo, il coinvolgimento internazionale delle forze cinesi di fronte al settarismo e al jhadismo coinvolge alcuni fattori complessi. In quanto superpotenza economica, la Cina è vista come uno stato ricco, colmo di danaro per il pagamento di riscatti di potenziali ostaggi, una delle principali fonti di entrate per l'IS e strutture affini. La Cina sta dispiegando infrastrutture, tecnici e operai in giro per il mondo, per cui gli interessi cinesi possono essere colpiti dal terrorismo in crescita.
Secondo, la coordinazione. Pechino sa che, il contenimento e l'eliminazione del violento separatismo dallo Xinjiang ispirato o strettamente legato al terrorismo dei jihadisti della Siria, dell'Irak, dell'Afghanistan e di altri territori, sono impossibili senza una stretta coordinazione o coalizione con la Russia, con i paesi dell'Asia Centrale, dell'Europa, del Medio Oriente e dell'Africa, più gli USA. Del resto la coordinazione con le 2 ultime amministrazioni statunitensi (Bush ed Obama) si è rivelata truffaldina.
Terzo, così il giudizio empirico e la capacità di manovra sono essenziali. Diversamente dai paesi interdipendenti dell'EU, la Cina, in materia di sicurezza internazionale, ha dimostrato cautela e indipendenza nella politica estera e di difesa. Proprio all'opposto della coalizione a guida USA sorta dopo l'11 settembre che è stata fortemente ideologica e largamente corresponsabile dell'emersione di gruppi internazionali di terroristi e costantemente incapace di combatterli.
Quarto, l'instabilità. A causa delle radici religiose ed etniche dei conflitti, il condurre guerra all'IS o contenere i gruppi separatisti uighuri collegati al jihadismo significa fronteggiare eventi molto fluidi. Per esempio, si pensi all'inspiegabile abbattimento nella settimana scorsa dell'aereo russo che combatteva l'IS da parte di un alleato USA, la Turchia o al precedente confronto con Pechino da parte della Turchia che esprime simpatia per gli uighuri del Xinjiang, in seguito alla peggiore insurrezione degli ultimi decenni nel 2009.
Parlando da un punto di vista regionale, lo Xinjiang è un cancello continentale che collega il paese all'Asia Centrale, alla Russia e all'Europa e anche all'Asia del sud ovest, grazie ai megaprogetti infrastrutturali miranti a facilitare le importazioni dall'Africa Orientale e dal Golfo Persico tramite il Pakistan. Più probabilmente il confinante Afghanistan sta sperimentando un profondo vuoto di potere con conseguente aumento ulteriore di conflitti interni e di nuove rivalità, rinforzando così la sua natura endemica di stato fallito con frontiere porose, come è stato dimostrato dal caso dei 22 uighuri catturati in Afghanistan e Pakistan dalle forze USA e spediti a Guantanamo in circostanze misteriose dopo l'11 settembre.
Per di più, per quanto importanti siano le minacce affrontate dalla Cina da parte dei vicini, la Cina è a distanza dalla culla del più pericoloso e recente jihadismo. L'intelligence più vicina a quella regione è in larga misura patrimonio di alcuni paesi arabi e occidentali. Dopo tutto, Bin Laden e i suoi successivi alleati e seguaci nel mondo radicale dell'Asia centrale, tra i quali se ne annoverano nel Medio Oriente alcuni spuntati fuori dal partito Baath di Saddam Hussein (fra cui cui vanno ricercati gli attuali strateghi dell'ISIS) sono stati alleati dei paesi anglosassoni per lungo tempo.
Inoltre con così tanti attori all'opera in Medio Oriente e in Asia Centrale, un coinvolgimento significativo là comporterebbe dei rischi totalmente nuovi con cui questi gruppi e paesi già coinvolti in conflitti in quelle regioni, non avrebbero alcuna familiarità. Si pensi ad esempio alla rete di entità di attivisti e di hackers chiamata Anonymous, una specie di puzzle per ogni potenza ( e nello stesso Occidente). Recentemente una NATO allarmata ha chiesto loro di lasciare la guerra cibernetica ai professionisti in seguito alla loro dichiarazione di guerra all'IS.
Una possibilità per un intelligente stile di combattimento di basso profilo
Al contrario del famoso attacco terroristico del 2004 a Madrid da parte di Al Qaida che influenzò il risultato delle elezioni presidenziali spagnole (che avvennero poche ore dopo), la Cina può rapidamente agire senza alcun rischio per il funzionamento del suo sistema politico. Il 18 novembre, a seguito dell'uccisione di Fan Jinghui in Mali, la polizia militare cinese ha annunciato l'uccisione di 28 persone nello Xinjiang coinvolte all'attacco mortale a una miniera nel mese di settembre.
Inoltre sul piano internazionale, la Cina si atterrà strettamente ai suoi Cinque Principi della Coesistenza pacifica, vale a dire, mutuo rispetto per la sovranità e l'integrità territoriale, mutua non aggressione, non interferenza reciproca negli affari interni, uguaglianza e mutui benefici e coesistenza pacifica che sono stati molto apprezzati per decenni precisamente nei paesi ora colpiti dal terrorismo al di fuori dall'Europa.
Per le questioni attinenti la sicurezza, Pechino ha marcato un progresso significativo nel coordinamento internazionale sotto l'ombrello della rete di difesa e di antiterrorismo della Shangai Cooperation Organization (SCO) (con annesse esercitazioni militari in Asia Centrale e nella regione degli Urali) e nel contesto dei legami militari russo-cinesi svolgendo manovre navali nel Mediterraneo.
Inoltre Pechino sa che la prevenzione di stragi di civili e la distruzione di infrastrutture critiche sono elementi chiave dei campi di battaglia. Attualmente uno sforzo significativo nella soppressione del jihadismo deve basarsi sulla preparazione per un combattimento intelligente, naturalmente imperniato nel contesto SCO e nel coordinamento con l'Interpol, come sta avvenendo. Qualche giorno fa, a Siviglia, in Spagna, si è tenuto un incontro internazionale con la partecipazione della Cina, dedicato a come colpire le reti dei terroristi all'estero e le loro rotte di spostamento. La Cina sta fornendo dei robot alle proprie forze antiterrorismo.
Per le questioni attinenti la sicurezza, Pechino ha marcato un progresso significativo nel coordinamento internazionale sotto l'ombrello della rete di difesa e di antiterrorismo della Shangai Cooperation Organization (SCO) (con annesse esercitazioni militari in Asia Centrale e nella regione degli Urali) e nel contesto dei legami militari russo-cinesi svolgendo manovre navali nel Mediterraneo.
Inoltre Pechino sa che la prevenzione di stragi di civili e la distruzione di infrastrutture critiche sono elementi chiave dei campi di battaglia. Attualmente uno sforzo significativo nella soppressione del jihadismo deve basarsi sulla preparazione per un combattimento intelligente, naturalmente imperniato nel contesto SCO e nel coordinamento con l'Interpol, come sta avvenendo. Qualche giorno fa, a Siviglia, in Spagna, si è tenuto un incontro internazionale con la partecipazione della Cina, dedicato a come colpire le reti dei terroristi all'estero e le loro rotte di spostamento. La Cina sta fornendo dei robot alle proprie forze antiterrorismo.
Il prossimo vertice del G20 a Hangzhou, in Cina, nel 2016, metterà il terrorismo in cima all'agenda. A quel punto probabilmente i leader cinesi si sentiranno ugualmente a loro agio nel discutere come combattere contro l'IS e a contribuire a risolvere le crisi esplosive nel Medio Oriente, nonché ad affrontare il fallimento cronico dell'Afghanistan. Naturalmente proprio come fanno ora affrontando il cambiamento climatico e la proliferazione nel contesto di un mondo multipolare. A livello internazionale le forze di difesa e dell'antiterrorismo della Cina presumibilmente aumenteranno le capacità di intelligence riguardo alle azioni jihadiste, pur concentrandosi sulla primissima base militare cinese all'estero, di recente annuncio, a Gibuti in Africa orientale, vicino ad alcune delle regioni più instabili del mondo.
"tra i quali se ne annoverano nel Medio Oriente alcuni spuntati fuori dal partito Baath di Saddam Hussein (fra cui cui vanno ricercati gli attuali strateghi dell'ISIS)"
RispondiEliminaQuesto non mi è molto chiaro pechè detta così sembra che Saddam sia l'ideologo dell'isis.Brutto sport caluniare chi non si può difendere
Non credo che l'autore intendesse dire questo: che l'ideologia del Daesh nasca dal partito Baath o che tutti i militanti del partito Baath iracheno siano confluiti nei jihadisti. Può darsi che alcuni esponenti o militanti del Baath come di altri movimenti dell'Iraq siano passati dalla loro parte.
RispondiEliminaSe è così meglio specificare riferendosi a talpe,magari le stesse che hanno favorito gli Usa a scapito di Saddam e che proseguono il lavoro con l'Isis,i conti tornano meglio
Eliminahttp://www.almasdarnews.com/article/from-guarding-saddam-hussein-to-an-isis-chief-of-staff/
RispondiEliminaE' probabile che sia così, del resto questo fatto è anche confermato da questo altro articolo (da prendere con le molle visto che proviene da ambienti dei servizi)
RispondiEliminahttp://www.atlantico.fr/decryptage/pourquoi-anciens-officiers-baasistes-saddam-hussein-rallies-etat-islamique-pourraient-bien-en-etre-talon-achille-alain-rodier-2477682.html